Responsabilità medica: la conciliazione obbligatoria tentata dal consulente tecnico

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Com’è noto, l’espletamento della procedura di mediazione è condizione di procedibilità per il giudizio civile in materia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria. L’art. 8, comma 1°, della Legge n° 24 del 2017 che disciplina la responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie ha introdotto, in alternativa al procedimento di mediazione disciplinato dal Dlgs 28/2010, la possibilità di proporre, dinanzi al Giudice competente, un ricorso ai sensi dell’art. 696-bis del Codice di Procedura Civile per chiedere l’espletamento di una consulenza tecnica in via preventiva ai fini dell’accertamento della sussistenza del fatto illecito e della determinazione del conseguente risarcimento.[1] Il consulente tecnico, prima di depositare la sua relazione, deve tentare, ove possibile, di conciliare le parti.

Se le parti si conciliano, si forma il processo verbale della conciliazione ed il Giudice attribuisce ad esso con decreto efficacia di titolo esecutivo al fine dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Il processo verbale della conciliazione è esente dall’imposta di registro. All’attività del consulente tecnico si applicano gli artt. 191 – 197 c.p.c., in quanto compatibili (art. 696-bis c.p.c.).

L’improcedibilità del giudizio civile deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal Giudice non oltre la prima udienza. Se il Giudice rileva che il procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c. non è iniziato oppure non si è concluso assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento (2° comma dell’art. 8 della Legge 24/2017).

Nel caso in cui la conciliazione non riesca o il procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c. non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dalla data del deposito del relativo ricorso, la domanda del giudizio civile ordinario diventa procedibile e gli effetti della stessa sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione del consulente tecnico d’ufficio o dalla scadenza del termine perentorio citato, è depositato, presso lo stesso Giudice, il ricorso per il procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702-bis c.p.c. Il Giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti di quest’ultimo (3° comma). In questo caso riteniamo che il procedimento di conciliazione di cui all’art. 696-bis c.p.c. si estingua.

La partecipazione al procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c. è obbligatoria per tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione di cui all’art. 10 della Legge 24/2017 che stipulano polizze con le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private che hanno l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile verso terzi e per quella verso i prestatori d’opera anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso di esse, compresi i soggetti che svolgono attività di formazione, aggiornamento, sperimentazione e ricerca clinica. Queste compagnie di assicurazione hanno l’obbligo di formulare un’offerta di risarcimento del danno oppure di indicare i motivi per cui ritengono di non formularla. In questo secondo caso, se la conciliazione non avviene e si giunge ad una sentenza favorevole al danneggiato, il Giudice deve trasmettere una copia della sentenza all’IVASS – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni per gli adempimenti di sua competenza. Le parti che non hanno partecipato al procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c. devono essere condannate dal Giudice al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio, oltre che ad una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è comparsa nella conciliazione (4°comma). Questo è un forte incentivo per spingere le parti a partecipare al procedimento.

L’art. 15 delle Legge 24/2017 stabilisce, inoltre, che nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, compreso quello dell’art. 696-bis c.p.c., il Giudice deve affidare l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia ad un medico specializzato in medicina legale e ad uno o più medici specialisti nella disciplina in cui rientra l’oggetto del procedimento (per esempio, in ortopedia, nel caso di danno biologico derivante da fratture ossee). Quindi, in questi casi, non c’è un solo consulente ma un collegio di almeno due consulenti. I soggetti da nominare, oltre ad essere iscritti all’albo dei consulenti tecnici del Tribunale previsto dall’art. 13 delle Disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Civile, non devono essere in conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e, nel caso del procedimento di cui agli artt. 8 della Legge 24/2017 e 696-bis c.p.c., “devono essere in possesso di adeguate e comprovate competenze in materia di conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi” che devono essere istituiti (1° comma).

Negli albi dei consulenti tecnici e dei periti di cui agli artt. 13 Disp. att. c.p.c. e 67 Disp. att. c.p.p., devono essere indicate e documentate le specializzazioni dei medici iscritti. In sede di revisione e aggiornamento degli albi, da farsi con cadenza almeno quinquennale, deve essere indicata, per ciascuno si questi esperti, l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento agli incarichi di consulenza tecnica conferiti ed a quelli revocati. Negli albi deve essere garantita un’adeguata presenza di esperti nelle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie. Infine, l’incarico di consulenza tecnica è conferito non al singolo medico ma al collegio di medici e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40% per ciascuno dei componenti il collegio oltre il primo previsto dall’art. 53 del DPR n° 115 del 2002, il testo unico in materia di spese di giustizia. Ciò dovrebbe contenere i costi di questo tipo di consulenza tecnica che rischiano di essere alti (commi 2°, 3° e 4°).

 

In conclusione, facciamo notare che l’avere mantenuto l’alternativa dell’utilizzo del procedimento di mediazione ai sensi del Dlgs 28/2010 rischia di limitare il concreto utilizzo di quello previsto dagli artt. 8 della Legge 24/2017 e 696-bis c.p.c. (che dà molte garanzie alla parte debole, vale a dire al paziente che afferma di essere stato danneggiato da un operatore sanitario), dato che sarà molto facile per le parti avviare un procedimento di mediazione, non presentarsi od opporsi alla continuazione di esso al primo incontro col mediatore chiudendo così il procedimento e, soddisfatta la condizione di procedibilità, iniziare il processo civile ordinario. In tal modo verrà frustrato l’obbiettivo di ridurre in questo campo il numero di nuovi processi ricorrendo al più semplice (ma pur sempre garantista) procedimento dell’art. 696-bis c.p.c. Meglio sarebbe stato, a nostro avviso, escludere del tutto il procedimento di mediazione disciplinato dal Dlgs 28/2010 dai casi di responsabilità medica e sanitaria.

 

 


[1] E’ sempre esclusa, in materia di responsabilità sanitaria, la possibilità di utilizzare la procedura della negoziazione assistita disciplinata dal Decreto-Legge n° 132 del 2014.

Visconti Gianfranco

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