Qualora l’inadempimento non sia dovuto a colpa del concessionario, di conseguenza la domanda volta all’annullamento della parte del provvedimento che dispone l’incameramento della cauzione a titolo di sanzione, merita accoglimento

Lazzini Sonia 12/03/09
Scarica PDF Stampa
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo avverso un ricorso proposto contro l’incameramento di una cauzione emessa a fronte di una concessione in quanto <erroneamente l’Amministrazione ha equiparato l’incolpevole perdita della disponibilità del locale alla violazione dell’obbligo della gestione personale della rivendita (o, addirittura, all’abbandono del servizio)> e che <pertanto parimenti erroneamente, sulla base di un falso presupposto, ha comminato la sanzione dell’incameramento della cauzione>?
La censura merita accoglimento. Nel provvedimento, l’incameramento della cauzione appare “costruita” come “sanzione” per la violazione dell’obbligo di non abbandonare il servizio. Va, però, al riguardo sottolineato che la sanzionabilità di una condotta presuppone la volontà, quantomeno colpevole se non anche dolosa, di produrre l’evento.
Merita di essere segnalata la sentenza numero 1393 dell’ 11 febbraio 2009, emessa dal Tar Lazio, Roma ed in particolar modo il seguente passaggio:
Ora, dalle allegazioni in atti emerge che nel caso dedotto in giudizio il ricorrente ha dovuto lasciare il locale in conseguenza di un’azione coattiva promossa dall’Amministrazione ospedaliera in esecuzione di un’ordinanza di sgombero da essa stessa adottata. Ordinanza di fronte alla quale egli – non ostante difesosi – ha dovuto soccombere.
 
La sua volontà di non ottemperare all’obbligo doveva (e deve) perciò stesso ritenersi esclusa.
 
Né sembra che al ricorrente possa imputarsi alcunché a titolo di colpa, posto che il rilascio del locale non è dipeso dalla scadenza di un termine contrattuale, e cioè da un fatto prevedibile, ma da una decisione – alla quale il ricorrente non ha potuto opporsi – adottata d’imperio dall’Amministrazione ospedaliera, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo, nell’esercizio del suo potere discrezionale.
 
In tale contesto, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare che l’"inadempimento” del ricorrente è dipeso da una causa a lui non imputabile (e comunque da una sua condotta incolpevole).
 
Ne consegue che la domanda volta all’annullamento della parte del provvedimento che dispone l’incameramento della cauzione a titolo di sanzione, merita accoglimento
 
In conclusione quindi:
 
In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va accolto parzialmente, con conseguente annullamento della sola parte del provvedimento che dispone l’incameramento della cauzione.
 
 
A cura di *************
 
N. Reg. Sent.
Anno 2008
N.     Reg. Ric.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE II^
 
 
composto dai Signori:
Cons. ***********, Presidente;
Cons. Avv. ************ de Mohac, Relatore;
Cons. *********************, Componente;
ha pronunciato la seguente
sentenza
sul ricorso n. reg. gen. 11177-2004, proposto dal Sig. *************, rappresentato e difeso dall’Avv. ****************, unitamente al quale elegge domicilio presso lo studio dell’Avv. *******************, in Roma, Via Cola di ****** n.44;
contro
l’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede, in Roma, Via dei Portoghesi n.12, è ex lege domiciliato;
per l’annullamento
  • del provvedimento n.9667 del 20.7.2004, con cui il Direttore dell’Ispettorato ha disdetto il contratto di concessione in appalto della rivendita speciale n.96, sita nel Comune di Latina, con effetto dal 10.11.2001, disponendo l’incameramento della cauzione di € 1.497,00 a suo tempo costituita;
  • di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso.
Visti gli atti depositati dal ricorrente;
visti gli atti di costituzione in giudizio e la memoria dell’Amministrazione resistente;
visti gli atti tutti della causa;
designato relatore, alla pubblica udienza del 3 dicembre 2008. il Consigliere Avv. ************ de Mohac;
Nessuno comparso per le parti;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
fatto
In data 2.11.2000, il ricorrente sottoscriveva un contratto di appalto avente ad oggetto la gestione  della “rivendita speciale” n.96 di Latina, ubicata all’interno dell’Ospedale “****************”, per il periodo corrente dal 21.5.2000 al 20.5.2009.
A seguito dell’entrata in vigore della L. 21.11.2000 n.342, nel maggio del 2001 l’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato inviava al ricorrente – come agli altri titolari di rivendite speciali – una nota con cui lo informava circa la possibilità di conseguire, alle condizioni di legge, la trasformazione della rivendita da “speciale” in “ordinaria”.
Aderendo all’invito, in data 8.6.2001 il ricorrente proponeva l’istanza di trasformazione, dichiarando di possedere tutti i requisiti all’uopo richiesti dal Legislatore.
In data 6.11.2001 il ricorrente sollecitava l’Amministrazione a disporre il necessario sopralluogo per la verifica della sussistenza dei requisiti per la invocata trasformazione, rappresentando che l’urgenza era determinata dal fatto che l’Amministrazione sanitaria gli aveva – nel frattempo – intimato (con apposita ordinanza) il rilascio del locale per il giorno 10.11.2001. E proprio in considerazione di tale circostanza sopravvenuta, il ricorrente chiedeva, nella stessa nota, il trasferimento di sede della sua rivendita speciale in altro locale sito nelle immediate vicinanze del presidio ospedaliero, ma fuori dallo stesso.
Il 24.12.2001 il ricorrente avanzava una richiesta di autorizzazione alla chiusura provvisoria della rivendita (per 30 giorni), motivata dalla necessità di assistere la coniuge malata.
A tale richiesta ne seguivano altre due con le quali il ricorrente chiedeva di prorogare la chiusura rispettivamente fino al 28.2.2002 e fino al 31.3.2002.
Il 26.2.2002 l’Ispettorato chiedeva di conoscere se lo sgombero del locale – intimato dall’Amministrazione ospedaliera –  avesse poi effettivamente avuto luogo; e, ad ogni buon conto,  autorizzava la chiusura della rivendita speciale fino alla definizione del procedimento volto alla eventuale trasformazione della stessa da “speciale” in “ordinaria”.
In data 4.3.2002 il ricorrente precisava all’Ispettorato di aver dovuto rilasciare all’ASL il locale sede della rivendita; e chiedeva di poterla trasferire presso un altro locale (del quale trasmetteva la planimetria), sito in Piazza Toscanini.
L’Amministrazione effettuava, pertanto, due sopralluoghi (il 31.5.2002 ed il 19.7.2002).
In occasione degli stessi veniva definitivamente accertato che il locale ove era ubicata la rivendita speciale (della quale il ricorrente chiedeva il trasferimento) si trovava all’interno dell’Ospedale “Santa *************” (oltre la barriera d’ingresso), nell’atrio del piano terra di un padiglione accessibile esclusivamente agli utenti della struttura sanitaria. Ciò precludeva la possibilità di autorizzarne il trasferimento, in quanto la “specialità” della rivendita – id est: il titolo in ragione del quale era stata autorizzata – consisteva proprio nel fatto che essa dovesse soddisfare le specifiche esigenze dei frequentatori (medici, personale parasanitario e utenti) dell’Ospedale.
A questo punto, con nota del 12.8.2003 il ricorrente proponeva un’ulteriore istanza nella quale chiedeva la trasformazione della rivendita da ordinaria in speciale ed il contestuale trasferimento di sede.
Della vicenda veniva investita la Direzione Generale AAMS, la quale si pronunciava affermando che la trasformazione della rivendita “speciale” in rivendita “ordinaria” è condizionata – ex L. n.342/2002 – dalla sussistenza del requisito dell’accessibilità diretta da parte del pubblico (non essendo sufficiente l’accessibilità di categorie settoriali di utenti).
Pertanto poiché dagli atti d’ufficio, e in particolare dai verbali di sopralluogo del 19.7.2002, risultava in modo in equivoco l’assenza di tale presupposto, in data 3.3.2004 l’Ispettorato comunicava al ricorrente la reiezione della sua domanda di trasformazione della rivendita da speciale in ordinaria e la conseguente reiezione anche della domanda di trasferimento di sede (non più giustificabile se riferita ad una rivendita speciale).
Con nota del 26.3.2004 il ricorrente avanzava richiesta di riesame del provvedimento, chiedendo all’Amministrazione di prendere in considerazione il fatto che egli era stato costretto a lasciare il locale ove era ubicata la rivendita speciale, per “causa di forza maggiore” e cioè per una causa a lui non imputabile.
Ma con nota del 6.4.2004, l’Amministrazione  ribadiva il suo avviso e rinnovava – ad ogni buon fine – la comunicazione di avvio del procedimento di revoca della concessione in gestione della rivendita per cui è causa.
Quindi in data 20.7.2004 adottava il definitivo provvedimento di revoca e disponeva l’incameramento della cauzione.
Con il ricorso in esame il ricorrente ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese, per le conseguenti statuizioni conformative e di condanna.
Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione ha eccepito l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
Con ulteriori atti difensivi il ricorrente ha insistito nella domanda giudiziale.
Infine, all’udienza del 3 dicembre 2008, uditi i Difensori delle parti, i quali hanno insistito nelle rispettive richieste, deduzioni ed eccezioni, la causa è stata posta in decisione.
diritto
1. Il ricorso è solo in parte fondato, e va accolto nei limiti  e nei sensi di seguito indicati.
1.1. Con il primo e con il terzo motivo di gravame – che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro connessione argomentativa – il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.34, co 1°, della L. 22.12.1957 n.1293, nonché del’art.95 del DPR 15.10.1958 n.1074, ed eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione, deducendo:
  • che erroneamente l’Amministrazione ha equiparato l’incolpevole perdita della disponibilità del locale alla violazione dell’obbligo della gestione personale della rivendita (o, addirittura, all’abbandono del servizio);
  • e che pertanto parimenti erroneamente, sulla base di un falso presupposto, ha comminato la sanzione dell’incameramento della cauzione.
La censura merita accoglimento
Nel provvedimento, l’incameramento della cauzione appare “costruita” come “sanzione” per la violazione dell’obbligo di non abbandonare il servizio.
Va, però, al riguardo sottolineato che la sanzionabilità di una condotta presuppone la volontà, quantomeno colpevole se non anche dolosa, di produrre l’evento.
Ora, dalle allegazioni in atti emerge che nel caso dedotto in giudizio il ricorrente ha dovuto lasciare il locale in conseguenza di un’azione coattiva promossa dall’Amministrazione ospedaliera in esecuzione di un’ordinanza di sgombero da essa stessa adottata. Ordinanza di fronte alla quale egli – non ostante difesosi – ha dovuto soccombere.
La sua volontà di non ottemperare all’obbligo doveva (e deve) perciostesso ritenersi esclusa.
Né sembra che al ricorrente possa imputarsi alcunché a titolo di colpa, posto che il rilascio del locale non è dipeso dalla scadenza di un termine contrattuale, e cioè da un fatto prevedibile, ma da una decisione – alla quale il ricorrente non ha potuto opporsi – adottata d’imperio  dall’Amministrazione ospedaliera, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo, nell’esercizio del suo potere discrezionale.
In tale contesto, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare che l’”inadempimento” del ricorrente è dipeso da una causa a lui non imputabile (e comunque da una sua condotta incolpevole).
Ne consegue che la domanda volta all’annullamento della parte del provvedimento che dispone l’incameramento della cauzione a titolo di sanzione, merita accoglimento.
1.2. Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente lamenta violazione, sotto altro profilo, dell’art.34, co 1° della l. 22.12.1957 n.1293, violazione dell’art.97 della Costituzione ed eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifesta, deducendo:
  • che se l’Amministrazione avesse esitato più sollecitamente la sua domanda, egli avrebbe ottenuto la trasformazione della rivendita da speciale in ordinaria ben prima dell’ordinanza di sgombero;
  • e che ciò gli avrebbe consentito di ottenere il trasferimento nella nuova sede.
La doglianza non può essere condivisa.
Dalla ricostruzione dei fatti è emerso che nel corso dei sopralluoghi effettuati al fine di esitare le istanze del ricorrente, l’Amministrazione ha accertato che il locale ove era ubicata la rivendita speciale (della quale egli chiedeva il trasferimento) si trovava all’interno dell’Ospedale “Santa *************” (oltre la barriera d’ingresso), nell’atrio del piano terra di un padiglione accessibile esclusivamente agli utenti della struttura sanitaria.
Tale circostanza impediva – proprio ai sensi dell’art.65, 2° comma, della L. 21.11.2000 n.342, erroneamente invocato dal ricorrente –  di trasformare la rivendita da “speciale” in “ordinaria”.
La rivendita era stata qualificata “speciale” – infatti, e come dimostrato dalla limitata accessibilità – proprio in ragione della circostanza che era destinata ad un’utenza “settoriale”.
Correttamente, pertanto, l’Amministrazione ha negato la invocata “trasformazione”.
Dall’impossibilità di trasformare la rivendita da “speciale” in “ordinaria”, deriva necessariamente – poi – l’impossibilità di autorizzarne il “trasferimento” in una sede esterna all’Ospedale.
Il trasferimento di una rivendita speciale da una sede ad un’altra è consentito, infatti, esclusivamente se nella nuova sede persistano le condizioni di specialità in ragione delle quali era stata istituita.
E posto che la “specialità” della rivendita in questione – id est: il titolo in ragione del quale era stata autorizzata – consisteva proprio nel fatto che essa avrebbe dovuto soddisfare le specifiche esigenze dei frequentatori (medici, personale parasanitario e utenti) dell’Ospedale, non appare revocabile in dubbio che il suo trasferimento al di fuori della struttura sanitaria ne avrebbe tradito la ratio istitutiva.
E’ evidente, infatti, che l’ubicazione della nuova sede al di fuori dell’Ospedale avrebbe soddisfatto una differente e più estesa area di utenza, il che avrebbe contraddetto le precipue ragioni di specialità che avevano indotto l’Amministrazione ad istituire la rivendita.
Correttamente, pertanto, l’Amministrazione ha respinto anche la domanda di trasferimento della rivendita ad altra sede.
2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va accolto parzialmente, con conseguente annullamento della sola parte del provvedimento che dispone l’incameramento della cauzione.
Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese.
 
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio,  Sez. II^, accoglie in parte il ricorso, nei limiti e nei sensi indicati in motivazione; e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nella sola parte in cui  dispone l’incameramento della cauzione.
Compensa le spese fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 3 dicembre 2008.
il presidente
l’estensore. 

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento