Risarcimento del danno da reato e prescrizione

Ivano Ragnacci 23/02/23
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Risarcimento del danno da reato e prescrizione: la Cassazione dice sì, anche se l’estinzione viene dichiarata in primo grado, per errore.
>>>Leggi Corte di Cassazione – sez. V Pen. – Sentenza n. 1319 del 16-01-2023<<<

Indice

1. Il fatto

La Corte di Appello di Roma, Sezione I^, in data 9 settembre 2020, pronunciando Sentenza a seguito di impugnazione proposta dal P.M. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, che in tal senso venivano incalzate con apposita richiesta dalla parte civile, nonché dal difensore della costituita parte civile con autonomo atto d’impugnazione ex art. 576 c.p.p. – che rilevavano l’errore in cui era incorso il Giudice di prime cure nel dichiarare il reato estinto per prescrizione – dichiarava, poi, la prescrizione del reato ascritto, intervenuta in grado di appello, negando il risarcimento alla parte civile, il tutto in seguito al rinnovo dell’intera istruttoria dibattimentale, mozzata arbitrariamente in primo grado.
In particolare, nella motivazione dei Giudici della Corte di Appello capitolina, si legge che “… nella descritta situazione (assenza di una pronuncia di colpevolezza in primo grado degli imputati con conseguente condanna degli imputati al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile) essendo oggi il reato estinto per prescrizione, ritiene questa Corte, in armonia con le richieste del P.G. in udienza, di emettere mera declaratoria di improcedibilità”, tuttavia, come si vedrà meglio oltre, nonostante si dava conto nella stessa sentenza che non vi fossero gli elementi per una pronuncia, all’esito della già detta istruttoria dibattimentale rinnovata, di cui al comma 2 dell’art. 129 c.p.p..
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2. Analisi dell’istituto

La costituzione di parte civile è un’enclave di processo civile nel processo penale ispirata ad una ratio di economicità del processo stesso e volta ad ovviare il rischio di giudizi confliggenti riguardo un medesimo fatto.
Tuttavia, va evidenziato come l’istituto de quo abbia perso i connotati di azione dipendente e accessoria alla pregiudiziale penale che lo caratterizzavano nel codice del 1930 per assumere una posizione di effettiva autonomia.
Una simile inversione di prospettiva affonda le proprie radici nella riconsiderazione del ruolo della parte civile nel processo penale che non è più quello di mero accusatore privato – il cui principale scopo è di rafforzare la Pubblica Accusa – ma, piuttosto, quello di parte lesa che agisce per ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno patito anche indipendentemente dalla sorte del processo e della condanna penale[1].
Quanto affermato trova conferma nella disciplina dettata dall’attuale codice di procedura penale che all’art. 75 c.p.p., nel regolare i rapporti tra azione civile da reato e azione penale, sugella il principio di autonomia dei rispettivi giudizi[2].
Nello specifico, nel secondo comma dell’articolo in questione è previsto il proseguo dell’azione civile ancorché la stessa non sia stata trasferita nel processo penale, ovvero, sia stata iniziata quando i termini per la costituzione di parte civile siano scaduti; nel terzo, invece, è prevista la sospensione del processo civile in attesa del giudicato penale qualora l’azione sia stata proposta in sede civile solo dopo la sentenza di primo grado o dopo la costituzione di parte civile, salvo le eccezioni di legge, ovvero, qualora l’uscita dal processo penale non sia il risultato di una libera scelta del danneggiato. L’art. 538 c.p.p., infine, sulla scia della vecchia impostazione, stabilisce che la decisione sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, presuppone necessariamente una pronuncia di condanna[3].
Seguendo quale filo conduttore dell’analisi dell’istituto, il rapporto tra l’azione penale e quella civile, è opportuno vagliare quanto accade in sede d’impugnazione. Rimandando al paragrafo seguente l’esame delle facoltà riconosciute in capo alla parte civile, è opportuno in questa sede sottolineare come anche nell’ambito delle impugnazioni le sorti dell’azione civile possano discostarsi rispetto all’esito del giudizio.
L’art. 576 c.p.p., a ben vedere, prevede, tra l’altro, la possibilità d’impugnazione – della parte civile – di una sentenza di proscioglimento relativamente ai capi dell’azione civile sancendo, di fatto, una scissione tra l’azione penale e quella civile.  Per l’effetto di detta impugnazione, allora, il giudice, fermi restando gli effetti penali, può rinnovare l’accertamento posto alla base delle statuizioni civili circa la responsabilità del soggetto prosciolto ed adottare una pronuncia favorevole per gli interessi civili[4], quindi una condanna nel merito.
Recente giurisprudenza[5], del resto, ha affermato come l’articolo in questione si ponga in termini di eccezione rispetto all’art. 538 c.p.p. consentendo alla parte civile di ottenere una statuizione favorevole anche in assenza di una sentenza di condanna e in mancanza di una qualsiasi analisi “del merito” ad opera del Giudice di primo grado.
Ed invero, a differenza di quanto previsto dal previgente codice del 1930 all’art. 195[6], l’art. 576 c.p.p. nel consentire l’impugnazione delle sentenze di proscioglimento, riconosce al Giudice di Appello poteri neppure riconosciuti al Giudice di primo grado, la cui cognizione circa le statuizioni civili non può mai prescindere dalla sussistenza di una pronuncia di condanna ex art. 538 c.p.p..
Un’eccezione di tal fatta, a ben vedere, è giustificata dalla necessità di ovviare a quelle ipotesi in cui la sentenza di condanna sia mancata per effetto di un errore (es, erronea affermazione di intervenuta prescrizione del reato) e di far conseguire alla parte civile in sede d’impugnazione una statuizione favorevole seppure ai soli effetti civili[7].
Al contrario, l’art. 578 c.p.p., riaffermando il principio di cui all’art. 538 c.p.p. prevede che nel caso d’impugnazione da parte dell’imputato il Giudice dell’impugnazione possa pronunciarsi sugli effetti civili solo quando sia già stata pronunciata sentenza di condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato in primo grado e, in sede di giudizio di Appello, il reato si sia estinto per intervenuta amnistia o prescrizione.
Per concludere, l’azione civile è destinata a scindersi definitivamente da quella penale in caso di annullamento della Sentenza ex art 622 c.p.p. con il rinvio ad opera della Corte di Cassazione al Giudice civile competente per valore in grado di Appello. Detto rinvio è previsto nell’ipotesi in cui la Corte abbia annullato solo le disposizioni o i capi riguardanti l’azione civile, oppure, l’ipotesi in cui sia stato accolto il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato (ex art. 576 c.p.p.).
     2.1Facoltà e funzione della parte civile nel processo penale
In merito alle facoltà della parte civile, come noto, va rilevato come queste siano state congeniate al fine di consentire alla stessa la possibilità di perseguire l’anelata restituzione o risarcimento del danno patito, nella stessa misura in cui le sarebbe consentito in sede civile, a condizione che venga riconosciuta la responsabilità penale dell’autore del reato, dal quale ex art. 185 c.p. deriva il diritto al risarcimento del danno, patrimoniale, oltre che non patrimoniale.
Si cita, in tal senso, la disciplina di cui agli artt. 74 e ss. con i quali si regola la legittimazione della parte civile, la costituzione della stessa, nonché, la sua eventuale esclusione o revoca; viene poi disciplinata la facoltà di presentare liste di testimoni, periti e consulenti tecnici.
È opportuno, infine, un breve cenno alla vexata quaestio in ordine ai poteri d’impugnazione riconosciuti alla parte civile. Ed invero, nonostante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e la poca chiarezza del dettato normativo ex art. 576 c.p.p. – che riconosce alla parte civile un generale potere d’impugnazione senza individuare uno specifico mezzo – deve ritenersi ormai pacifica in giurisprudenza la possibilità in capo alla parte civile di esperire gli ordinari mezzi d’impugnazione, compreso l’Appello, sulla scorta del principio di parità delle parti ex art. 111, secondo comma, Cost..[8]

3. Un caso particolare

Il caso che ci occupa prende le mosse da una Sentenza di proscioglimento del Giudice di primo grado per intervenuta prescrizione, erroneamente dichiarata.
Sentenza che, ai sensi dell’art. 576 c.p.p. ed in armonia a quanto stabilito dalle SS.UU. 28911 del 2019, è stata appellata dalla parte civile nella parte in cui, dichiarando erroneamente il reato prescritto, frustra in maniera definitiva le pretese della stessa. Come insegnano le SS.UU. da ultimo citate, nel caso in esame la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva dall’art. 576 c.p.p. e l’interesse concreto va individuato nell’ottenimento del ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione della responsabilità dell’imputato sia pure ai soli fini delle statuizioni civili.
Il Giudice di Appello, infatti, coerentemente a ciò, apprezzava l’errore nel quale era incorso il Giudice di prime cure nel calcolare il termine massimo di prescrizione del reato e, di conseguenza, dava ingresso a tutte le istanze istruttorie delle parti.
Nel corso del dibattimento di secondo grado, tuttavia, il reato si estingueva per prescrizione e il Collegio, non pronunciando sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati perché il reato loro ascritto si era estinto per prescrizione e rigettava le pretese della parte civile a causa dell’assenza di una pronuncia di colpevolezza degli imputati in primo grado.
Detta Sentenza della Corte d’Appello di Roma, è ictu oculi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sugellata con le SS.UU. del 2019[9].
La Corte, invero, rigettava in maniera apodittica le richieste di parte civile facendo solo immaginare, data la scarna motivazione, l’applicazione dell’art. 578 c.p.p., ma a contrario, nel senso che veniva ignorato l’appellante fosse la parte civile e, non anche, l’imputato, dunque, non doveva trovare applicazione il limite della pronuncia di condanna – sia pure generica – ai fini delle statuizioni civili.
La stessa Corte, dunque, aderiva in tal modo ad altro orientamento giurisprudenziale in base al quale, anche di fronte all’impugnazione della parte civile, il Giudice dell’impugnazione, nello statuire sui capi civili, incontra il limite di cui all’art. 578 c.p.p..
Detto orientamento, nello specifico, sosteneva che la disposizione in esame disciplinava per intero la cognizione agli effetti civili del giudice dell’impugnazione, in ogni caso in cui, lo stesso, dichiari estinto il reato per prescrizione, anche in presenza di un’impugnazione ai fini civili.[10] E, dunque, il difetto di giurisdizione ‘civile’ del giudice penale dell’impugnazione, nel caso in cui la prescrizione intervenga a seguito della pronuncia di una sentenza di assoluzione dell’imputato o, comunque, a seguito di una statuizione penale che non contenga già la condanna generica al risarcimento.
La ratio di detto orientamento, a ben vedere, si fonda sul principio generale processuale in base al quale il giudice penale in tanto può pronunciarsi sulla domanda risarcitoria o restitutoria, in quanto contestualmente giudichi o accerti la sussistenza della responsabilità penale, alla quale consegue la statuizione sulla responsabilità civile[11].
L’unica eccezione a detto principio sarebbe rappresentata, allora, proprio dall’art. 578 c.p.p. che consente, appunto, una pronuncia sulle statuizioni civili in presenza di un’assoluzione per prescrizione o amnistia, solo sulla scorta di una precedente pronuncia di condanna.
Il difensore, quindi, in sede di ricorso per Cassazione, “avallando” l’adesione della Corte ad un simile filone giurisprudenziale, non si limitava a contestare l’erronea applicazione degli artt. 576-578 c.p.p. ma, al contrario, scardinava i limiti imposti dall’art. 578 c.p.p.. Nello specifico, riteneva che, nella locuzione legislativa “pronuncia di condanna, sia pure generica” – richiesta quale presupposto necessario affinché il giudice penale possa pronunciarsi sul risarcimento – dovesse rientrare anche l’ipotesi in cui, sulla scorta delle evidenze probatorie, il giudice abbia negato l’assoluzione ai sensi dell’art. 129, 2°comma, c.p.p..
Ed invero, nell’atto di ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, il difensore rassegna la violazione dell’art. 578 c.p.p. nella misura in cui, anche in assenza di pronuncia di condanna, sia stata comunque raggiunta la prova non solo circa la causalità e l’entità del danno patiti dalla parte civile, ma soprattutto circa la circostanza che veniva letteralmente esclusa la sussistenza di evidenti ragione per dichiarare un’assoluzione piena degli imputati, giusto il comma secondo dell’art. 129 c.p.p..
Il tutto, valorizzando il principio di economicità dei mezzi processuali oltre a quello dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Nel caso di specie, a ben vedere, la Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 1319/23, ripercorre e rimarca il principio di diritto sugellato nella già citata sentenza a Sezioni Unite del 2019 con la quale si evidenzia l’imminente interesse della parte civile ad ottenere una statuizione favorevole all’interno del processo penale – nonostante la residua azione civile – e, dunque, una tutela più rapida e conveniente dei propri interessi.

4. Considerazioni conclusive

Al netto di ciò, colla sentenza in commento, è stato rilevato, come nel caso che ci occupa, la Corte di merito, seppur per la prima volta in grado di Appello ed in carenza di una precedente sentenza di condanna, avrebbe dovuto pronunciarsi sulle statuizioni civili ex art. 578 c.p.p..
Pertanto, sia pure implicitamente, con siffatta pronuncia, gli Ermellini hanno dunque lapalissianamente fatto intendere – come prospettato dalla difesa della parte civile – che l’assoluzione per prescrizione con relativa denegata assoluzione ex art. 129 c.p.p., possa considerarsi, alla stregua dell’art. 578 c.p.p., un accertamento – seppure generico – della responsabilità dell’imputato sufficiente ai fini della pronuncia sugli interessi civili. Valorizzando, in ultima analisi, il principio di economicità del processo, nonché, quello secondo il quale la parte civile ha “interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto” così che non possa essere negato l’interesse della stessa ad impugnare la decisione di proscioglimento anche quando questa manchi di efficacia preclusiva[12].

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  1. [1]

    G. Conso, Compendio di procedura penale, CEDAM, 2020.

  2. [2]

    G. Conso, Compendio di procedura penale, CEDAM, 2020.

  3. [3]

    Cfr. la recente Sez, 3, n. 12255 del 2018.

  4. [4]

    Cfr. SS.UU. n. 28911 del 2019

  5. [5]

    Cfr. SS.UU. n. 28911 del 2019.

  6. [6]

    Il previgente codice, invero, riconosceva alla parte civile il solo potere di proporre, ove si trattasse di sentenza impugnabile dal pubblico ministero, l’impugnazione contro le disposizioni della sentenza concernenti i suoi interessi civili, in caso di “condanna dell’imputato”, mentre la scelta del legislatore attuale è stata nel senso di ampliare il novero delle sentenze impugnabili […] anche si quella di “proscioglimento” Cfr. Corte di Cassazione SS.UU. n. 28911 del 2019.

  7. [7]

    Cfr. SS.UU. n. 28911 del 2019

  8. [8]

    Cfr. Corte Cassazione, SS.UU., n. 154,155 del 2008

  9. [9]

    “la disciplina di cui all’art. 578 c.p.p., infatti, non si applica quando appellante o ricorrente sia la parte civile, alla quale la previsione contenuta nell’art, 576 c.p.p. riconosce il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda, in deroga all’art. 538 c.p.p.” “la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva direttamente dalla previsione dell’art. 576 c.p., mentre l’interesse concreto deve individuarsi nella finalità di ottenere, in caso di appello, il ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione di responsabilità dell’imputato, sia pure ai fini delle statuizioni civili …” “a fronte della facoltà riconosciuta alla parte civile dall’art. 576 c.p.p. di proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento, dovrebbe ritenersi ammissibile anche l’appello nei confronti della sentenza dichiarativa della prescrizione dopo la pronuncia di primo grado” Cfr, Corte Cassazione, SS.UU. 2019

  10. [10]

    Cfr. Sez IV n. 19026 del 2002

  11. [11]

    Cfr. Cass ss.uu. 25083/2006

  12. [12]

    Cfr. Corte Cassazione, Sez. V, n. 1319/23

Ivano Ragnacci

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