Quando ricorre l’aggravante della destrezza di cui all’art. 625, c. 1, n. 4, c.p.

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 625, c. 1, n. 4)

Il fatto

La Corte d’appello di Bari riformava, limitatamente alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., la decisione del Tribunale di Foggia del 24 ottobre 2011 che aveva a sua volta affermato la penale responsabilità di D. L. in ordine al reato di furto aggravato e continuato in concorso ritenuta la continuazione con il più grave reato di cui alla sentenza del Tribunale di Trani, irrevocabile il 22 giugno 2011.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza proponeva ricorso l’imputata, per il tramite del difensore, articolando due motivi di impugnazione così formulati: 1) violazione della legge penale e correlato vizio di motivazione in riferimento alla configurazione della circostanza aggravante di cui all’art.625 n.4 cod. pen. in presenza di una modalità sottrattiva che non si connotava di particolare destrezza essendosi limitata l’imputata ad approfittare della disattenzione della vittima; 2) violazione dell’art. 597, comma IV cod. pen. per avere la Corte territoriale confermato il trattamento sanzionatorio già irrogato in primo grado pur all’esito dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il primo motivo del ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come il difetto di una specifica enunciazione del concetto di destrezza all’interno del sistema penale ed il conseguente deficit di tassatività descrittiva dell’aggravante di cui all’art. 625 n.4 cod. pen. avesse dato luogo, nel tempo, a diversi orientamenti giurisprudenziali.

In particolare, secondo un primo filone interpretativo, ad integrare la destrezza è stato ritenuto sufficiente il mero approfittamento, da parte dell’agente, «di una condizione contingentemente favorevole, o di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene, essendo impegnata a curare attività di vita o di lavoro nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo» (Sez. 5, n. 3807 del 16/06/2016; Sez. 5, n. 20954 del 18/02/2015; Sez. 5, n. 7314 del 17/12/2014; Sez. 6, n. 23108 del 07/06/2012) rilevandosi al contempo che il fondamento dell’orientamento in disamina muove dalla constatazione secondo cui non essendo necessaria una condotta eccezionale o fuori dal comune, capace cioè di impedire al derubato di  avere contezza della sottrazione, per configurare l’aggravante, l’elemento di differenziazione rispetto alla fattispecie non circostanziata del furto può essere integrato anche dalla semplice sorpresa del medesimo in un momento di distrazione «tale da attenuare la “logica” attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa» (Sez. 2, n. 7416 del 28/01/1977).

Invece, secondo un secondo orientamento interpretativo (Sez. 4, n. 22164 del 22/04/2016), una volta ritenuta non configurabile l’aggravante in relazione alla condotta dell’imputato che aveva sottratto una vettura, approfittando del momentaneo allontanamento del conducente, sceso dal veicolo per chiudere un cancello, si è sostenuto come «non sussiste l’aggravante della destrezza quando l’agente approfitti di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa o di una frazione di tempo in cui questa ha momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene, allontanandosi dalla cosa di poco e per poco tempo, in quanto in tal caso la condotta non è caratterizzata da una particolare abilità nell’eludere il controllo della vittima, ma dalla semplice capacità di cogliere un’opportunità in assenza di controllo da parte di quest’ultima» (sulla stessa linea interpretativa escludono l’aggravante, tra le altre, Sez. 5, n. 534 del 14/10/2016, Rv. 268899; Sez. 4, n: 46977 del 10/11/2015) denotandosi contestualmente che le pronunce de quibus sottolineano come la condizione, pur temporanea, di disattenzione o distacco dalla cosa del derubato integri, in realtà, un difetto di vigilanza che, favorendo in limine «la semplice temerarietà di cogliere un’opportunità favorevole in assenza di controlli» (Sez. 5, n. 12473 del 18/02/2014, Rv. 259877; Sez. 5, n. 11079 del 22/12/2009, Rv. 246888), appare incompatibile con la destrezza, giacché «ciò che caratterizza [quest’ultima] è [proprio] la particolare abilità di cui si avvale l’autore del furto per sorprendere l’attenzione riposta dalla persona offesa nella custodia della cosa» (Sez. 4, n. 14992 del 17/02/2009, Rv. 243207).

Ciò posto, terminato questo excursus giurisprudenziale, gli ermellini facevano presente come la questione, rimessa alle Sezioni Unite, fosse stata sottoposta ad una unitaria riconduzione interpretativa secondo la quale «la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo» (Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017) rimettendo all’interprete la verifica, in concreto, dei presupposti di operatività dell’aggravante alla luce degli enunciati indicatori essenzialmente incentrati sulla valutazione comparativa della condotta di particolare abilità dell’agente con specifico riferimento all’approfittamento di una condizione di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore della cosa.

Nel dettaglio, in questo arresto giurisprudenziale, muovendo da considerazioni di ordine prevalentemente sistematico-teleologico che fondavano sull’impossibilità di ricorrere al criterio di interpretazione letterale per la già rilevata assenza di una definizione normativa di destrezza, veniva valorizzata la necessità di distinguere la fattispecie del furto aggravato dalla destrezza dalla fattispecie non circostanziata in quanto “il mero prelievo di un oggetto dal luogo ove si trova attuato in un momento di altrui disattenzione, che offre l’occasione favorevole all’apprensione per la possibilità di avvicinamento e di asportazione nella mancata e diretta percezione da parte del possessore, non in grado di interdire l’azione perché altrimenti impegnato o assente, non integra la fattispecie circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e di diverso da quanto necessario per consumare il furto. In tali situazioni, per conseguire il risultato appropriativo[,] l’agente non deve fare ricorso a particolare abilità, né intesa quale agilità o rapidità motoria né [intesa] quale sforzo psichico nell’applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi e del derubato e nel distoglierne il controllo sulla cosa” (par. 5.1., ff. 9 e 10 della sentenza citata).

Tal che, osservava la Corte nella pronuncia qui in commento, la destrezza assurge ad elemento specializzante della ordinaria condotta furtiva il cui nucleo essenziale va individuato in una “particolare capacità operativa, superiore a quella da impiegare per perpetrare il furto, nel distogliere o allentare la vigilanza sui propri beni, esercitata dal detentore” (par. 5.1., f. 10) stante il fatto che, proprio in ordine a tale spiccata attitudine dell’agente, la destrezza è stata riconosciuta in presenza di particolare – ossia speciale, ancorché non straordinaria – abilità, astuzia o avvedutezza dell’agente ossia in qualificazioni del suo agire che si aggiungono alla condotta furtiva in sé e per sé considerata siccome idonee a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla cosa.

Oltre a ciò, sempre in siffatta decisione, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che, da un lato, all’argomentazione sistematica, le Sezioni Unite avevano pure affiancato l’interpretazione dell’aggravante in conformità al canone di offensività richiamando il principio già espresso, nella medesima composizione nomofilattica, nella sentenza n. 40354 del 18/07/2013, a proposito dell’aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. in quanto, al pari del mezzo fraudolento, anche l’aggravante della destrezza deve trovare radicamento in un “grado più intenso di capacità appropriativa, rivelata dalle specifiche modalità dell’azione di aggressione dell’altrui patrimonio” (par. 5.3, f. 11) poichè prevista in funzione di un trattamento sanzionatorio deteriore (cui si aggiungono la procedibilità d’ufficio e l’esclusione dell’applicabilità della condizione di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.), dall’altro, sotto altro profilo, le Sezioni Unite traevano conferma delle conclusioni ermeneutiche raggiunte dall’autonoma previsione di aggravamento del furto commesso in danno di viaggiatori, ai sensi dell’art. 625, comma primo, n. 6, cod. pen., nell’ottica di una valorizzazione in un’apposita ipotesi circostanziale di situazioni che di per sé favoriscono la distrazione della persona offesa la quale induceva a ritenere che, in generale, lo stato di disattenzione della vittima di furto è già annoverabile tra gli elementi strutturali della fattispecie tipica; in altri termini, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite fa salvo il caso in cui sia stato l’agente, od un suo complice, a cagionare lo stato di disattenzione della vittima, in tal caso versandosi in ipotesi di approfittamento di una condizione non già di per sé afferente alla vittima bensì artatamente fatta insorgere nella stessa proprio per commettere il furto in suo danno (per tutte, Sez. 5, n. 640 del 30/10/2013, dep. 2014) ovvero qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res (Sez. 5, Sentenza n.2296 de110/11/2017 – dep. 2018) ricorrendo, in tal caso, gli estremi della destrezza.

Ebbene, alla stregua di quanto sin qui enunciato, il Supremo Consesso rilevava come la Corte d’appello di Bari avesse svolto una valutazione in linea con gli enunciati principi operandone un’interpretazione corretta in diritto ed adeguatamente motivata posto che risultava, dal testo del provvedimento impugnato, che la ricorrente – agendo in coordinamento operativo con la coimputata – si era impossessata di monili in oro ponendo in essere una vera e propria azione proditoria valutando ed eseguendo – in un brevissimo lasso temporale – la sottrazione dei portagioie ponendo in essere condotte atte ad allentare la vigilanza degli addetti alle vendite mediante la pretestuosa richiesta di altri articoli e finendo persino con il posizionare, in modo strategico, una cornice posta sul bancone al fine di dissimulare la materiale apprensione dei preziosi.

Tal che se ne faceva conseguire come non ricorresse, nel caso di specie, un’ipotesi di mero approfittamento della disattenzione del soggetto tenuto alla vigilanza sulla res bensì dell’artata provocazione di una distrazione allo scopo di agevolare l’apprensione ed acquisire la definitiva disponibilità esclusiva dei reperti e pertanto, alla luce di ciò, si riteneva come sussistesse nella fattispecie in esame quel qualificato profilo di abilità nell’esecuzione del reato che configura l’aggravante della destrezza palesandosi la condotta caratterizzata da particolari astuzia o avvedutezza tanto da essere risultata “idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res””.

Conclusa la disamina sul primo motivo, anche il secondo motivo del ricorso veniva del pari stimato inammissibile in quanto manifestamente infondato dato che, secondo l’insegnamento della Cassazione, espresso dalle Sezioni Unite (n. 33752 del 18/04/2013) ed anche di recente ribadito (V. Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018 – dep. 2019; n. 33563 del 2016), non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice d’ appello che, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, confermi la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione.

Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, la Cassazione evidenziava come. nel caso in questione, nel ribadire il giudizio di equivalenza pur all’esito dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 624 n. 2 cod. pen., la Corte territoriale avesse esplicitamente richiamato la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale sottolineando il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche e, in tal guisa, giustificando la conferma dell’incremento sanzionatorio applicato, a titolo di continuazione, con precedente sentenza irrevocabile ritenuto adeguato alla pericolosità sociale dell’imputata.

Conclusioni

La sentenza in questione è sicuramente condivisibile perchè conforme a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 34090 del 27/04/2017 per quel che riguarda l’aggravante della destrezza prevista dall’art. 625, c. 1, n. 4, c.p..

Difatti, ripercorrendo alcuni dei più importanti passaggi argomentativi di tale pronuncia, gli ermellini, avvallando quanto ivi enunciato, confermano che la destrezza è riconoscibile in presenza di particolare – ossia speciale, ancorché non straordinaria – abilità, astuzia o avvedutezza dell’agente, ossia in qualificazioni del suo agire che si aggiungono alla condotta furtiva in sé e per sé considerata, siccome idonee a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla cosa tanto è vero che, nel caso di specie, è stata ravvisata la sussistenza dell’aggravante de qua proprio perché l’imputata aveva posto in essere una condotta caratterizzata da particolari astuzia o avvedutezza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale decisione, proprio perché in linea con quanto postulato in un precedente arresto giurisprudenziale, di conseguenza, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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