Riforma Cartabia: il “nuovo” art. 581, co. 1-bis, cod. proc. pen.

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Il “nuovo” art. 581, co. 1-bis, cod. proc. pen.: una breve disamina
L’art. 33, co. 1, lett. d), d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 150 (attuazione della Riforma Cartabia) è intervenuto sull’art. 581 cod. proc. pen. che, come è noto, disciplina la forma dell’impugnazione.

Indice

1. Modifiche all’art. 581 c.p.p.

In particolare, tra le modifiche apportate a questa norma procedurale, per quello che rileva in questa sede, degno di nota è l’inserimento, subito dopo il comma primo, di un ulteriore comma, vale a dire il comma 1-bis, che così dispone: “L’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione”.
Se, quindi, in precedenza, per quanto riguarda i motivi, era unicamente prevista la loro enunciazione specifica con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (così: l’art. 581, co. 1, lett. d), cod. proc. pen. che, si badi, non è stato abrogato), è adesso invece richiesto un quid pluris, ossia che in questi motivi, per potersi considerare specifici, devono essere pure enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione (così, argomentando a contrario, il “nuovo” art. 581, co. 1-bis, cod. proc. pen.).

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2. La giurisprudenza

Orbene, tale nuovo precetto normativo sembra ricalcare quanto postulato dalle Sezioni unite, nella sentenza n. 8825 del 27/10/2016, con cui gli Ermellini hanno postulato il seguente principio di diritto: “L’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata”.
    Pur tuttavia, alla luce del fatto che, nella relazione illustrativa, si afferma che la ratio di questa norma è quella di “innalzare il livello qualitativo dell’atto d’impugnazione”, secondo parte della dottrina (GIALUZ), da ciò potrebbe trarsi un possibile argomento nel senso dell’elevazione dello standard di specificità estrinseca fino a oggi richiesto[1].
   Ebbene, ad avviso di chi scrive, tale innalzamento, per così dire, qualitativo, potrebbe ritenersi, piuttosto rapportabile da un punto di vista normativo, nel senso di un intervento del legislatore volto a determinare, per l’appunto ex lege, tale evento, piuttosto che un innesto legislativo introduttivo di vincoli più restrittivi rispetto a quanto postulato dalle Sezioni unite nella decisione succitata.
    Ad ogni modo, al di là di quali delle due opzioni ermeneutiche si voglia aderire, per effetto di questa previsione di legge, che tra l’altro deve essere letta anche “avendo riguardo al rapporto che intercorre tra inammissibilità dell’atto impugnatorio e improcedibilità processuale per scadenza dei termini massimi di durata”[2], è ora richiesto, come già suesposto prima, che, nel redigere un atto di impugnazione, siano indicati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione, il che vuole significare, in buona sostanza, che tale “enunciazione critica deve svilupparsi per ogni richiesta contenuta nell’atto d’impugnazione e deve riferirsi alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, nell’ambito dei capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione” (così: la relazione illustrativa), risultando, in tal guisa, “codificato il requisito della specificità c.d. “estrinseca” dei motivi d’impugnazione, coerentemente con la funzione di controllo della sentenza impugnata rivestita dal giudizio di appello” (ibidem).
Si richiede quindi che l’impugnante “enunci, in forma puntuale ed esplicita, i rilievi critici che muove alla motivazione (in fatto e in diritto), indicandone i punti e i capi ai quali le doglianze si riferiscono”[3].
In particolare, per indicazione dei rilievi formulati in modo puntuale ed esplicito, deve intendersi “la modalità con la quale la doglianza/critica dell’atto di impugnazione si opponga motivatamente alla sentenza/target con riferimento ai capi e ai punti[4] mentre il riferimento ai punti e ai capi, rispetto alle quali le doglianze si riferiscono, riguarda la segnalazione delle criticità e degli errori di cui sarebbe connotato l’impianto motivazionale della decisione che si impugna[5].
   Detto questo, bisogna però segnalare un altro criterio interpretativo, da potersi prendere in considerazione, in riferimento a tale nuova statuizione normativa.
Invero, alla luce del fatto che sempre nella sentenza n. 8825 del 27/10/2016, gli Ermellini, nell’affermare il principio di diritto summenzionato, hanno tuttavia ritenuto di dovere al contempo specificare che “tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato”, proprio a proposito di questa proporzionalità, si deve chiarire che, “in tanto può chiedersi che i motivi siano specifici, in quanto la motivazione della sentenza impugnata sia articolata e puntuale, non essendo concepibile – trattandosi di un giudizio di relazione – la specificità dei motivi che siano volti a censurare una motivazione lacunosa o imprecisa”[6].
E’ dunque necessario, da parte del giudice che decide sull’impugnazione, parametrare il livello di precisione richiesto alle parti, con l’ampiezza delle argomentazioni della sentenza impugnata, non imponendo all’impugnante standard insostenibili[7].
Ebbene, tale interpretazione, ad avviso di colui che scrive, si appalesa del tutto condivisibile in quanto evita una ingiustificata limitazione della possibilità di aderire un giudice superiore per conseguire il riesame di quanto deciso da quello inferiore, imponendo oneri particolarmente stringenti, nel senso di richiedere l’enunciazione di motivi specifici (nei termini suesposti) in presenza di una motivazione, da doversi censurare, che, invece, è lacunosa e/o imprecisa.
D’altronde, la condivisibilità di un approdo ermeneutico di questa genere discende anche dal fatto che, “benché il nostro ordinamento costituzionale non contenga il principio del doppio grado giurisdizionale di merito ma soltanto quello della ricorribilità per cassazione per i soli casi di violazione di legge, hanno assunto forza privilegiata, in virtù degli artt. 10 e 117 c.p.p., comma 1, cosi, i principi delle convenzionali internazionali, contenuti nel Patto internazionale sui diritti civili e politici e nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo cui ciascun condannato per fatti penalmente rilevanti ha diritto alla revisione, al riesame o alla rivalutazione da parte di un organo giurisdizionale di diversa o ulteriore istanza” (Cass. pen., sez. VI, 31/10/2016, n. 38727).
Ed allora, codesto diritto non può non ritenersi fortemente limitato quanto al suo esercizio proprio nel caso in cui, come enunciato poco prima, si richieda l’osservanza di particolari formalità (qual è quella di enunciare dei motivi specifici), in presenza di una sentenza che, viceversa, è munita di una motivazione che non ne consente il rispetto.
Chiarito ciò, conclusa la disamina di questo nuovo precetto normativo, non resta dunque che vedere come esso verrà applicato in sede giudiziale.

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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2022

  1. [1]

    M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, p. 77, in Sistema penale.

  2. [2]

    C.S.M., Parere sullo schema di decreto legislativo recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari – Relatore Consiglieri Celentano – Miccichè – Cerabona,  p. 47.

  3. [3]

    Ufficio del Massimario, Servizio penale, Corte suprema di Cassazione, Rel. n. 2/2023, 5 gennaio 2023, RELAZIONE SU NOVITÀ NORMATIVA LA “RIFORMA CARTABIA”, p. 162.

  4. [4]

    F. A. MAISANO, Prime note critiche sull’appello inammissibile nella “riforma Cartabia”, p. 3, in Giurisprudenza penale web, 2022, 10.

  5. [5]

    In tal senso, F. A. MAISANO, Prime note critiche sull’appello inammissibile nella “riforma Cartabia”, p. 3 e p. 4, in Giurisprudenza penale web, 2022, 10.

  6. [6]

    Ufficio del Massimario, Servizio penale, Corte suprema di Cassazione, Rel. n. 2/2023, 5 gennaio 2023, RELAZIONE SU NOVITÀ NORMATIVA LA “RIFORMA CARTABIA”, p. 163.

  7. [7]

    In tal senso, M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, p. 77, in Sistema penale.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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