Quando non è configurabile l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede

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 (Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 625, c. 1, n. 7

Il fatto

Il Tribunale di Asti dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il reato di furto aggravato in quanto estinto per intervenuta condotta riparatoria.

La condotta, a sua volta, aveva avuto ad oggetto una confezione di burro e quattro di prosciutto cotto sottratte dai banchi di un supermercato.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza predetta proponeva ricorso immediato per Cassazione il Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Asti deducendo un unico motivo con cui censurava la decisione che, escludendo le aggravanti della destrezza e dell’esposizione a pubblica fede, aveva dichiarato estinguibile il reato per condotte riparatorie.

In particolare, si deduceva l’erroneità della decisione di ritenere non configurata la circostanza dell’esposizione a pubblica fede che invece la giurisprudenza di legittimità dominante ricollega alle merci esposte nei supermercati benché dotate di dispositivi antitaccheggio (e applicabile al caso di specie, a maggior ragione perché la merce non era protetta con simile accorgimento).

Si rilevava a tal proposito come non fosse conferente la motivazione utilizzata dal giudice e riferita al carattere di continua e diretta sorveglianza dei beni presenti nel supermercato che risulta dagli atti.

 

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato inammissibile perchè genericamente proposto e manifestamente infondato osservandosi come nella motivazione impugnata si fosse fatto espresso riferimento alla circostanza che, all’interno de supermercato, secondo quanto appariva dagli atti, risultava che vi fosse continua e diretta sorveglianza, il che escludeva la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede.

Si evidenziava a tal proposito che, quanto alla configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 625, comma primo, n. 7 cod, pen., sebbene il confronto tra le affermazioni della giurisprudenza di legittimità relative alle singole fattispecie non riveli una linea di tendenza sempre univoca, può affermarsi – tentando una sintesi – che la Suprema Corte ricollega le ragioni dell’aggravamento previsto dall’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. alla volontà di apprestare una più energica tutela penale alle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per “necessità” o per “consuetudine” e che, perciò, possono essere più facilmente sottratte (Sez. 4, n. 8113 del 7/11/2007) estendendo tale speciale valutazione di gravità anche a quei beni che in tale condizione di esposizione alla pubblica fede si rovino in ragione di impellenti bisogni della vita quotidiana ai quali l’offeso è chiamato a far fronte (cfr., tra le ultime pronunce in tal senso, Sez. 2, n. 33557 del 22/6/2016).

Se dal presupposto e dall’oggetto della tutela rafforzata si guarda alle ricadute concretamente applicative, tuttavia, ad avviso del Supremo Consesso, il quadro interpretativo si fa più complesso; in particolare, quanto alla rilevanza sulla configurabilità dell’aggravante ex art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen. di eventuali strumenti per il controllo e la vigilanza sulla res esposta alla pubblica fede, la giurisprudenza di legittimità ha approfondito il tema tracciando delle linee guida interpretative che, per quanto non del tutto omogenee, ricostruiscono una traccia utile a decidere i casi concreti.

In verità, un’opzione interpretativa esclude l’aggravante della esposizione a pubblica fede solo in presenza di condizioni di sorveglianza e controllo continuativi e costanti della res tali da non consentire quella facilità di raggiungimento del bene che è caratteristica tipica della ratio della deposizione di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen. (Sez. 5, n. 14022 del 8/1/2014; in senso analogo Cass. sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014; Sez. 5, n. 4036 del 26/11/2015, quest’ultima sulla specifica questione attinente l’apposizione di un dispositivo antitaccheggio, tema sul quale vedasi anche, in senso conforme, Sez. 5, n. 435 del 30/6/2015).

Orbene, osservava la Cassazione in questa decisione, la sorveglianza “continua” viene intesa, in tale condivisibile prospettiva, quale esercizio di un controllo permanente sul bene che elide quella sorta di affidamento necessariamente implicato dall’esposizione escludendo, pertanto, anche l’aggravante mentre un’altra opzione valorizza, invece, maggiormente l’ineliminabile affidamento insito nella collocazione del bene protetto in un luogo accessibile al pubblico e, dunque, facilmente raggiungibile da un numero indeterminato di persone, quasi a sottolineare l’importanza del dato fisico della collocazione del bere, più che quelle dell’elemento esterno a tale dato fisico, rappresentato dal grado di sorveglianza esercitato sulla res; per tale orientamento, quindi, il controllo su detta res, esposta al pubblico, mediante un sistema di videosorveglianza attenua, ma non elide, l’esposizione alla pubblica fede ovvero il presupposto fattuale per i riconoscimento dell’aggravante (così Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015; si orientano non dissimilmente le pronunce Sez. 5, n. 10584 del 30/01/2014; Sez. 5, n. 12436 del 11/12/2013).

Anche tale secondo orientamento, secondo la Corte di legittimità, sembra propendere comunque nel senso che possa escludere l’aggravante in esame una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione dell’oggetto e che la questione debba essere attentamente vagliata di volta in volta e con attenzione alle singole fattispecie per ricercare la presenza della ragione normativa di aggravamento e cioè la consuetudine e l’abitudine sociale della modalità di esposizione di una cosa alla fede pubblica poiché la disposizione in esame non è rivolta a tutelare, attraverso l’aggravante, qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico.

La Suprema Corte, dunque, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, affermava il principio secondo cui, in tema di furto, l’aggravante dell’esposizione delle cose a pubblica fede non è configurabile in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto caso per caso, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci nell’impedire la sottrazione della res, ostacolandone quella facilità di raggiungimento che è caratteristica tipica della ratio della disposizione di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen., con cui non si intende tutelare qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico.

Si riteneva dunque che, attraverso la formulazione di questo principio di diritto, potesse essere ridimensionato il contrasto poc’anzi evidenziato circa la valenza dell’aggravante ed il suo ambito applicativo posto che, sia a voler ritenere la sorveglianza continua come esercizio di un controllo permanente sul bene che elide quella sorta di affidamento necessariamente implicato dall’esposizione, sia a voler ritenere, invece, che il controllo sulla res esposta al pubblico mediante un sistema di videosorveglianza attenui ma non elida l’esposizione alla pubblica fede, quel che appare evidente nella prospettiva di tutte le pronunce della Cassazione summenzionate – a prescindere dall’adesione all’una o all’altra delle due opzioni enucleate – è la necessità di verificare in concreto la sussistenza di una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione al fine di ricercare la presenza della ragione normativa di aggravamento e cioè la consuetudine e l’abitudine sociale connessa alla modalità di esposizione di una cosa alla fede pubblica.

Ebbene, alla luce di tale breve ricognizione delle opzioni interpretative in campo, la Cassazione stimava come, nel caso di specie, il giudice avesse correttamente fatto riferimento ai parametri di continuità e di diretta sorveglianza che, se sussistenti perché risolti, in fatto, dall’approntamento di mezzi, non meglio specificati, ma in grado di conseguire risultati di diretta e continua sorveglianza sul bene, erano idonei ad escludere la ratio di aggravamento insita nella disposizione di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen..

Si affermava dunque (come già enunciato in precedenza) il seguente principio di diritto: in tema di furto, l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non è configurabile in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto caso per caso, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci nell’impedire la sottrazione della res, ostacolandone quella facilità di raggiungimento che è caratteristica tipica della ratio della disposizione di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen., con cui non si intende tutelare qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico.

 

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui è ivi postulato che, in tema di furto, l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non è configurabile in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto caso per caso, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci nell’impedire la sottrazione della res, ostacolandone quella facilità di raggiungimento che è caratteristica tipica della ratio della disposizione di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen., con cui non si intende tutelare qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico.

Tale pronuncia, pertanto, pur non essendoci un quadro ermeneutico uniforme su tale questione giuridica, può essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare la sussistenza di questa aggravante speciale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché prova a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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