Quando non è consigliabile procedere alla negoziazione assistita tra avvocati in separazione e divorzio?

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In quali casi consigliare e quando, invece, non consigliare la negoziazione assistita in materia di separazione, divorzio e relative modifiche?

Ovviamente la procedura di negoziazione assistita va sempre e comunque spiegata alla parte che richiede assistenza, come un’opzione da conoscere ed eventualmente esperire. L’art. 2, comma 7 lo prescrive espressamente: “È obbligo deontologico dell’avvocato informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione as­sistita”.

E quindi, sempre e comunque, nel momento in cui si assume il mandato, il Cliente deve essere avvertito dell’esistenza di questa procedura alternativa e delle sue peculiarità.

Tuttavia vi sono casi in cui c’è la necessità di una preistrut­toria particolarmente accurata: ogni buon avvocato in queste controversie matrimoniali – o sulle relazioni familiari in genere – in particolare espleta nel suo studio comunque un’istruttoria volta a comprendere e valutare le particolarità della situazione, salvo ovviamente casi di urgenza. Ciò non può non essere anche quando la parte, debitamente informata della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, si determini in tal senso.

Prima dell’invito all’altra parte a stipulare la convenzione sarà cura dell’avvocato, non diversamente che se dovesse procedere giudizialmente, approfondire la situazione: sarebbe difatti un problema se poi, nel corso del­la negoziazione, emergessero situazioni inconciliabili con le caratteristiche strutturali della procedura e, in particolare, con gli obblighi di lealtà, buona fede e collaborazione.

Alcune ipotesi sono facilmente individuabili perché si ripropongono con una certa frequenza ai tavoli di chi opera prevalentemente nell’area delle re­lazioni familiari. Proprio l’esercizio di quella responsabilità sociale da parte dell’avvocatura che sembra sottesa quantomeno come prospettiva di tenden­za all’intero provvedimento normativo induce a riflettere con attenzione ed eventualmente sconsigliare di procedere poi all’invito all’altra parte.

L’avvocato, infatti, proprio per quella funzione di responsabilità sociale che gli è propria, senza sovrapporsi alla volontà dell’Assistito, tuttavia non può esimersi dall’esprimere il proprio parere tecnico sulla maggiore o minore efficacia dello strumento e il suo probabile insuccesso in alcuni casi ben noti a tutti i familiaristi.

Dubito dell’esperibilità positiva della negoziazione assistita dagli avvocati in materia matrimoniale ad esempio quando vi siano episodi di violenza fisica, verbale, psicologica ed economica agiti non solo nel presente, ma anche nel passato, soprattutto se ripetuti. Difatti in questo caso difetta ab imis quella buona fede e quella lealtà che sono presupposti indefettibili per la buona riuscita di una negoziazione e il rischio è che, avviata la negoziazione, si riproducano problematiche di questo genere. Come è noto, difatti, il periodo che precede la separazione è particolarmente complesso per le parti e, se vi sono state problematiche di violenza prima, vi è più di qualche possibilità concreta che si riproducano con conseguente difficile se non impossibile gestibilità delle negoziazione.

Ugualmente mi sembra dubbia la possibilità di esperire con buone proba­bilità di successo la procedura quando emerge, dalla preistruttoria dovero­samente compiuta, che vi sono significativi elementi patrimoniali occultati da una o da entrambe le parti; in questo caso è possibile trovare un rifiuto poi di disvelamento e, che tale rifiuto provenga dal proprio Assistito oppure dall’altro, la situazione può divenire comunque problematica proprio sul piano del rispetto degli obblighi di buona fede, collaborazione, lealtà.

Altro caso nel quale considerare con oppure quando una parte neghi ai figli il libero accesso all’altra (intendo il fenomeno noto come PAS – o non PAS; ma si tratta di un termine medico discusso e non pacifico in letteratura, che viene qui usato in senso non tecnico, meramente indicativo dell’inibizione ai figli di libera fruizione dell’altra figura genitoriale). In questi casi non vi sono le basi per costruire una buona negoziazione assistita: sia che l’Assistito affermi la negatività dell’altro con elementi significativi, convergenti, rilevan­ti; sia che ci appaia invece che lo stesso proietti sull’altro le proprie ansie o la propria rabbia. Situazioni inconciliabili con gli obblighi di cooperazione, correttezza e buona fede.

Ovviamente analogamente là dove emergano problemi di inidoneità genito­riale che debba far presumere la possibilità di provvedimenti limitativi come ad es. l’affidamento a terzi ed anche ai servizi territoriali. Identica prudenza nel consigliare lo strumento è da attuarsi quando emergano patologie che possono influire sull’esercizio della genitorialità. In tutti questi casi il vaglio del giudice appare quantomeno opportuno.

Maria Giovanna Ruo

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