Riforma forense e part time, si riespandono i limiti abrogati dal D.P.R. 137/2012

Redazione 16/11/12
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Lilla Laperuta

È stato respinto in sede di lavori parlamentari l’emendamento 18.2 al disegno di legge sulla riforma forense teso a consentire lo svolgimento della professione di avvocato al lavoratore dipendente a tempo limitato. Di qui il disposto della lettera d) dell’art. 18 del testo di riforma dell’ordinamento forense (come approvata alla Camera il 31 ottobre), secondo cui la professione di avvocato è incompatibile con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato, previsione che, di fatto, riespande i limiti abrogati dal D.P.R. 137/2012 recante il regolamento di riforma delle professioni regolamentate.

In materia, bisogna partire dalla legge 662/1996 (cd. collegato alla manovra finanziaria per il 1997) che all’articolo 1, commi 56, 56-bis e 57, aveva escluso l’applicabilità ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale e con prestazione lavorativa non superiore al 50%, delle disposizioni in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi recate dal testo unico sul pubblico impiego di cui al D.Lgs. 29/1993, successivamente confluito nel D.Lgs. 165/2001. La legge aveva, inoltre, previsto l’abrogazione delle disposizioni di legge e di regolamento che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività professionali per i predetti soggetti.

Da parte forense la mobilitazione contro tale legge è stata immediata: si è contestato, fondamentalmente, la difficoltà di un esercizio a metà di una professione che invece richiede un impegno temporale esteso e, parallelamente, è stata rilevata l’«incompatibilità genetica» fra la natura indipendente dell’attività forense e quella dipendente dell’attività prestata per la Pubblica Amministrazione.

Sul punto è intervenuta in più fasi la Corte costituzionale. Contrariamente ad un precedente assunto, la Consulta con la sentenza n. 189 del 2001 aveva ravvisato nel regime part-time un nuovo modo di intendere il rapporto di impiego pubblico, superando dunque il canone della esclusività della prestazione, punto particolarmente controverso.

La vicenda appena descritta, tuttavia non si è arrestata.

Della questione è stato investito il Parlamento con una proposta di legge che non ha avuto vita facile ed ha subito costanti modificazioni, pur essendo testualmente brevi, nell’intento di ritardarne o di accelerarne l’entrata in vigore. Il travagliato iter parlamentare si conclude con la legge 25 novembre 2003, n. 339, che ha ripristinato i divieti e le incompatibilità previste dalla legge professionale degli avvocati sancendo la non applicabilità della disciplina della legge 662/1996 per l’iscrizione agli albi degli avvocati e dettando una specifica disciplina transitoria.

Lo scenario descritto cambia nuovamente con l’approvazione del D.P.R. 137/2012, in vigore dal 15 agosto 2012.

Infatti, il citato provvedimento dando (parzialmente) attuazione all’art. 3, comma 5, lettere da a) a g), del D.L. 138/2011 ha determinato la abrogazione dei limiti al libero accesso alla professione forense sancendo testualmente all’art. 2 la libertà dell’accesso alle professioni e il divieto delle limitazioni alle iscrizioni agli albi professionali che non siano fondate su espresse previsioni inerenti:

a) al possesso o al riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la qualifica e l’esercizio professionale;

b) alla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri motivi imperativi di interesse generale

Tra i limiti al libero accesso alla professione forense e al suo successivo esercizio che sono stati abrogati si ritengono ragionevolmente compresi quelli contemplati dall’art. 3 della legge professionale forense di cui al R.D. L. 1578/del 1933 e dalla L. 339/2003, quelli cioè relativi alla sussistenza, in capo all’abilitato, di un rapporto di lavoro subordinato privato, sia quello della sussistenza di un rapporto di lavoro pubblico a part time.

L’abrogazione dei suddetti limiti, talaltro, si ricorda, era già stata chiaramente affermata dall’Antitrust, nel parere AS974 del 9 agosto 2012 (teso a censurare la legge di riforma in commento nel testo licenziato, l’11 giugno 2012, dalla Commissione Giustizia della Camera). In sintesi, l’Autorità aveva inequivocabilmente affermato che non risultano necessarie né proporzionali, rispetto alla garanzia dell’autonomia degli avvocati o alla tutela dell’integrità del professionista, le incompatibilità a svolgere altre attività di lavoro autonomo o dipendente, anche part-time, Eventuali situazioni di conflitto di interesse derivanti dallo svolgimento di diverse attività professionali, possono essere risolte con la previsione di strumenti proporzionati, meno restrittivi della libertà di iniziativa economica, quali, ad esempio, le regole di correttezza professionale e i conseguenti obblighi di astensione dallo svolgimento delle attività in conflitto.

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