Quanto al risarcimento del danno, la pretesa non può essere accolta poiché in presenza di una revoca legittima non è configurabile alcuna colpa della p.a.

Lazzini Sonia 30/07/09
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     In più, nessuno dei danni asseritamene patiti è sorretto da elementi probatori, né risulta che l’impresa abbia richiesto all’Università la restituzione della polizza fideiussoria che assume di avere stipulato e abbia ricevuto un diniego.
 
     Inoltre, secondo l’insegnamento della Ad. pl. n. 6 del 2005, in caso di revoca dell’aggiudicazione da parte della stazione pubblica appaltante, va presunta la restituzione all’aggiudicatario tanto della cauzione provvisoria quanto di quella definitiva, le cui pertinenti voci non possono come tali essere conteggiate in sede di risarcimento del danno invocato dall’aggiudicatario ex art.1337 cc.
 
 
L’eventuale indennizzo, previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 introdotto dalla legge n. 15 del 2005, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” – e per la cui liquidazione il legislatore ha opportunamente previsto che si tenga conto “dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico” – non è dovuto sia ratione temporis, sia soprattutto perché non è stato richiesto dalla società; né tale indennizzo può confondersi con il risarcimento del danno nella presente fattispecie non dovuto, in disparte la configurazione della eventuale responsabilità (se contrattuale o precontrattuale o extra contrattuale) e il ricorrere dell’elemento della colpa che qui non rilevano
 
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 4138 del 19 giugno 2009 emessa dal Consiglio di Stato
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.4138/09
Reg.Dec.
N. 10643 Reg.Ric.
ANNO   2006
Disp.vo n. 266/2009
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10643/2006 proposto da ********************** s.a.s. di ************* e ******** in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’********************* con domicilio in Roma via Lisbone n. 9, presso lo studio ********-*********;
contro
l’Università degli studi “*************” in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria sede di Catanzaro Sez. I, n. 779/2006 del 30/6/2008.
     Visto il ricorso con i relativi allegati;
     Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte intimata;
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
     Visti gli atti tutti della causa;
     Alla pubblica udienza del 24 marzo 2009 relatore il Consigliere ******************. Uditi l’avv. ******** e l’avv. dello Stato *******;
     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
RITENUTO IN FATTO
     I. Con la sentenza n. 779 del 2006 il Tar per la Calabria, sede di Catanzaro, ha respinto il ricorso proposto dalla società ************** s.a.s. contro l’Università ************ di Catanzaro per l’annullamento del provvedimento n. 503 del 28.7.2004 con il quale il Direttore amministrativo aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, in favore della società ricorrente, dell’appalto dei lavori di manutenzione straordinaria e ripristino di alcuni locali siti al piano terra e primo piano dell’Istituto tecnico superiore per geometri *********** di Catanzaro.
     La gara, in un primo tempo (4.2.2003) aggiudicata alla ricorrente, veniva prontamente annullata con decreto n. 216 del 28.4.2003, comunicato il 15.5.2003, in ragione della decisione della Provincia, affittuaria dell’immobile, di rilasciare i locali restituendo l’immobile alla proprietà per i lavori di straordinaria manutenzione.
     La vicenda contenziosa ha avuto un iter complesso, rappresentato da una prima sentenza favorevole dello stesso Tar (n. 2665 del 2003) per omissione degli oneri partecipativi di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, e quindi da una seconda sentenza (n. 1628 del 2004), sempre favorevole, avverso il silenzio serbato dall’amministrazione che, pur avendo proceduto alla riedizione dell’attività amministrativa, non aveva però  adottato il (nuovo) provvedimento definitivo.
     Una volta concluso il procedimento, l’atto definitivo di annullamento dell’aggiudicazione veniva impugnato dalla società per:
     a) eccesso di potere nelle forme dell’insufficienza della motivazione e della falsità dei presupposti; l’utilizzo dei locali da parte dell’Università si sarebbe protratto ben oltre la dichiarazione di cessazione d’uso degli stessi, facendo dubitare della stessa motivazione;
     b) violazione degli artt. 3, punto 4, 1 e 2 della legge n. 241 del 1990 per omessa indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere, nonché per superamento del termine per provvedere e per omessa determinazione della p.a. in ordine ai danni subìti e alle spese affrontate nella vicenda contenziosa.
     II. Il Tar ha ritenuto che l’amministrazione abbia fatto buon uso del proprio potere di autotutela, tenendo anche conto che, in materia di gare per l’aggiudicazione di contratti della p.a., lo svolgimento della procedura di scelta del contraente non comporta l’obbligo di concludere il procedimento se il contratto non è più rispondente all’interesse pubblico, come nella specie. L’esecuzione dell’appalto era infatti divenuta impossibile per la sopravvenuta inagibilità dei locali ove i lavori dovevano essere effettuati. La Provincia, conduttrice dell’immobile, lo aveva restituito temporaneamente al proprietario per l’effettuazione di lavori di straordinaria manutenzione e l’Università, che aveva stipulato una convenzione con l’Istituto tecnico (al quale la Provincia aveva destinato i locali) per l’utilizzazione di  alcuni locali a fini universitari, non ne aveva più la disponibilità. Ne conseguiva l’infondatezza della prima censura.
     Parimenti era infondato anche il secondo motivo, perché l’omessa indicazione nel provvedimento del termine per impugnare e dell’autorità cui rivolgersi non si traduce in un vizio di legittimità, ma costituisce mera irregolarità che, al massimo, può dar luogo alla concessione dell’errore scusabile; nemmeno è ravvisabile il denunciato ritardo nell’emanazione dell’atto perché l’esecuzione del contratto era comunque divenuta impossibile; e non poteva addebitarsi alla p.a. di non aver assunto determinazioni in ordine al lamentato risarcimento del danno, perché l’oggetto del provvedimento è l’annullamento dell’aggiudicazione (sulla quale il ricorrente non controdeduce) che non comporta di per sé una pronuncia della p.a. sull’ulteriore pretesa del privato.
     Quanto alla richiesta di risarcimento del danno rivolta al giudice, il Tar sostiene che nella specie (revoca e non annullamento di un’aggiudicazione) difetti il requisito della colpa da inquadrarsi nell’ambito di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. secondo l’insegnamento del Cons. di Stato, Ad. pl., n. 6 del 2005. Non è contestato che l’impossibilità dell’esecuzione del contratto sia derivata, non da inadempienze dell’Università, ma da una decisione della Provincia che ha determinato l’indisponibilità dell’immobile.
     III. La sentenza è appellata dalla società per i seguenti motivi:
     1) difetto di motivazione del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione definitiva: non si evincono le ragioni del provvedimento, né l’identità della ditta proprietaria, né se effettivamente l’immobile sia stato restituito a questa ultima e nemmeno l’entità dei lavori; il provvedimento si fonda su un apodittico e indimostrato interesse pubblico;
     2) maturato affidamento della ditta istante e inopportuno esercizio delle facoltà di autotutela: il provvedimento è illegittimo perché la ditta è risultata aggiudicataria fin dal 2003 e le vicende contenziose hanno determinato un legittimo affidamento anche grazie alle precedenti pronunce favorevoli del giudice amministrativo;
     3) difetto di motivazione della decisione appellata, perché l’allegazione di un interesse pubblico, ritenuta dal giudice sufficiente a sorreggere l’annullamento dell’aggiudicazione, non può esonerare da un onere motivazionale;
     4) sulla richiesta di risarcimento dei danni, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, la responsabilità della p.a. è di natura contrattuale ed è configurabile anche in assenza del requisito soggettivo della colpa; ciò in quanto il verbale di aggiudicazione è equiparato al contratto ex art. 16 del r.d. n. 2440 del 1923 e la scelta del contraente segna la conclusione del contratto con effetti vincolanti per le parti, restando la successiva stipulazione un atto meramente formale e riproduttivo, la cui omissione comporta comunque la responsabilità per inadempimento contrattuale; in ogni caso il comportamento dell’Università, censurato dal giudice amministrativo in due pronunce, integra una chiara ipotesi di colpa dell’amministrazione, anche per violazione dell’obbligo di buona fede e del limite costituito dal principio della tutela dell’affidamento del contraente privato, di per sé sufficiente all’accoglimento della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità extra contrattuale; la circostanza, che la causa dell’impossibilità di eseguire l’appalto sia dipesa non dall’Università ma dalla Provincia di Catanzaro, non è suffragata da nessun principio di prova versato in atti, con la conseguenza che deve ritenersi concretizzata la colpa dell’Università appellata; in concreto il richiesto risarcimento del danno si sostanzia nella perdita di utile, pari al 10% del valore dell’appalto, nel costo della stipula della polizza fideiussoria pari a 303 euro, nel tempo e nelle occasioni di lavoro perdute, il tutto per un ammontare totale di 10.000,00 euro.
     IV. Si è costituita in giudizio l’Università appellata, precisando che, nonostante la convenzione stipulata con l’Istituto tecnico, i locali non le erano mai stati consegnati e quindi la concessione in uso dei medesimi non ha mai avuto esecuzione; che la Provincia di Catanzaro, che aveva preso in locazione l’immobile per destinarlo a sede dell’Istituto tecnico, aveva nel frattempo manifestato la volontà di restituirlo al proprietario affinché fossero eseguiti radicali lavori di ristrutturazione; che quindi legittimamente si è avuto l’annullamento dell’aggiudicazione della gara in favore della ditta appellante; che le ragioni dell’interesse pubblico si riconnettono alla volontà di evitare spreco di risorse pubbliche quando i lavori sono divenuti inutili a causa della indisponibilità dei locali da parte dell’Università; poiché l’interesse a risparmiare soldi pubblici è in re ipsa, non si richiede una dettagliata motivazione per giustificare l’atto di ritiro.
     ******’udienza del 24 marzo 2009 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione  e in pari data è stato  pubblicato il dispositivo n. 266 del 2009.
MOTIVI DELLA DECISIONE
     1. L’appello deve essere respinto.
     2. La controversia ha ad oggetto un provvedimento di “annullamento” di un’aggiudicazione dell’appalto di lavori di manutenzione straordinaria in favore della società appellante.
     Va in primo luogo precisato che, indipendentemente dal nomen iuris indicato nel provvedimento impugnato in prime cure, trattasi di una “revoca” determinata da motivi di interesse pubblico sopravvenuti e non di un annullamento per vizi originari della procedura e del provvedimento.
     3. In punto di fatto va ricordato che l’immobile  di cui si discute era di proprietà delle “Casse per il notariato” (come precisato nella memoria di  primo grado della p.a., depositata il 20.4.2006, ribadita nella successiva memoria del presente grado di giudizio depositata il 17.3.2009) ed era condotto in locazione dalla Provincia di Catanzaro che lo aveva destinato a sede dell’Istituto tecnico per geometri; il direttore dell’Istituto, nell’ambito dei suoi poteri, aveva concesso in uso parte dei locali all’Università per lo svolgimento di alcuni corsi di laurea; durante la (formale e non sostanziale) sub-conduzione dei locali da parte dell’Università, che nel frattempo aveva indetto e aggiudicato la gara per l’appalto dei lavori di manutenzione straordinaria nei locali a lei destinati, la Provincia di Catanzaro, conduttrice principale dell’immobile, ha restituito il medesimo al legittimo proprietario affinché questi provvedesse ai lavori di manutenzione straordinaria occorrenti; di qui sarebbe derivata la revoca dell’aggiudicazione disposta dall’Università in favore della società appellante, a causa della (sopravvenuta) indisponibilità dei locali da parte della stazione appaltante (Università).
     4. Sono infondati il primo e il terzo motivo di appello con i quali è denunciato il difetto della motivazione, rispettivamente, del provvedimento impugnato e della sentenza appellata.
     In una vicenda come quella in esame, nella quale si sono succeduti una serie di atti e di pronunce originati da difetti di mere forme e non da mutamenti nelle determinazioni dell’Università, la motivazione del provvedimento si ricava dal complesso di quella serie.
     La ricostruzione in fatto, prima operata, consente di ricavare le ragioni del provvedimento, il quale peraltro già contiene in sé l’iter procedurale che ha determinato l’Università al ritiro dell’originaria aggiudicazione. Inoltre, già nelle note del 9.10.2003 e del 3.11.2003 l’Università spiega le ragioni delle sue determinazioni, indicando la perdita di efficacia della convenzione a suo tempo stipulata con l’Istituto scolastico a causa della restituzione del bene al legittimo proprietario e dell’impossibilità per l’Università di poter fruire di quei locali per i quali aveva deliberato di procedere alla ristrutturazione.
     Anche se dette note sono state esaminate nel ricorso avverso il silenzio della p.a. che non ha concluso il procedimento, ricorso definitivo in senso favorevole alla ricorrente, resta impregiudicato che il fatto storico della vicenda è stato ivi cristallizzato ed è di agevole percezione.
     L’impossibilità sopravvenuta di disporre dei locali, che sono l’oggetto materiale del contratto di appalto, giustifica ampiamente la revoca del provvedimento per ragioni di interesse pubblico connesse al risparmio di spese divenute ingiustificate. Se era chiaro che i lavori di ristrutturazione sarebbero stati eseguiti dal proprietario, non v’era ragione per l’Università di mantenere la gara e l’aggiudicazione, in favore dell’appellante, di lavori  di cui si sarebbe fatto carico un diverso soggetto, il legittimo proprietario.
     La sentenza appellata sugli esaminati punti resiste quindi alle censure.
     Quanto all’osservazione che non corrisponderebbe a verità che i locali  siano stati abbandonati dall’Università, la stessa risulta sfornita di qualsiasi elemento di prova e pertanto la relativa censura è inammissibile.
     L’ulteriore considerazione, che “non si comprendono le ragioni effettive che hanno indotto la Provincia a restituire i locali alla ditta proprietaria, così risolvendo per l’effetto la convenzione in essere con l’Università” (v. memoria di udienza dell’appellante, pag. 3), non può investire l’operato della Università ma poteva al massimo essere rivolta alla Provincia che non è stata nemmeno evocata in giudizio.
     5. Con riferimento al secondo motivo di appello, ove si afferma che la società avrebbe maturato un legittimo affidamento, non tanto all’esecuzione dell’appalto che la società non sembra in questa sede rivendicare, quanto alle auspicate (e omesse)  determinazioni dell’Università in ordine alla concessione di un risarcimento del danno per il tempo trascorso e le pronunce favorevoli del giudice amministrativo, il Collegio osserva che nessuna delle sentenze favorevoli alla società, di cui si è detto,   si pronuncia in ordine alla spettanza della pretesa sostanziale, ma mettono in rilievo, l’una, l’obliterazione degli oneri partecipativi tanto più necessari in un procedimento di secondo grado e, l’altra, l’obbligo della p.a. di concludere il procedimento il cui esito negativo non poteva essere ignoto alla società ricorrente sulla base degli elementi fattuali nel frattempo accertati e non contestati.
     La procedura si è svolta in un arco di tempo sostanzialmente contenuto, se si ha riguardo all’aggiudicazione avvenuta in data 4.2.2003 e al primo ritiro dell’atto avvenuto il 28.4.2003 e comunicato il 15.5.2003;  l’ulteriore periodo di tempo  che ha interessato la controversia è dovuto alle vicende contenziose, ma non si può sostenere che in quel periodo si sia maturato un affidamento dell’impresa appellante per essersi consolidata la sua posizione; in un lasso di tre mesi non si può consolidare nessuna posizione e l’impossibilità di svolgere i lavori di cui all’appalto non va ricondotta a “causa imputabile in via immediata e diretta” all’Università, come sostiene invece l’appellante.
     6. Quanto al risarcimento del danno, la pretesa non può essere accolta poiché in presenza di una revoca legittima non è configurabile alcuna colpa della p.a.
     In più, nessuno dei danni asseritamene patiti è sorretto da elementi probatori, né risulta che l’impresa abbia richiesto all’Università la restituzione della polizza fideiussoria che assume di avere stipulato e abbia ricevuto un diniego.
     Inoltre, secondo l’insegnamento della Ad. pl. n. 6 del 2005, in caso di revoca dell’aggiudicazione da parte della stazione pubblica appaltante, va presunta la restituzione all’aggiudicatario tanto della cauzione provvisoria quanto di quella definitiva, le cui pertinenti voci non possono come tali essere conteggiate in sede di risarcimento del danno invocato dall’aggiudicatario ex art.1337 cc.
     7. L’eventuale indennizzo,  previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 introdotto dalla legge  n. 15 del 2005, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” – e per la cui liquidazione il legislatore ha opportunamente previsto che si tenga conto “dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico” –  non è dovuto sia ratione temporis, sia soprattutto perché non è stato richiesto dalla società; né tale indennizzo può confondersi con il risarcimento del danno nella presente fattispecie non dovuto, in disparte la configurazione della eventuale responsabilità (se contrattuale o precontrattuale o extra contrattuale) e il ricorrere dell’elemento della colpa che qui non rilevano.
     8. Conclusivamente l’appello va respinto, ma si ritiene giustificata la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello in epigrafe; spese compensate.
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
     Così deciso in Roma, il 24 marzo 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
*****************  Presidente
*******************  Consigliere
***************  Consigliere
***************  Consigliere
******************  Consigliere est. 
Presidente 
Consigliere       Segretario 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
Il 19/06/2009
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione 
**************** 
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa  
al Ministero…………………………………………………………………………………. 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
                                    Il Direttore della Segreteria
 
N.R.G. 10643/2006
 
FF

Lazzini Sonia

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