Regolamenti contrattuali di condominio e vincolativita’ dei limiti di destinazione delle cose di proprieta’ esclusiva

Redazione 01/10/01
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Di Gabriele Gentilini

Secondo l’art. 1138 del codice civile ogni condominio può avere e quello in cui il minimo dei condomini è superiore a dieci deve avere un proprio regolamento nel quale siano stabilite le norme d’uso dei vari beni, le norme di funzionamento delle assemblee, i criteri di ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
La medesima norma su richiamata dopo avere posto i principi secondo i quali il regolamento viene formato pone un importante disposizione: “ le norme del regolamento non possono menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e delle convenzioni, ed in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118 2^ comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137”.
E’ proprio su quest’ultima parte che si vuole portare l’attenzione del lettore ed in particolare si vuole evidenziare l’indagine sulla natura puramente regolamentare o contrattuale del regolamento condominiale.
Il punto riveste particolare importanza la dove si vuole capire fino a che punto con un regolamento condominiale si possono apportare limitazioni delle facoltà e dei poteri dei condomini sulle proprietà esclusive con imposizioni di vincoli anche maggiori rispetto alla disciplina codicistica dell’art. 844 c.c.
Non è inutile in questa sede richiamarsi al dettato costituzionale secondo cui la legge, oltre a riconoscere ed a garantire la proprietà privata, ne determina i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale.
Non per niente tra i limiti che la legge pone nell’interesse privato vi è quello delle immissioni il cui principio è quello secondo il quale ciascun proprietario, almeno in teoria, dovrebbe evitare che l’uso della propria cosa comporti conseguenze negative per l’immobile del vicino.
In pratica il limite insormontabile dell’immissione è dato dalla normale tollerabilità: il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità. E’ ovvio che la valutazione di tale criterio viene supportata dalla normale destinazione di un bene, dalla condizione dei luoghi, dalla entità delle immissioni e dalla conseguenze sulle persone che vivono in un certo ambiente.
Ora tale norma è sicuramente applicabile alla prassi condominiale e pertanto in mancanza di un regolamento condominiale avente natura contrattuale che vieti al singolo condomino (anche al conduttore a qualsiasi titolo oneroso o gratuito) un determinato comportamento all’interno dell’immobile di sua proprietà, la legittimità di tale comportamento deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni.
A questo punto è necessario ritornare un momento a quel principio sopra richiamato secondo cui “ le norme del regolamento non possono menomare i diritti di ciascun condomino…”
Bisogna dire che tale norma si riferisce ai regolamenti approvati a maggioranza, non già a quelli che vengono approvati da tutti i condomini, i quali hanno valore contrattuale e come tali possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse o maggiori rispetto a quelle stabilite dalla citata norma, con l’obbligo del condomino di adeguarsi alla norma regolamentare in via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall’art. 1372 c.c. (vedi cassazione n. 1195/92; n. 49/92; n. 4554/86; 5241/78).

E’ opportuno qui richiamare gli indirizzi giurisprudenziali più accreditati sia di legittimità che di merito, i quali dimostrano uniformità di interpretazione per quanto riguarda i principi sopra espressi.
Secondo la Cassazione n. 6768 del 15.06.91 “le norme dei regolamenti condominiali che al fine di assicurare ai condomini un godimento pieno e tranquillo, sia delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, sia delle parti comuni dell’edificio, pongono limitazioni all’uso di esse, riducendo la naturale esplicazione del diritto di proprietà, hanno natura contrattuale e debbono perciò essere approvate – a differenza di quelle concernenti la disciplina dell’uso delle cose comuni e dei servizi condominiali – all’unanimità. Esse inoltre vincolano gli acquirenti dei singoli appartamenti indipendentemente da qualsiasi trascrizione del regolamento, allorché essi negli atti d’acquisto, facendo esplicito riferimento al regolamento condominiale dimostrino di esserne a conoscenza e di approvare il contenuto, anche senza menzione espressa delle singole disposizioni”.
Pertanto le limitazioni contenute in un regolamento condominiale che vanno ad incidere sul diritto di godimento delle singole proprietà esclusive, restringendolo, danno luogo a vincoli di natura reale configurabili come oneri reali (vedi Cass. N. 4434/57; 1091/68) od a servitù prediali (Cass. 4781/83).
In ogni caso tali limitazioni considerata la loro natura convenzionale, esigono per la loro validità ed efficacia, l’adesione in forma scritta di tutti i condomini interessati.
“ Di conseguenza se queste limitazioni sono contenute in un regolamento condominiale, è necessario che questo rivesta le caratteristiche di regolamento contrattuale, cioè che sia predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio e successivamente accettato dai singoli condomini nei rispettivi atti di acquisto, o con atti separati, ovvero deliberato in assemblea dalla totalità dei condomini. Per essere opponibile anche ai terzi acquirenti a titolo particolare dell’unità immobiliare, siffatto regolamento deve essere precisamente trascritto nei registri immobiliari: in mancanza esso deve essere richiamato ed accettato nel contratto di acquisto da parte del terzo” (Cass. 1878/65; 2024/64;trib. Genova 30.11.87 Pres. E Rel. Giordano).
“ Il regolamento di condominio può disciplinare le situazioni di diritto reale riguardanti le parti di proprietà esclusiva dell’edificio soltanto se abbia natura contrattuale e cioè quando sia stato predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio stesso ed accettato con i singoli atti d’acquisto, ovvero quando venga adottato con il consenso unanime dei condomini manifestato nelle forme prescritte” (Cass. 5065/86).
Così tutte le clausole che vanno ad incidere direttamente sulla sfera soggettiva dei condomini hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
La Cassazione con sentenza n. 3848/85 stabilisce che il divieto a carico del condomino dell’edificio, di dare una determinata destinazione alla porzione di sua proprietà esclusiva, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, non può derivare da una deliberazione assembleare, adottata con le maggioranze previste per la regolamentazione dell’uso e del godimento dei beni comuni (art. 1138 c.c.) ma presuppone un titolo convenzionale, con la accettazione del vincolo da parte del condomino stesso (in sede di acquisto della proprietà esclusiva, ove si tratti di vincolo predisposto dal costruttore od originario proprietario dell’edificio, o con separato atto successivo, ovvero anche con adesione alla decisione assembleare che introduce il vincolo medesimo). In difetto di tale accettazione pertanto deve escludersi che una certa utilizzazione dell’alloggio di proprietà esclusiva possa di per sé costituire fatto illecito, avverso il quale sia dato al condominio od agli altri condomini facoltà di insorgere, salva restando la tutela di questi per gli eventuali pregiudizi che possano derivare dal concreto svolgimento delle attività inerenti a detta destinazione e dalle relative modalità (ad esempio, in caso di immissioni eccedenti la normale tollerabilità a norma dell’art. 844 c.c.).
“Le limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai singoli condomini introdotto con un regolamento di condominio approvato in assemblea, poiché generano dal lato passivo degli oneri reali incidendo sulle proprietà dei singoli, richiedono a pena di nullità, l’unanimità dei consensi dei condomini”. (Cass. N. 4905/90)

In particolare quello che si vuole evidenziare in tale sede è il rapporto tra i contenuti del regolamento contrattuale di condominio ed i divieti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale.

Dopo avere esposto in sintesi quelli che sono gli aspetti di validità ed efficacia del regolamento condominiale contrattuale si vuole analizzare il contenuto delle eventuali clausole contenute nel regolamento e portatrici di limiti alle proprietà esclusive.
Così dopo avere appurato che hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei condomini quelle clausole che incidono direttamente sulla sfera soggettiva dei medesimi è il caso di citare alcune importanti decisioni di legittimità emanate dalla Corte suprema.
“I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimenti ai pregiudizi che si intendono evitare: nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell’elenco; nella seconda ipotesi è necessario accertare l’effettiva capacità della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti cui, con la norma, si vuole ovviare” (Cass. N. 1544/74; Cass. N. 4554/86).
“Quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o non immissione vietata a norma dell’art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuae possono sempre imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dalla indicata norma generale sulla proprietà fondiaria” (Cass. N. 4554/86)

Stante la su accennata giurisprudenza di legittimità ci pare giusto sostenere che nel caso in cui il regolamento di condominio faccia divieto di adibire i locali di proprietà individuale all’esercizio di attività tali da comportare un’alterazione nella condizione di tranquillità dei partecipanti alla collettività condominiale, la valutazione che si può fare delle attività svolte non può limitarsi solo alla rilevanza delle immissioni che ne derivano, in quanto la prescrizione regolamentare che fa riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare risulta intesa a salvaguardare la collettività proprio dall’onere di dovere sopportare quelle immissioni che siano in ogni modo causa di fastidio, ma deve estendersi anche a tutti i potenziali elementi di disturbo che una certa attività comporti incidendo sul bene oggetto di tutela.
Tutto questo anche in relazione alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche privilegiando alla luce del dettato costituzionale le esigenza personali di vita connesse all’abitazione rispetto alle utilità meramente economiche inerenti l’esercizio di attività commerciali o pseudo commerciali (vedi la sentenza della Cass. N. 3090/93.

Firenze, 07.11.2001

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