Responsabilità amministrativa e il danno erariale tra non ricorso al mercato dei contratti pubblici ed attività amministrativa necessitata in un caso di rinegoziazione di un contratto di fornitura a favore della asl 

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La sentenza della Corte dei Conti, Sez. Abruzzo, n.  99 del 26 luglio 2018, è un importante banco di studio per approfondire l’attuale obbligatorietà dell’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica per l’acquisizione di beni o servizi. Tuttavia si ritiene che tale indirizzo giurisprudenziale possa essere criticato.

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IL COMMENTO

1)
Premessa  
Il giudicato affronta quattro profili interessanti. Il primo riguarda la rinegoziazione dei contratti e la normativa applicabile ante e post entrata in vigore del codice dei contratti pubblici. Il secondo concerne l’analisi della responsabilità amministrativa e l’imputabilità della colpa in termini di gravità ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il terzo è inerente il c.d. danno “alla concorrenza”[1] per cui, a fine gara, il medesimo operatore economico ha conseguito la stessa fornitura ad un prezzo quasi dimezzato rispetto a quello attuato in fase di rinegoziazione. Il quarto, strettamente collegato al terzo, riguarda invece il ricorso all’equità ai sensi dell’art. 1226 c.c. nella liquidazione del danno.
La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo – attraverso una serie di argomentazioni, condannava la direzione aziendale strategica[2], il Dirigente dell’U.O.C. Servizio Acquisti e il R.U.P. in servizio presso la Asl n. 1 d’Abruzzo all’epoca dei fatti, al pagamento della somma totale di euro 150.000, ripartita senza vincolo di solidarietà.
L’attività investigativa della Procura contabile prendeva avvio da un esposto anonimo il quale faceva riferimento al ricorso giurisdizionale che chiedeva l’annullamento della delibera n. 1552 del 14 agosto 2013 della Asl 1 abruzzese con cui la medesima Amministrazione addiveniva ad un progetto di rinegoziazione di un contratto già in essere con un operatore economico[3]. Il TAR Abruzzo, benchè avesse respinto l’istanza di sospensione cautelare[4], dichiarava nel merito l’illegittimità della delibera, in quanto assunta in assenza di qualsiasi previo confronto concorrenziale tra gli operatori economici interessati.
Le indagini della Procura[5], che ravvisava un danno erariale da parte dei sottoscrittori della delibera, si basavano sul confronto tra costo medio del test applicato in regime di rinegoziazione del precedente contratto (euro 1,05 per il 2013 ed euro 0,78 per il 2014) rispetto a quello offerto dallo stesso fornitore nell’ambito della gara d’appalto per la medesima fornitura, successivamente espletata nel 2016 (euro 0, 46). Dunque, nella logica della citazione, ad agosto 2013 si sarebbe potuto contrarre ad un prezzo unitario medio per test non superiore a euro 0,46, con la conseguenza che, ove la Asl avesse aggiudicato la fornitura a mezzo di procedura concorsuale, applicando al 2013/2014 i prezzi del 2016, avrebbe, secondo il calcolo aritmetico effettuato dalla polizia giudiziaria, risparmiato la somma di euro 3.030.955,30.

2) La rinegoziazione tra D.lgs. 163/2006 e D.lgs. 50/2016       
Prima di addentrarci nello scrutinio normativo, giurisprudenziale e di soft-law intercorso nei dieci anni di mutamenti legislativi, è opportuno soffermarsi sulla distinzione tra proroga e rinnovo del contratto così come definita da un arresto giurisprudenziale del Consiglio di Stato: “la proroga del contratto sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, mentre il rinnovo […] comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale”[6]. Una volta sotteso che nella sentenza de qua si trattasse appunto di un “rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale” si può considerare lo stesso scaturente da una modifica bilaterale del contratto[7]. Nel caso di specie veniva adottata una delibera che rinnovava un contratto già in proroga da cinque anni, in attesa dell’espletamento della gara europea poi effettivamente svoltasi nel 2016. Il Tar Abruzzo dichiarava nel merito l’illegittimità della delibera, in quanto assunta senza previo confronto concorrenziale.
La normativa applicabile alla rinegoziazione posta in essere nell’anno 2013 era quella previgente all’odierno Codice dei Contratti Pubblici – specificatamente il D. Lgs. 163/2006. Insieme all’articolo 115, riguardante l’adeguamento dei prezzi, secondo cui tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di adeguamento temporale dei prezzi di pari passo con l’andamento del mercato, la praticabilità dei rinnovi espressi si rinviene nell’ art. 29 comma 1°, inerente il valore stimato degli appalti e nell’art. 57 comma 7°, recante il divieto del rinnovo tacito dei contratti.
Ad adiuvandum, l’ANAC, con Delibera n. 117 del 3 Febbraio 2016[8],  ha riconosciuto legittima la possibilità per la stazione appaltante di rinnovare  un contratto d’appalto secondo le modalità dell’ art. 57 comma 5° lettera B del D.lgs. 163/2006 se ciò fosse stato permesso dalla normativa, o si trattasse di ripetizione di servizi analoghi con il medesimo contraente, quale esecuzione di un iniziale disegno progettuale stabilito dalla procedura di gara e con la previsione, sin dal primo affidamento, di permettere la ripetizione stessa.
Al contrario i giudici del Tar Piemonte si sono pronunciati proprio in merito alla proroga dell’affidamento di un servizio pubblico disposta da una ASL successivamente alla data di scadenza del contratto, attraverso un’interpretazione della disciplina applicabile al 2006: “L’art. 57, comma 7, D.lgs 163/2006 dispone esclusivamente il divieto di rinnovo tacito di tutti i contratti aventi ad oggetto forniture, servizi e lavori, e commina la nullità di quelli rinnovati tacitamente”.
Inoltre, un argomento positivo a favore dell’ammissibilità del rinnovo contrattuale, se espressamente previsto dalla lex di gara, si trae dall’art. 29 del codice previgente, che a proposito del calcolo del valore stimato degli appalti e dei servizi pubblici prescrive che si tenga conto di qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto[9]. Per questo, l’inserimento nell’originaria procedura ad evidenza pubblica della possibilità di rinnovazione contrattuale sembrerebbe legittimare l’amministrazione a procedere con il rinnovo del contratto di appalto pubblico. Aderendo all’orientamento espresso dal Consiglio di stato, con la sentenza n. 3580/2013, la pronuncia del Tar Piemonte ha evidenziato che “né l’art. 23 della l. 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), né l’art. 57 D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, né i principi comunitari consolidati in materia contrattuale, impediscono il rinnovo espresso dei contratti, allorché la facoltà di rinnovo, alle medesime condizioni e per un tempo predeterminato e limitato, sia ab origine prevista negli atti di gara e venga esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione[10].
La possibilità di rinnovo dei contratti è stata però stroncata dalla riforma del 2016.
Con il nuovo D.Lgs. n. 50 del 2016, invece, è stato introdotto uno specifico articolo, il 106, denominato “Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia”, con cui il legislatore ha voluto concentrare in un’unica norma tutta la disciplina in materia di modifiche contrattuali di appalti pubblici.
L’utilizzo della proroga è consentito ex art. 106 solo in via eccezionale e limitatamente al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure per l’individuazione di un nuovo contraente, e deve essere previsto nel bando e nei documenti di gara. Il rinnovo, invece, ha effetto temporale più lungo della proroga e non è giustificato da carattere di urgenza bensì è una mera facoltà per l’amministrazione committente[11] anche se limitata ad almeno un confronto concorrenziale. Al contrario, la Asl 1 ha accettato un’offerta tecnica ed economica formulata da un solo operatore economico, nella presunzione in bonis di ottenere un reale risparmio come se si trovasse ad operare in una situazione di mercato monopolistico.
Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici tale articolo ha dovuto però cedere il passo ad una storica sentenza della Corte di Giustizia europea (sentenza del 7 settembre 2016, causa C- 549/14), con cui si ritiene tassativo l’obbligo di indizione di gara col conseguente divieto di rinegoziazione dell’offerta.
Secondo la Corte UE, l’articolo 2 della direttiva 2004/18/CE[12] “deve essere interpretato nel senso che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, allo stesso non può essere apportata una modifica sostanziale senza l’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, anche qualora tale modifica costituisca, obiettivamente, una modalità di composizione transattiva comportante rinunce reciproche per entrambe le parti, allo scopo di porre fine a una controversia, dall’esito incerto, sorta a causa delle difficoltà incontrate nell’esecuzione di tale appalto.” Viene stabilito che non può essere apportata, tra amministrazione aggiudicatrice e aggiudicatario una modifica sostanziale di un appalto pubblico dopo la sua aggiudicazione, altrimenti si deve dare obbligatoriamente luogo a nuova gara[13].
Il Tar Lazio si è pronunciato sulla modifica sostanziale dei contratti pubblici, per stabilire se un’amministrazione debba tenere in conto l’opportunità di proroga nei confronti di un precedente affidatario, prima di indire una nuova procedura, dando risposta negativa. Tale sentenza ha rimarcato che in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, in quanto vale il principio per cui, salve precise indicazioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto e qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, deve effettuare una nuova gara pubblica, salvo la sussistenza del vincolo di prova temporaneo[14].
Leggendo le recenti sentenze si è concordi nel credere che il giudizio sulla fondatezza della modifica degli elementi del contratto – rinegoziatoria o in prorogatio – sancisca l’imparzialità degli stessi ma non ponga una fondata tutela dei soggetti lesi dalla rinegoziazione, ossia i terzi che sarebbero potuti essere concorrenti. A parere di chi scrive, i terzi non aggiudicatari andrebbero tutelati oggettivamente e sulla base di un danno ipotetico da perdita di chances, e non per mezzo dell’annullamento della delibera di rinegoziazione, dal momento che essi dispongono di un piano probatorio alquanto diabolico per dimostrare una possibile vittoria dell’appalto.
Alla luce di ciò, si può affermare che la disciplina applicabile ante riforma del 2016 considerava non lesiva la rinegoziazione dei contratti se effettuata nei criteri di legge, mentre la disciplina odierna è concorde nel ritenere che debba essere espletata la gara d’appalto a prescindere.
Non per ultimo, ad accrescere la posizione favorevole alla rinegoziazione all’epoca dei fatti, va aggiunto l’articolo 15, comma 13, lett. B) del D.L. 95/2012, che fondava altresì un obbligo in capo alle Aziende Sanitarie di rinegoziare contratti efficaci allo scopo di ricondurne i prezzi unitari di fornitura a quelli di riferimento[15] rispettando i principi di affidamento ed esecuzione e impedendo la rinnovazione di contratti oggettivamente, soggettivamente e causalmente diversi da quelli affidati[16].
In ragione di quanto esposto, oltre che in virtù della situazione economico-finanziaria della Asl 1 al momento della rinegoziazione, si ritiene da parte di chi scrive che non vi sia stato un adeguamento abnorme del precedente contratto da cui possa derivare una violazione del mercato concorrenziale, in quanto opzione rientrante nel diritto potestativo della stazione appaltante di rinegoziare attenendosi alla lex specialis.

3) Analisi della responsabilità amministrativa e distinzione tra colpa grave e lieve
La Corte Costituzionale, con Sent. n. 371/1998, ha stabilito che deve essere valutata positivamente la limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, rispondendo ciò all’intento “di predisporre, nei confronti dei dipendenti e degli amministratori pubblici, un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa[17].
Dal canto suo, la giurisprudenza comunitaria, pur non riprendendo espressamente la nozione di colpa, tiene conto della “gravità della violazione commessa dall’amministrazione”.     L’eguaglianza colpa/violazione grave cui è arrivata la giurisprudenza comunitaria è stata ripresa anche dalla giurisprudenza amministrativa italiana[18].
Così, per fare un esempio, in una recente sentenza del Tar Lazio si legge che “il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave[19].
Da tale quadro giurisprudenziale si delinea un primo assetto della responsabilità erariale. I funzionari che hanno posto in essere attività illegittime per loro “gravità”[20] dovrebbero essere chiamati a rispondere innanzi al giudice contabile del danno derivante dalla loro lesione alle casse entrate statali, affinchè si valutino le situazioni soggettive e oggettive riferibili all’agente della pubblica amministrazione accusato del danno erariale dall’organo inquirente della Corte dei Conti.

La distinzione tra colpa lieve e colpa grave si trova nella giurisprudenza contabile, la quale ha chiarito che per la valutazione della colpa grave non bisogna semplicemente riscontrare la violazione ma che tale violazione sia accompagnata da un quid pluris sintomatico di volontà colpevole caratterizzata da particolare intensità[21].
Dal punto di vista istruttorio, il PM contabile può esercitare il potere d’indagine solo “in presenza di fatti o notizie che facciano presumere comportamenti illeciti di pubblici funzionari in quanto astrattamente produttivi di danno erariale[22] e che gli stessi siano riconducibili a soggetti in rapporto di servizio con la pubblica amministrazione.
Gli artt. 18 e 19 del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10.1.1957, n. 3) confermano che la responsabilità amministrativa è conseguenza della violazione di obblighi di servizio con funzione restitutoria rispetto al danno subito effettivamente dall’amministrazione e con finalità diverse rispetto al fine restitutorio civilistico[23].

Ulteriore elemento ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa è il nesso eziologico che deve intercorrere tra trasgressione posta in essere dal dipendente pubblico ed evento, che determina la sussistenza effettiva del danno erariale[24].

Nel caso di specie, a seguito dell’illegittima azione amministrativa acclarata con sentenza TAR L’Aquila 398/2015, la polizia giudiziaria utilizzava il criterio del costo per test relativo all’anno 2016 – anno di espletamento della gara – per quantificare il danno arrecato dai pubblici dipendenti della ASL alle casse statali, arrivando a individuare il danno in euro 3.030.955.30, ove la ASL avesse aggiudicato la fornitura a mezzo di procedura concorsuale anziché attraverso la rinegoziazione del contratto.
La colpa che si vuole imputare all’amministrazione è intesa come colpa dell’organo apparato.
Tale danno, poi riquantificato dal Giudice contabile in euro 150.000 secondo una stima equitativa ai sensi dell’art. 1226 cc, era ragionevolmente fondato ma indeterminabile nel quantum, data l’impossibilità di una stima precisa dei costi che si sarebbero effettivamente sostenuti nel 2013.

La Cassazione civile, con sentenza n. 4534/2017 ha dato un’interpretazione sistematica dell’art. 1226 cc, stabilendo che “la liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell’ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile”. Per quanto il danno sia stato effettivamente dimostrato dalla Procura della Corte dei Conti, resta, a parere di chi scrive, il dubbio dell’imputabilità di tale danno a titolo di colpa grave. Nella recente interpretazione giurisprudenziale della colpa grave, diversi TAR italiani[25] si sono pronunciati sull’applicabilità della stessa: “l’effetto preventivo della sanzione, volto a dissuadere da comportamenti illeciti, non deve infatti ingenerare eccessivi timori, poiché ciò finirebbe con il paralizzare l’attività delle amministrazioni, producendo un effetto contrario rispetto al fine auspicato, cioè al buon andamento”. Stando a tale impostazione bisognerebbe dunque lasciare un margine discrezionale all’operato dei pubblici dipendenti, che risponderebbero amministrativamente del proprio operato solo nelle situazioni di mancanza di diligenza, violazione delle disposizioni di legge o sprezzante trascuratezza dei propri doveri[26].
Infatti, come sottolineato anche nel  decisum, “la responsabilità amministrativa deve essere di stimolo e non di freno per l’amministratore ed il funzionario pubblico” altrimenti si ricadrebbe in una paralisi dell’apparato amministrativo.

Attività amministrativa legittimata o meno    

 

Il principio di efficacia richiama, quale indice essenziale, il conseguimento dei risultati, ovvero la concreta idoneità dell’azione amministrativa a conseguire i risultati prefissati in tema di tutela degli interessi pubblici[27].
A quanto premesso si ricollega il concetto di amministrazione di risultato: “un’amministrazione stretta nel suo agire ai vincoli del legalismo formale, impossibilitata a gestire i propri obiettivi assumendosi la responsabilità del conseguimento di risultati utili per la collettività alle cui esigenze adattare modalità e contenuti della propria azione, sicuramente cozza con l’obiettivo reale dell’amministrazione, che di certo non è tenuta alla semplice esecuzione della legge”[28].
Un’interpretazione di tal guisa ha permesso al TAR Piemonte, con sent. n. 319/1996, di ritenere che, in alcuni casi per il miglior conseguimento del risultato, si possano (e si debbano) scegliere soluzioni economicamente non vantaggiose[29].
Se tale principio venisse applicato nelle procedure ad evidenza pubblica, non dovrebbe essere esulata la possibilità, tramite un’interpretazione estensiva, di scegliere discrezionalmente la rinegoziazione di un contratto in attesa dell’espletamento della gara. Come evidenziato dalle difese, vista l’elevata complessità della gara da attuare, venivano tempestivamente iniziate le procedure propedeutiche alla predisposizione dei capitolati; ciò avveniva nel maggio 2013 e si concludeva, dopo l’analisi di tutte le possibili condizioni economiche poste a base di gara, nell’indizione della stessa nel 2016. Era proprio tra il 2013 e il 2016 che l’attività amministrativa veniva posta in essere. Nelle more dell’espletamento della gara la ASL doveva adempiere alla necessità di garantire la continuità dei servizi e per tali ragioni l’offerta conveniente ed urgente del fornitore con cui si rinegoziava il contratto poteva essere considerata legittima.
Per giunta è riconosciuto anche dal Giudice della Corte dei Conti l’impegno portato avanti dalla stazione appaltante per ridurre il costo medio unitario per test negli anni di rinegoziazione necessitata: “già nel 2014, dopo la rinegoziazione, esso fu ridotto di quasi il 30% rispetto all’anno precedente, per poi attestarsi nel 2016 su un valore di oltre il 50 % inferiore rispetto a quello del 2013”
In tal senso la Delibera ritenuta illegittima dal TAR potrebbe essere letta come un atto necessitato, ossia un atto emanato in condizioni di urgenza e necessità, che non avrebbe contenuto atipico come l’ordinanza d’urgenza, in quanto, al contrario, andrebbe ricondotta alle ipotesi che la legge ammette e disciplina, con la differenza che la pubblica amministrazione in tali casi vi ricorra in condizioni di necessità ed urgenza[30]. Questo tipo di atto rappresenta esercizio di poteri ordinari in situazioni straordinarie, per il verificarsi di eventi non prevedibili ed urgenti, in deroga ad alcune norme che in situazioni normali dovrebbero essere applicate. Comunque, dalla ricostruzione dei fatti riportate dalle resistenti, si evince che in quel dato momento storico ed economico, la rinegoziazione dei contratti in essere sembrerebbe essere stata finalizzata ad una riduzione dei costi oltre che all’inderogabile necessità da attuare nelle more dell’espletamento della gara.

Il carattere amministrativo dei provvedimenti necessitati d’urgenza è positivamente sancito dagli artt. 14 e ss. della l. 400/1988 i quali disciplinano l’autonomia normativa della pubblica amministrazione: nel curare l’interesse pubblico viene così ritenuto legittimo emanare provvedimenti che abbiano un vigore normativo tipizzato ma siano applicabili in situazioni di necessità ed urgenza. E così, ad esempio, il codice dei contratti pubblici ante riforma consentiva “in casi di estrema urgenza risultante da eventi imprevedibili per la stazione appaltante” (art. 57 d.lgs. n. 163/06)[31] la possibilità di derogare alle regole della gara procedendo a trattativa privata[32]. Allo stesso modo, l’art. 7 della L. 241/1990 consente la deroga all’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento “per particolari esigenze di celerità”; e la legge generale sull’espropriazione per pubblico interesse, consente l’occupazione della proprietà privata, derogando alla disciplina comune, qualora “l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza” (art. 22-bis, d.P.R. n. 327/2001).
Sembra di essere dunque nell’ambito della tipicità e di rientrare nell’ordine normale delle competenze. Ad ogni buon conto non si può comunque negare che l’esigenza di non interrompere il servizio debba essere limitata entro un certo limite di tempo, potendo comunque la stazione appaltante porre in essere l’attività necessitata “nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure[33].

Di importante rilevanza è anche una sentenza del TAR Veneto[34], con cui proprio in ragione della particolare natura del servizio oggetto di appalto (caso di refezione scolastica) che non può patire interruzioni senza compromettere gravemente i diritti fondamentali ed essenziali degli alunni, è stata legittimata l’esecuzione d’urgenza del servizio anche omettendo il parere di altri operatori economici.
Pertanto, nel trovarsi a paragonare a tale fattispecie il diritto alla salute ex art. 32 Cost., unico articolo in cui compare il “termine” fondamentale nella Costituzione, si potrebbe giungere alla conclusione per cui la necessità di rinegoziare il contratto sia stata posta in essere proprio per tutelare quel diritto fondamentale.

 

Danno e responsabilità nella casistica giurisprudenziale

 

L’articolo 28 della Costituzione è norma anteposta ad accostare alla responsabilità diretta della pubblica amministrazione quella dei suoi dipendenti per danni cagionati alla stessa pubblica amministrazione.
Il danno è rappresentato dalla diminuzione patrimoniale apportata all’Erario in virtù della condotta illecita del dipendente[35] legato da rapporto di servizio sopra specificato.
In ambito sanitario, per il direttore sanitario, come anche per il direttore amministrativo, è ormai pacifica la legittimazione passiva, nei giudizi di responsabilità amministrativa, quali “coadiuvanti organici” del direttore generale[36].
La sentenza fa riferimento ai diversi arresti giurisprudenziali intervenuti in materia di danno alla concorrenza. Nel caso specifico il danno è individuato nel maggior costo sostenuto dall’amministrazione, rispetto a quello che si sarebbe ottenuto con procedura selettiva.
Il direttore sanitario è responsabile in via di principio per fatti dannosi collegati alle sue funzioni igienico-sanitarie, quali delineate dall’art. 3 d.lgs. 502/1992. Il direttore sanitario, secondo la giurisprudenza delineatasi negli anni, risponde per la spesa di assicurazione di apparecchiature fatte consegnare anticipatamente e non utilizzate[37] o per il deterioramento di apparecchiature fatte acquistare senza la previa verifica della possibilità di utilizzarle[38]. Al contrario, non è stato ritenuto responsabile per aver favorito con una dichiarazione di esclusiva un acquisto a trattativa privata di un’attrezzatura comunque necessaria[39]. Per quanto riguarda il dirigente amministrativo, si è esclusa la responsabilità dello stesso per la nomina di un consulente tecnico poiché ritenuto di competenza del direttore generale[40]. Il dirigente del Servizio, a sua volta, risponde per il mancato aggiornamento degli elenchi degli assistiti[41] e per la mancata disdetta di un rapporto negoziale[42].
Per configurare la responsabilità amministrativa va rammentato che non è condizione necessaria la precisa competenza all’emissione di un atto o l’intervento a un procedimento, ma occorre dare rilievo al fatto del soggetto che con la propria condotta ha causato un danno all’erario[43]. Il dirigente di vertice – il direttore generale -, in quanto direttamente responsabile dell’attività di gestione non potrà non essere chiamato a discolparsi per i danni erariali derivanti dal mancato raggiungimento degli obiettivi, ma va sempre effettuata una valutazione sugli elementi soggettivi di imputazione[44]. Per cui le attività prodromiche al danno erariale – in tal caso azioni dirette all’impoverimento delle casse statali- anche se non realizzate direttamente dal direttore generale dell’azienda sanitaria, potranno essere tranquillamente a lui ricondotte in ragione dei suoi obblighi di vigilanza e/o verifica.

Da ciò si apprende che “il direttore generale è una figura che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e organizzativi definiti dal Piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il Piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale”[45]. Posto ciò, dal punto di vista soggettivo, sembra abbastanza aleatorio ricondurre la responsabilità erariale in capo a quattro soggetti ulteriori rispetto al direttore generale, come invece fa la Corte dei Conti abruzzese. Ciò anche in virtù del rapporto tra atteggiamento soggettivo dei pubblici dipendenti ed evento dannoso[46].
Dal punto di vista oggettivo va sottolineato che è altresì arduo provare la somma effettiva alla quale si sarebbe potuto rinegoziare, essendo i contesti di mercato in cui si verificava la rinegoziazione totalmente diversi da quelli in cui veniva espletata la gara. Infatti “nei giudizi per responsabilità amministrativa il procuratore regionale ha l’onere di provare il danno erariale contestato, con la conseguenza che, qualora sia stata eccepita l’incongruità del prezzo della aggiudicazione di un appalto a trattativa privata, la prova del danno non si intende raggiunta in mancanza di scostamento dal valore prefissato secondo indici obiettivi ovvero per palese e ingiustificato allontanamento dai prezzi e dalle condizioni di libero mercato[47]. Dunque, pare di giungere alla conclusione secondo cui, per provare un danno relativo al mancato adeguamento dei prezzi, vi sia in capo alla procura contabile un onere che potrebbe sfociare in una quantificazione infondata. Nel caso in esame, la metodica indicata dall’organo inquirente nella determinazione del danno appare, anche secondo il decisum, “abbastanza eccentrica rispetto alla materia del contendere”. Infatti la controversia, che verte sul danno erariale derivante dalla rinegoziazione, non può arrivare ad estendersi a quelle forniture che alla rinegoziazione sono rimaste estranee. In questo senso, ritenere valutabili nella determinazione del quantum di danno due situazioni tra di loro differenti nel tempo e nel modus – la rinegoziazione del 2013 e la gara espletata nel 2016 – potrebbe condurre ad una errata oltrechè infondata quantificazione.

La riduzione dell’addebito e la funzione di stimolo della giustizia amministrativa

L’art. 83 del R.D. n. 2440/1923 prevede il c.d. potere riduttivo dell’addebito in capo al Giudice contabile, ovvero la la possibilità di porre a carico dei responsabili anche solo una parte del danno accertato in sede giurisdizionale[48]. Il Giudice, nelle ipotesi di responsabilità per colpa grave, ha dunque il potere di ridurre l’entità del risarcimento in relazione a fattori come quello del grado di gravità della colpa o delle condizioni personali, fino a soddisfare l’intero danno[49].
Nella Sentenza che si commenta si fa riferimento all’articolo 1226 cc per l’applicazione del principio di equità nella rideterminazione del danno, ma la dottrina è propensa a ritenere che il potere di riduzione dell’addebito riconosciuto al Giudice contabile, consistente nella graduazione della sanzione in relazione al caso, possa essere comunque determinato anche con il ricorso ai criteri equitativi sanciti dagli artt. 133 e 133-bis cp, escludendo comunque il profilo sanzionatorio della condanna[50].
Ad ogni modo, qualsiasi elemento a carattere sia materiale sia psicologico può essere stimato per ridurre l’addebito se non cozza con la fattispecie di responsabilità argomentata in giudizio e ha almeno una rilevanza causale con la stessa[51].
Sembra altresì opportuno osservare che l’articolo 1, comma 1 bis, della Legge n. 20 del 1994 fissa il canone secondo cui, fermo restando il potere di riduzione dell’addebito, bisogna sempre tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità. Con l’introduzione di tale norma il legislatore ha inteso di considerare, nell’ottica della rideterminazione del danno e della correlativa definizione della misura dell’addebito anche i vantaggi a beneficio dell’Ente e da valutarsi ovviamente prima della determinazione del quantum e della relativa riduzione dell’addebito.
Questo recente approccio ha fatto si che si consolidasse un interessante filone giurisprudenziale il quale difende l’esonero dalle responsabilità a fronte del danno erariale per mancanza del requisito della colpa grave, o quantomeno l’attenuazione della colpevolezza dell’agente per concorso di colpa dell’Ente danneggiato, invocando l’applicazione del potere riduttivo, in favore dei funzionari che abbiano operato “in un contesto connotato dalla presenza di carenze organizzative diffuse e di particolare gravità, direttamente riconducibili all’insufficiente ed  inefficace assetto strutturale e procedimentale dell’Amministrazione, con la conseguenza che il nocumento non può essere imputato, o, comunque, non interamente, al soggetto che ha materialmente posto in essere l’ultimo comportamento in ordine di tempo”[52].


Per queste ragioni si ritiene che una valutazione meticolosa dell’elemento soggettivo per cui si procede all’addebito possa sicuramente avere una funzione più garantista nei confronti di chi, seppur debba essere considerato responsabile per il ruolo dirigenziale rivestito, si trovi in una situazione di difficoltà di gestione dovuta alle precedenti amministrazioni o abbia oggettivamente apportato vantaggi in termini economici con il proprio comportamento ritenuto responsabile dal Giudice contabile, come previsto anche dall’articolo 1, comma 1-bis, della Legge n. 20 del 1994.

Riguardo al caso di specie, la Corte dei Conti ha maturato il convincimento di determinare nel 3% l’ulteriore mancato ribasso di prezzo risarcibile a titolo di “perdita di chances”, ritenendo valide molte delle circostanze dedotte dalle difese e limitando il danno al solo valor per il quale si ritenesse sussistente la certezza di contrarre ad un prezzo inferiore. Tuttavia, anche nella determinazione del danno equitativamente rimodulato, non si intende per quale ragione lo stesso non sia stato valutato da un consulente tecnico: la polizia giudiziaria, nell’effettuare il calcolo del danno nelle proprie indagini, ha utilizzato modalità ben specifiche; per la valutazione tecnica del danno equitativo, si ritiene che il Giudice contabile difetti delle competenze tecniche.
Ad ogni modo, è esclusa la determinazione in via equitativa laddove il danno non è di impossibile o di difficile quantificazione[53]. Al contrario si crede che neanche si possa ricadere nell’indeterminabilità assoluta. Sembra congruo affermare che la determinazione in via equitativa non sia un equivalente alla lesione dell’interesse patrimoniale colpito, ma un “corrispettivo di carattere riparatorio”. Per questo la giurisprudenza sembra essere ormai orientata e riconoscere un ristoro in via equitativa del solo danno all’immagine e in questa ipotesi non sembrerebbe che l’Asl abruzzese abbia subito un danno di tal guisa. Si ritiene che non sussistendo un danno determinabile debba essere disatteso anche il ricorso all’equità per la determinazione del danno, in quanto la giustizia non potrà mai adottare parametri di incertezza.

 Conclusioni

 

L’orientamento sostenuto dalla Corte dei Conti non può ritenersi condivisibile in quanto la determinazione del danno non è corroborata da valutazioni tecniche di un consulente. Per quanto la sentenza del Giudice amministrativo abbia giustamente ritenuto sussistente un danno alla concorrenza e una distorsione delle regole del mercato delineato dal Codice dei Contratti Pubblici, al contrario la prova del conseguente danno erariale non si fonda su basi giuridiche solide. Se il criterio quantistico adottato dalla polizia giudiziaria è da considerarsi totalmente incongruo, ancor più bisogna ritenere vacua la riduzione del danno secondo equità effettuata dal Giudice. La necessità di valutare la colpa in base ai criteri di prevedibilità ed evitabilità del danno fondano la convinzione per cui non vi sia il quid pluris necessario per far scattare la gravità della colpa, restando la stessa nell’alveo di una lieve responsabilità soggettiva. La valutazione del Giudice non può sconfinare nell’arbitrio di una determinazione inconfutabile di colpa grave: non si può basare la responsabilità erariale dei dipendenti su meri calcoli matematica futuribili e incerti o supposti in via equitativa. D’altro canto non vi è chi non potrebbe condividere la tesi per cui la rinegoziazione del contratto sia stato un atto necessitato della pubblica amministrazione per permettere la continuità del servizio e per tutelare la salute dei cittadini.

Un’interpretazione costituzionalmente orientata del previgente articolo 57 del Codice dei Contratti Pubblici non può che confermare la scelta dell’Amministrazione di salvaguardare l’interesse collettivo, in attesa dell’espletamento della gara. La preparazione di un bando di gara di certo non è attività di pochi giorni: se dovessimo contestualizzare la situazione della Asl 1 all’epoca della rinegoziazione arriveremmo alla conclusione per cui, data la riorganizzazione territoriale in atto, le procedure in corso erano plurime e la carenza di personale faceva da sfondo. Inoltre la redazione della documentazione concernente la lex specialis è complessa e richiede la partecipazione di tecnici competenti. Per queste ragioni la necessità di tutela della salute non è venuta meno grazie alla rinegoziazione.

Ad ogni buon conto i giudici contabili d’appello, in data 18 novembre 2019, hanno assolto con formula piena i cinque condannati dalla magistratura contabile di primo grado. Nella sentenza della Corte dei Conti di Roma, a tal proposito, viene affermato che “la carenza di prova in ordine alla sussistenza degli elementi essenziali, costitutivi della responsabilità erariale (il danno) rende superfluo l’esame degli altri motivi d’appello e conduce inevitabilmente all’assoluzione di tutti gli appellanti dagli addebiti contestati”. Si legge altresì nella motivazione della sentenza che “al fine di comprovare la sussistenza del danno alla concorrenza derivato dal mancato esperimento della gara di rinegoziazione, di un contratto biennale di fornitura di un certo tipo di beni, stipulato nell’agosto del 2013, la Procura e il Giudice di primo grado hanno assunto come parametro di riferimento l’offerta per un contratto di fornitura, fatta nel 2016, per un periodo di tempo maggiore, per prodotti in buona parte diversi, e a condizioni contrattuali essenzialmente diverse. E’ di palmare evidenza che elementi quali la tipologia del contratto e la durata dello stesso, la tipologia dei prodotti oggetto della fornitura, l’epoca di stipulazione connotano il parametro di riferimento, incidendo sulle condizioni dell’offerta e, quindi, pregiudicandone in modo irrimediabile, quella omogeneità che fonda il confronto”. Dunque i giudici della Corte d’Appello contabile hanno ritenuto “non pertinente il parametro della Procura per dimostrare la sussistenza del danno, in quanto disomogeneo rispetto al termine di paragone ottimale”.

Volume consigliato   

 

 

BIBLIOGRAFIA

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[1] Con l’espressione danno da concorrenza, nella giurisprudenza di questa Corte, si indica il danno subito dall’Amministrazione quando un contratto venga definito violando le prescrizioni dell’evidenza pubblica che stabiliscono il previo esperimento di una gara al fine di permettere la scelta tra varie società partecipanti, la migliore offerta per l’acquisizione di beni e servizi oggetto della gara. Cfr. C. Conti, sez. Lombardia, 20 dicembre 2016 n. 222.

[2] Composta da direttore generale, amministrativo e sanitario. La direzione strategica, secondo quanto disposto dal D.Lgs. 502/1992 definisce, sulla base delle indicazioni della programmazione regionale, le strategie e i programmi aziendali dei quali ne controlla la realizzazione.

[3] Sulla rinegoziazione di elementi essenziali del contratto si veda R. Garofoli, Trattato sui contratti pubblici, Volume VI, Giuffrè 2008, p. 3888 ss.

[4] Il codice degli appalti prevede che in caso di non concessione della sospensiva l’amministrazione possa andare avanti nella gara.

[5] Sul giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti e in particolare sulla fase delle indagini si legga La nuova Corte dei Conti. Responsabilità, pensioni, controlli, a cura di V. Tenore, Giuffrè 2008, p. 351 ss.

[6] Cons. di Stato, Sez. V, n. 9302 del 31 dicembre 2003

[7] Tra questi, sulla differenza tra modifica unilaterale e bilaterale del contratto si veda G. Amore, Appalto e claim, Cedam 2007, p. 11 ss.

[8] https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6444

[9] Tar Piemonte, sez. I, sentenza n. 1029 del 12 giugno 2014

[10] Idem

[11] http://www.appaltiecontratti.it/2018/06/25/proroga-e-rinnovo-negli-appalti-pubblici/

[12] Poi recepita nella l. 18 aprile 2005, n. 62

[13]Cfr.  Diritto dei contratti pubblici, a cura di F. Mastragostino, Giappichelli 2017, p. 185.

[14] Tar Lazio, sez. II bis, 10 settembre 2018, n. 9212.

[15] Per uno studio approfondito di questo settore specifico si legga Gli appalti sanitari dopo Spending Review e legge di stabilità 2013, a cura di A. Massari, Maggioli 2013.

[16] Tar Lazio, sez. I bis, sent. 16 dicembre 2008, n. 11405.

[17] P. Novelli, L. Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Giuffrè 2008, p. 67 ss.

[18] Per tale nozione oggettiva di colpa si legga Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa, atti dell’incontro preliminare AIPDA, Università degli Studi di Bergamo- 2016, a cura di M. Andreis e R. Pellegrini, Giappichelli 2016, p. 67 ss

[19] Tar Lazio, Sez I-quater, 4 maggio 2016, n. 5126; ma si veda anche, in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, n. 6059/2006.

[20] Come noto con la legge 639/1996 tutti i dipendenti pubblici sono responsabili nei soli casi di colpa grave (oltre che di dolo). Ha accolto con favore tale scelta G. La Torre, Le nuove disposizioni dell’ordinamento della Corte dei Conti, in Amm. It. 1997, p. 287

[21] La colpa grave non discende dalla violazione di un obbligo di servizio ma consiste in una ammissibile trascuratezza e negligenza dei propri doveri, coniugata alla prevedibilità delle conseguenze dannose del comportamento, nonché alla inesistenza di significativi margini di dubbio interpretativo”. Cfr. C. Conti, Sez. Friuli, 12 ottobre 2004, n. 373

[22] Corte Cost. n. 100/1995

[23] D’Alberti, M., Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli 2017

[24] C. conti, sez. riunite, n. 848/1993

[25] TAR Piemonte, 846/2016. TAR Sicilia, n. 1485/2011; TAR Friuli Venezia Giulia, n. 291/2011

[26] Così C. Conti, Sez. I, 4 agosto 1999 n. 246

[27] I. Franco, Il nuovo procedimento amministrativo commentato, Cedam 2001, p. 57 ss.

[28] V. Cerulli Irelli, Costituzione e amministrazione, Giappichelli 2002, p. 385

[29] La sentenza citata si riferiva ad una procedura ad evidenza pubblica in cui veniva riconosciuta quale vincitrice un’offerta economica di valore elevato rispetto alle altre.

[30] B. Consales, L. Laperuta, Compendio di diritto amministrativo, Maggioli 2011, p. 57 ss.

[31] Tuttavia oggi il ricorso alla facoltà prevista dall’art. 57 del vecchio codice implica che la motivazione circa la necessità della trattativa con un unico imprenditore debba essere rigorosa e dimostrare che un determinato operatore economico sia l’unico a poter eseguire la prestazione richiesta; Cfr. Parere di Precontenzioso n. 185 del 06/11/2013 – rif. PREC 198/13/S d.lgs 163/06 Articoli 56 – Codici 56.1.

[32] R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè 2017, p. 86.

[33] Consiglio di Stato Sez. V del 3.2.2016 n. 413.

[34] Tar Veneto, I, 24/6/2014, n. 908

[35] A. Altieri, La responsabilità amministrativa per danno erariale, Giuffrè 2012, p. 9

[36] C. Conti, Sez. III, 19 febbraio 2001 n. 41/A

[37] C. Conti, Sez. Umbria, 2 marzo 2000, n. 100

[38] C. Conti, Sez. Lombardia, 31 gennaio 2000, n. 109

[39] C. Conti, Sez. Liguria, 29 ottobre 1999 n. 1005

[40] C. Conti, Sez. Calabria, 4 agosto 2004, n. 273

[41] C. Conti, Sez. Calabria, 3 ottobre 2001, n. 884

[42] C. Conti, Sez. III, 26 febbraio 2001, n. 45/A

[43] M. Atelli, P. Briguori, P. Grasso, A. Laino, La responsabilità per danno erariale, Giuffrè 2006, p. 79

[44] Idem, p. 73

[45] in tal senso, Corte Cost., n. 104/2007

[46] C. Conti, Sez. Toscana, 2 novembre 2005 n. 647

[47] C. Conti, Sez. Umbria, 5 aprile 2004, n. 147

[48] E. De Carlo, La Corte dei Conti: profili di organizzazione, funzionamento e responsabilità, Halley 2005, p. 123

[49] C. Conti, Sez. I, 15 ottobre 2001, n. 291/A

[50] C. Conti, Sez. I, 18 marzo 2003, n. 105/A

[51] V. Tenore, La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè 2008, p. 138

[52] ex multis  C. Conti Sez. III, n. 314 del 2001, n. 601 del 2004 e n. 424 del 2006, Sez. Lombardia, n. 26 del 2006, Sez. Puglia, n. 544 del 2006, Sent. Giur. Sicilia, n. 26 del 2007)

[53] Cass., III Sez. Civile, 8 novembre 2016, n. 22638

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Giacomo Belisario

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