Reati ostativi e permessi premio

Alessia Rizzi 04/11/22
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     Indice

  1.  I reati ostativi: definizione
  2. Quali reati sono considerati ostativi?
  3. Condizioni per ottenere i benefici e le misure alternative alla detenzione
  4. Sentenza n.253 del 2019
  5. Conclusioni

1. I reati ostativi: definizione

L’Art. 4 bis[1] della L. n. 354 del 26 introduce una specifica categoria di reati, considerati dal nostro ordinamento giuridico, estremamente gravi.

Per definizione un reato è ostativo quando impedisce al condannato di accedere ai c.d. benefici penitenziari, quali per esempio la sospensione dell’esecuzione della pena, l’affidamento in prova ai servizi sociali, ancora altre misure alternative alla detenzione. In tal senso si presume in modo assoluto che il condannato sia un soggetto pericoloso e dunque debba necessariamente permanere in carcere, a prescindere dall’entità della pena.  Unico beneficio concesso è la liberazione anticipata.

2. Quali reati sono considerati ostativi?

Tra i numerosi reati ostativi che la Legge individua, i principali certamente sono:

  • Delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico;
  • Reati di mafia e camorra: associazione di tipo mafioso (anche straniere), scambio elettorale politico-mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti; nonché qualsiasi altro reato aggravato dal metodo mafioso;
  • Reati contro il patrimonio: estorsione aggravata, rapina aggravata, furto in abitazione, sequestro di persona a scopo di estorsione;
  • Reati contro la PA:[2] peculato, concussione, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di pubblico servizio, istigazione alla corruzione (anche di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee);
  • Reati a sfondo sessuale: pornografia minorile, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale di gruppo, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, adescamento di minorenni; corruzione di minorenne, turismo sessuale con minorenni.
  • Reati contro la persona e la famiglia: deformazione del viso, omicidio, maltrattamenti in famiglia aggravati, atti persecutori (stalking) aggravati;
  • Reati di immigrazione clandestina: acquisto o vendita di schiavi; immigrazione clandestina; riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù; tratta di persona;
  • Reati contro l’ambiente: Incendio boschivo;

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3. Condizioni per ottenere i benefici e le misure alternative alla detenzione

Sebbene il significato in sé del reato ostativo presupponga un impedimento assoluto al condannato di accedere ai benefici penitenziari o alle misure alternative alla detenzione, di fatto la legge ha individuato delle condizioni tali per cui – a seconda del tipo di reato ostativo commesso – la persona condannata può accedere ad una delle misure alternative alla detenzione. In particolare:

  • per i reati ostativi legati alla sfera della criminalità organizzata o alla sfera terroristica, è possibile concedere le misure alternative alla detenzione soltanto qualora si possa escludere che il condannato non abbia più alcun tipo di collegamento con gli altri membri legati dal vincolo mafioso, con la criminalità terroristica o eversiva e collabori con la giustizia.
  • per Reati ostativi legati alla sfera sessuale: il detenuto deve essere sottoposto ad una osservazione scientifica che concerne la sua personalità per almeno 1 anno.
  • per reati ostativi legati alla sfera sessuale commessi in danno di minorenni, è necessaria la positiva partecipazione ad uno specifico programma di riabilitazione sottoposta al vaglio del magistrato di sorveglianza.
  • per reati ostativi contro la A., invece, si procede a bloccare l’attività delittuosa, assicurare le prove dei reati, ad individuare altri responsabili o protendere al sequestro delle somme o altre utilità proveniente dal reato.

Non da ultimo, la legge fa rientrare tra le condizioni di accesso alle misure alternative alla detenzione, il condannato che offre una collaborazione oggettivamente irrilevante ed abbia risarcito il danno dopo la sentenza di condanna; ancora, il condannato che non sia oggettivamente in grado di collaborare con la giustizia poiché la sentenza di condanna ha dimostrato una limitata partecipazione al fatto criminoso.

Tuttavia, qualora il condannato non possa accedere in alcun modo a tali misure, anche senza alcuna collaborazione con la giustizia, ha diritto alla liberazione anticipata. Pertanto, al detenuto che partecipa all’attività di rieducazione in carcere è concesso uno sconto di pena di 45 giorni per ogni semestre di pena espiata. Ciò comporta, come conseguenza, la possibilità non solo di scontare rapidamente la condanna, ma ottenere lo scioglimento del cumulo e in aggiunta fare richiesta per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione.

4. Sentenza n. 253 del 2019

Sulla questione in esame, è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale attraverso la sentenza n.253 del 2019[3],  dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen. «nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo».

In tal senso la Corte ha optato per la sottrazione della concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo”, secondo cui i condannati per i reati previsti dall’articolo 4 bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall’Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti.

In virtù di quanto appena detto, anche la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante perde il carattere di assolutezza e diventa relativa. Il suo superamento può avvenire – a discrezione del magistrato di sorveglianza – solo a seguito di una valutazione caso per caso basata sulle relazioni fornite dall’istituto carcerario e sulle informazioni e sui pareri di varie autorità, fra cui la Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

5. Conclusioni

La questione fin qui esamina conduce ad individuare un preciso obiettivo, ovvero quello di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati “comuni”, subordinando l’accesso alle misure premiali e alternative previste dall’ordinamento penitenziario a determinate condizioni.

A tal proposito, a seguito della sentenza n.253/2019 della Corte costituzionale – che ha dato certamente adito a differenti dibatti – è intervenuta anche la Suprema Corte con la sentenza n.33743 del 2021[4], prendendo una posizione sul tema della concessione dei permessi premio in favore dei detenuti per reati ostativo art.4 bis ord.pen. non collaboranti con la giustizia, art.58 ter ord. Pen.

Essa difatti ha ritenuto di fondamentale importanza l’allegazione di elementi fattuali (assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e/o assenza del pericolo di un ripristino dei medesimi) dotati di efficacia indicativa – anche solo in chiave logica – idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge.

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Note 

[1] L’art.4 bis è stato introdotto nell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) dal decreto-legge n. 152 del 1991. È stato poi successivamente modificato dopo i tragici eventi di Capaci e di via D’Amelio dal decreto-legge n. 306 del 1992. La disposizione ha subito nel tempo ricorrenti modifiche, ed è stata oggetto di numerose sentenze di illegittimità costituzionale.

[2] Legge c.d. ‟Spazzacorrottiˮ n.3 del 2019.

[3] La pronuncia si colloca nel clima della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel caso Viola c. Italia ha ravvisato la violazione dell’art. 3 CEDU nella disciplina del c.d. ergastolo ostativo.

[4] Sentenza n.33743 del 2021: udienza 14 luglio 2021, deposito 10 settembre 2021 – I sezione, Pres. Iasillo – Rel. Magi).

Alessia Rizzi

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