Rapporto tra reato continuato come “comportamento abituale” ed art. 131 bis c.p.

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L’abitualità del reato continuato

La scienza penalistica pone una distinzione tra cause di giustificazione (o scriminanti) e cause di esclusione della pena (o cause di non punibilità).

Infatti, mentre in presenza delle prime un fatto che sarebbe altrimenti reato, tale non è perché la legge lo consente o lo impone, le seconde, consistono in quelle situazioni che non escludono il reato, ma in presenza delle quali l’ordinamento ritiene che, per ragioni di mera opportunità,  non si debba applicare la pena né ogni altra forma di sanzione penale.

Come è noto, il d.lgl n. 28 del 2015 ha introdotto, all’interno del codice penale, l’art. 131 bis, che, appunto, consiste in una causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Merita, in questa sede, fare delle osservazioni sull’invocabilità di tale causa di non punibilità nel momento in cui la disciplina del reato continuato sia vista come un comportamento abituale del soggetto attivo.

Occorre precisare che questo ambito ben preciso  del diritto penale, ancora oggi, non risulta ben delineato in sede giurisprudenziale i cui orientamenti oscillano tanto nella validità dell’art. 131 bis in ipotesi di reato continuato quanto nell’ostatività.

Il comportamento risulta, anzitutto, essere abituale allorquando l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale[1], professionale[2] o per tendenza[3].

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Con il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018).

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Gli orientamenti della Corte Costituzionale e di legittimità

Ciò detto, a fronte di una recente giurisprudenza[4], non costituisce elemento ostativo alla applicazione della particolare tenuità del fatto la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, posto che da tutti questi elementi emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, che costituisce un elemento incompatibile con la condizione negativa della abitualità della condotta presa in considerazione, quale fattore di esclusione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.

Anche la Corte Costituzionale[5], nell’apprezzare la diversità dell’art. 131 bis c.p. rispetto all’art. 34 d.lgl n. 2742000 (disciplinante una causa di non procedibilità), ha rimarcato come in quest’ultimo si dà rilievo all’occasionalità del fatto, mentre nell’art. 131 bis c.p. è valorizzata la non abitualità del comportamento.

Tale rilievo era già stato evidenziato nella relazione al d.lgs n. 282015, introduttivo dell’art. 131 bis c.p.

In tale relazione si affermava, altresì, che Toccherà, naturalmente, all’interprete dare tutte le opportune precisazioni contenutistiche del concetto. Tuttavia si può ipotizzare che il concetto di non abitualità del comportamento implichi che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto”.

Come tale[6] e, al contrario, la logica antinomia fra reato continuato e particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione di un medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costruire di per sé dimostrazione di una certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata, ovvero, in altre parole, ove detta reiterazione non sia espressiva di una chiara tendenza od inclinazione al crimine.

Molto più preciso e con una netta presa di posizione anche un precedente orientamento giurisprudenziale[7] secondo cui La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale, ostativa al riconoscimento del beneficio”.

Posizione, quest’ultima, sostanzialmente ribadita anche da una giurisprudenza[8] anteriore, per la quale l’art. 131 bis c.p. Non opera in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato un’ipotesi di comportamento abituale ostativa al riconoscimento del beneficio”.

Tale orientamento negativo veniva ancora ribadito[9] per il quale il reato continuato configura una ipotesi di “Comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa per ciò al riconoscimento del benefici, essendo il segno di una devianza non occasionale.

Di contrario avviso, invece, si è orientata una diversa giurisprudenza[10], per la quale la continuazione non è sempre indice di serialità, ovvero progressione criminosa, tale da rivelarsi ostativa all’operatività dell’art. 131 bis c.p., come anche un’altra pronuncia[11] secondo cui al reato continuato può essere applicato l’art. 131 bis c.p. in quanto La continuazione non implica necessariamente l’abitualità, cioè la ripetitività di un comportamento ovvero la reiterazione di una medesima condotta quanto, piuttosto, determina l’unificazione dei fatti in virtù del medesimo disegno criminoso cui segue un unico giudizio di disvalore in quanto il soggetto, in sostanza, commette più reati per commetterne uno soltanto”.   

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Note

[1] E’ considerato delinquente abituale il soggetto che, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole (commessi in violazione della stessa disposizione di legge o che presentano caratteri fondamentali comuni), commessi entro 10 anni e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto, non colposo della stessa indole e commesso entro dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti (art. 102 c.p.). Oppure, fuori dal caso precedente, il soggetto che, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e della gravità dei reati, del tempo entro cui sono stati commessi, dalla condotta e dal genere di vita del colpevole e dalle altre circostanze indicate dall’art. 133 c.p., ritiene che il colpevole sia dedito al delitto.

[2] E’ considerato delinquente professionale il soggetto che, trovandosi nelle condizioni richieste per l’abitualità, riporta una condanna per un altro reato, qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta, al genere di vita del colpevole ed alle altre circostanze indicate nell’art. 133 c.p., debba ritenersi che viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato (art. 105 c.p.).

[3] E’ considerato delinquente per tendenza il soggetto che, sebbene non recidivo delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o incolumità individuale, anche non direttamente previsto dal capo I del Titolo XII del Libro II del codice penale, il quale riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi la sua causa nell’inclinazione particolarmente malvagia del colpevole. La disposizione non si applica nei casi di vizio totale o parziale di mente.

[4] Cass. Pen., sent. n. 16502 del 16 aprile 2019.

[5] Corte. Cost., sent. n. 252015.

[6] Cass. Pen., sent. n. 16502 del 16 aprile 2019.

[7] Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 44896 del 25 settembre 2018 (dep. 8 ottobre 2018).

[8] Cass. Sez. V, 20 ottobre 2017, n. 48352, in C.E.D. Cass., n. 271271.

[9] Cass. Sez. VI, 24 gennaio 2018, n. 3353, in C.E.D. Cass., n. 272123.

[10] Cass. Sez. II, 2 marzo 2018, n. 9494, in C.E.D. Cass., n. 272523.

[11] Cass. Sez. II, 27 agosto 2018, n. 38997.

Avv. Pasquale Poerio

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