Regolamento contrattuale di condominio: il contrasto giurisprudenziale è servito

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Avevamo paventato, già in tempi non sospetti, di un possibile contrasto giurisprudenziale in merito alla necessità della trascrizione del regolamento condominiale ovvero del semplice richiamo nei singoli atti di acquisto, per la sua concreta opponibilità ai singoli acquirenti (http://giurisprudenzacivile.diritto.it/docs/38742-i-limiti-alla-propriet-privata-imposti-dal-regolamento-contrattuale-possibile-contrasto-giurisprudenziale), ora, con la sentenza n. 22310, pubblicata in data 3.11.2016, il dubbio è diventato certezza.

L’oggetto del contendere è il regolamento condominiale contrattuale, vale a dire quello predisposto dal costruttore o dall’originario unico proprietario dell’immobile in condominio.

La questione non è di poco conto e riguarda potenzialmente migliaia di condòmini, che quotidianamente, sono alle prese con siffatti tipi di regolamento che, spesso, impongono limitazioni alla proprietà privata.

Il regolamento contrattuale viene sovente allegato all’atto di vendita dei singoli appartamenti ma, di frequente, nei rogiti notarili di compravendita ci si limita al mero richiamo dello stesso.

L’allegazione fisica del regolamento contrattuale all’atto di compravendita, al pari del mero richiamo, in ogni caso, obbliga contrattualmente l’acquirente e il venditore per cui, le clausole nello stesso contenute risultano comunque vincolanti per i neo condomini, e tanto anche indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, in virtù del fatto che già il mero richiamo presuppone la conoscenza e l’accettazione del regolamento di condominio (Cass. 17886/2009).

Principio di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19212, pubblicata in data 28.09.2016.

Nella menzionata sentenza si dava atto della consolidata giurisprudenza della Corte per cui “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”.

Tuttavia, a distanza di pochi giorni, in data 18.10.2016, interveniva la sentenza n. 20124, della II sezione civile della Corte di Cassazione, che rimescolava le carte e poneva interrogativi proprio sulla natura delle clausole regolamentari di natura contrattuale che impongono limitazioni alla proprietà privata.

Nell’excursus della sentenza da ultimo citata, la Corte dava atto delle diverse interpretazioni succedutesi nel tempo, quella per cui le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale che impongo limitazioni alla proprietà privata, per essere opponibili ai terzi acquirenti, devono essere enunciate in modo chiaro ed esplicito, anche indipendentemente dalla trascrizione, atteso che le stesse devono ritenersi conosciute o accettate solo in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. n. 17886/09; Cass. 10523/03) e quella per cui, la clausola che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, deve essere approvata all’unanimità e per avere efficacia deve essere trascritta nei registri immobiliari oppure essere menzionata ed accettata espressamente nei singoli atti d’acquisto (Cass. 6100/93).

Ed ancora, delle ulteriori interpretazioni giurisprudenziali che ritengono invece sussistere, a seconda della tipologia di clausola, una servitù ovvero un onere o ancora una cd. obbligazione propter rem (che impone una relazione di subalternità tra l’obbligato e il titolare del diritto di proprietà), pertanto, “possono costituirsi pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, cui corrisponde il restringimento e l’ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari, o possono imporsi prestazioni positive a carico dei medesimi e a favore di altri condomini o di soggetti diversi, ovvero possono limitarsi il godimento o l’esercizio dei diritti del proprietario dell’unità immobiliare. Nel primo caso è configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari; nel secondo un onere reale e nel terzo un’obbligazione propter rem, non trascrivibile. Il divieto di adibire l’immobile ad una determinata destinazione, ovvero di esercitarvi determinate attività è inquadrabile in quest’ultimo istituto, e il corrispondente diritto è prescrittibile se il creditore non lo esercita per il periodo predeterminato dalla legge (Cass. n. 11684/02)”, infine, un altro orientamento per cui, tali clausole limitative, predisposte dall’originario unico proprietario, qualora accettate dai primi acquirenti e regolarmente trascritte nei registri immobiliari, vincolano i successivi acquirenti, sia in merito all’uso o al godimento delle parti comuni, che per le limitazioni alla proprietà privata, configurandosi in tali casi, una servitù reciproca (Cass. 3749/99; Cass. 14898/13).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20124/2016, aderisce a quest’ultima impostazione, statuendo come: “non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi degli arti. 2659, primo comma, n. 2, e 2665 c. e., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. n. 17493/14)”.

Pertanto, cassa con rinvio la sentenza impugnata affermando il seguente principio di diritto: “la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obbligazioni propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio. Pertanto, l’opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi degli artt. 2659, primo comma, n. 2, e 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale”.

Appariva evidente, già allora, come la soluzione adottata nella sentenza ultima (Cass. 18.10.2016, n. 20124), risultava sostanzialmente in contrasto con quella qui pure richiamata (Cass. 28.09.2016, n. 19212), pubblicata appena 20 giorni.

Ma ecco che con la sentenza n. 22310, pubblicata in data 3.11.2016, la Corte di Cassazione interviene ancora sull’argomento stabilendo come: “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio: regolamento che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”, aderendo, pertanto, all’orientamento che potremmo definire maggioritario, richiamato dalla medesima Corte nella sentenza n. 19212/2016.

Ciò posto, visti i rilevanti interessi in giochi, si pensi ad esempio alla clausole regolamentari che impongono divieti all’apertura di B&B, affittacamere e locali commerciali in genere, negli immobili in condominio, nonché la moltitudine di condòmini potenzialmente interessati all’argomento, appare non più procrastinabile l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite.

Sentenza collegata

612157-1.pdf 374kB

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Avv. Accoti Paolo

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