Riforma Cartabia: Codice Appalti e leggi extra penali

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La riforma Cartabia ha scelto di non dare effetto alle leggi extra penali che equiparano il patteggiamento alla condanna.
Nonostante questo il testo del codice degli appalti al vaglio del legislatore resta fermo sulla vecchia disciplina e potrebbe rendere vano lo spirito della riforma penale e di quella pubblicistica.

Indice

1. Riforma Cartabia e tempi dei procedimenti penali

La Riforma Cartabia ha il carattere dell’urgenza, che non si riflette esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi del PNRR, ma intende ridurre i tempi medi di definizione dei procedimenti penali, caratterizzati da tempo immemore da estrema lunghezza.
Il legislatore ha introdotto delle importanti modifiche sul “patteggiamento”, cercando di rendere l’istituto meno gravoso nei confronti degli imputati, definendo in tempi più agevoli i procedimenti pendenti con questo rito alternativo.
A questo proposito, si deve ricordare che il legislatore ha modificato l’articolo 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, prevedendo che:
 “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444 comma 2 del codice di procedura penale alla sentenza di condanna”.
Questo significa che a parte quando spetti al giudice penale, con la sentenza di patteggiamento, disporre una “pena accessoria”, la sentenza di patteggiamento in sede extra-penale non può essere equiparata a una sentenza di condanna.
L’articolo 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, sancisce che le disposizioni extra-penali non producono effetti.
Costituiscono esempi l’interdizione dai pubblici uffici, da una professione o dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese.


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2. Riforma Cartabia e Codice degli appalti

In relazione a quanto sopra scritto, si deve affermare che le previsioni sulla disciplina del patteggiamento debba valere anche relazione al cosiddetto Codice degli Appalti (D. Lgs. 50/2016).
Come si legge su Diritto 24, in modo particolare si prende in considerazione l’articolo 80, che indica tra i motivi di esclusione dalle gare pubbliche anche la pronuncia di semplici sentenze di patteggiamento, rispetto alle sentenze di condanna pronunciate dopo un giudizio ordinario.
La conclusione dovrebbe essere che a fronte della immutata equiparazione prevista dall’articolo 80 Codice degli Appalti l’equiparazione tra sentenze di condanna e sentenze di patteggiamento debba venire meno a fronte dell’attuale disciplina dell’articolo 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, dove previsioni come quelle del Codice degli Appalti non producono più effetti. 
Il risultato è che oggi una stazione appaltante non potrebbe più escludere un’impresa da una pubblica sulla base della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti dei rappresentanti legali della stessa, con l’unica eccezione dei casi nei quali il giudice penale abbia espressamente applicato anche una pena accessoria.
Questa interpretazione è l’unica coerente con il senso e con la ratio dell’attuale disciplina del patteggiamento, che il legislatore non voleva che pregiudicasse le prospettive di lavoro e di carriera dell’imputato che sceglie di rinunciare a difendersi in dibattimento.
In un simile contesto, non sembra molto coerente la mancanza di coordinamento dello schema definitivo del cosiddetto Codice Appalti, il quale iter parlamentare è in corso a fronte dell’approvazione in via preliminare da parte del Governo lo scorso dicembre.
Lo schema definitivo dell’articolo  94 declina le cause di esclusione e ripropone pedissequamente (senza considerare la cd. Riforma Cartabia) il testo dell’articolo 80 del Decreto Legislativo n. 50/2016 (Codice Appalti attualmente in vigore), secondo il quale:
è causa di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedure penale per uno dei seguenti reati …”.
Lo schema definitivo all’attenzione del Parlamento equipara sempre la sentenza di patteggiamento a quella di condanna, dove si ritenesse applicabile la previsione oggetto di quello che diventerà il testo normativo applicabile alla materia, rendendo vano il dettato dell’articolo 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, che ha come finalità incentivare il ricorso al patteggiamento.
Se la previsione del Codice degli Appalti non dovesse avere effetto in applicazione dell’articolo 445 comma 1 bis del codice di procedura penale, chi fosse interessato da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) potrebbe rischiare di essere escluso dalle procedure di gara, con l’impatto non buono sull’azienda.
Il Codice degli Appalti in corso di approvazione rappresenta il modo per coordinare le previsioni, con la finalità di evitare insicurezze per gli operatori economici che partecipano alle procedure di gara e per le Stazioni Appaltanti che devono valutare la sussistenza delle cause di esclusione e le  dichiarazioni degli operatori.
Non risulterebbe logico adeguare in parte la portata del Codice Appalti, e consentire alle Stazioni Appaltanti di valutare l’esistenza di una sentenza di patteggiamento nell’ambito dell’ “illecito professionale grave” dei quali all’articolo 98 dello Schema del Codice Appalti.
La previsione è consentire alle Stazioni Appaltanti di escludere l’operatore economico di dubbia  affidabilità, anche in essenza dei motivi di esclusione.
In questo modo se il patteggiamento potesse essere ritenuto inaffidabile, si violerebbe lo spirito della norma come modificata dalla cosiddetta Riforma Cartabia.
Di conseguenza, anche sotto questo profilo l’argomento dovrebbe essere affrontato in Parlamento, chiarendo il punto e, con chiarezza, rapidità e semplificazione in relazione alla riforma delle regole in tema di contratti pubblici, si dovrebbero evitare contestazioni quando si arriva all’applicazione.

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