Qual è l’attuale dimensione concettuale del “rapporto di servizio” e da quali fonti esso può derivare? Come si deve individuare il dies a quo del termine prescrizionale in caso di danno all’immagine? Può influire il comportamento colposo del danneggiato?

Lazzini Sonia 10/01/08
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Quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, per rapporto di servizio si deve intendere una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata per il tratto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’Amministrazione, del compito di porre in essere in sua vece (in vece, cioè, dell’Amministrazione medesima) un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto-, né quella del soggetto che la riceve, altra persona giuridica o fisica, pubblica o privata”
 
Merita di essere segnalata la sentenza numero 228 del 4 ottobre 2007 emessa dalla Corte dei Conti , Sezione giurisdizionale per l’Umbria:
 
Ö        Per l’instaurarsi di un “rapporto di servizio” in senso “funzionale” occorre semplicemente l’“inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo
 
Ö        Al fine di individuare il dies a quo del termine prescrizionale assume preminente rilevanza, nella specie, il fatto che il danno all’immagine, pur realizzandosi contemporaneamente alla condotta lesiva, “non esaurisce subito i suoi effetti, che si protraggono nel tempo per un periodo variabile da caso a caso, in relazione anche alle dimensioni ed alla consistenza della lesione stessa, rinnovando ed alimentando di momento in momento il corrispondente diritto risarcitorio”
 
Ö        Stante la descritta peculiarità del danno all’immagine, che si configura come un danno di durata e, quanto al clamor, come danno a possibile formazione progressiva, il Collegio ritiene doveroso affermare che la prescrizione inizia a decorrere subito, dal verificarsi della condotta lesiva, mentre il diritto risarcitorio continua ad alimentarsi e rinnovarsi nel tempo in relazione al persistere degli effetti lesivi della condotta, suscitato dal clamor, “sì che la prescrizione trova corrispondentemente, in questo continuo rinnovarsi del danno, nuovi termini di decorrenza, successivi al primo”
 
Ö        La prescrizione del danno all’immagine quale danno di durata va quindi verificata caso per caso e la valutazione di prognosi dell’eco spetta al Collegio in base ai parametri di consistenza e gravità. Ciò significa che più il danno è eclatante e più dura nel tempo in quanto il danno di durata si alimenta in relazione alla risonanza del fatto dannoso nel tempo.Da un lato c’è la gravità del fatto, dall’altro c’è l’alimentazione del danno dovuta a fatti successivi, come il processo o la condanna penale.Il danno si inizia a formare al momento del fatto, quando il fatto è pubblico, successivamente è il clamor che lo mantiene in vita.
 
 
Ö        Il contributo della vittima al verificarsi dell’evento dannoso, pur non essendo stato ritenuto rilevante, ai fini della valutazione del danno all’immagine incide in senso riduttivo.Il danno all’immagine nasce da una condotta dolosa, ma la stessa vittima ha dato una certa collaborazione che incide sul piano del risarcimento.
 
 
Ö        Per quantificare il danno avvicinandosi il più possibile alla “spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso”, si fa ricorso a criteri individuati dalla giurisprudenza sotto tre profili: uno oggettivo, uno soggettivo, uno sociale.Circa il criterio oggettivo, va considerato che agli atti risulta palese il comportamento illecito tenuto dal citato convenuto, il quale ha prescritto la somministrazione del farmaco pur conoscendone l’altissimo livello di pericolosità.Circa il criterio soggettivo, va tenuto presente che il convenuto stesso in quanto medico, svolge per l’Amministrazione sanitaria una funzione apicale altamente rappresentativa.Circa, infine, il criterio sociale, va tenuto conto della negativa ripercussione suscitata nell’opinione pubblica, considerato che i fatti hanno inciso sulla tutela del bene salute ed hanno avuto una risonanza notevole nella stampa, non soltanto locale.
 
 
A cura di Sonia LAzzini
 
UMBRIA Sentenza 228 2007 Responsabilità 04-10-2007
 
 
 
Sent. n. 228/E.L./07
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
In Nome del Popolo Italiano
 
LA CORTE DEI CONTI
 
Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria
 
composta dai seguenti Magistrati :
 
Dott. Lodovico PRINCIPATO                  Presidente
 
Dott. Fulvio Maria LONGAVITA               Consigliere
 
Dott. Cristiana RONDONI                       Consigliere relatore
 
ha pronunciato la seguente:
 
S E N T E N Z A
nel giudizio di responsabilità iscritto al n.10828/E.L. del registro di Segreteria, promosso ad istanza del Procuratore Regionale della Corte dei Conti per la Regione Umbria, nei confronti di:
 
F. Tommaso, ,in qualità di medico di base.
 
Uditi nella pubblica udienza del giorno 19 giugno 2007, con l’assistenza del segretario dott. Giuliano Cecconi, il Relatore, Consigliere Dott.ssa Cristiana Rondoni, il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Fernanda Fraioli ed il difensore del ricorrente avvocato Marco Mariani.
 
Ritenuto in
 
F A T T O
         Con atto di citazione notificato il 16 gennaio 2007, la Procura regionale della Corte dei conti per l’Umbria ha citato in giudizio innanzi a questa Sezione il dott. F. Tommaso per avere – in qualità di medico di base – arrecato un danno all’immagine dell’Amministrazione sanitaria, avendo causato o almeno concausato il decesso della signora Picchiarelli Rita, avvenuto per una trombosi venosa profonda della vena brachiale del primo tratto della vena ascellare destra che, a sua volta, era stata provocata dalla somministrazione di un farmaco, il “Ferlixit”, da questi prescritto ed assunto per via endovenosa.
 
         Riferisce la citazione che l’accusa a seguito della pubblicazione di numerosi articoli di stampa sulle diverse testate giornalistiche a diffusione regionale aventi ad oggetto l’avvenuto decesso di una giovane donna di 23 anni e la conseguente condanna penale per omicidio colposo del proprio medico curante, apriva regolare istruttoria dalla quale emergeva che il decesso della signora Picchiarelli Rita, pur essendo avvenuto nell’abitazione privata, è stato l’epilogo di una patologia affrontata nei giorni precedenti presso l’ospedale di Foligno nel quale la Picchiarelli si è recata per accertamenti medici su disturbi conseguenti all’assunzione dei farmaci prescritti dal medico di base per un lamentato stato di affaticamento.
 
         In particolare la paziente, in data 26 febbraio 1998, riceveva la prescrizione dal dott. F., di assumere 2 confezioni di “Ferlixit fiale IM, EV” (per uso intramuscolo ed endovena) per una “astenia ipotensiva con lipotimia recidivante”.
 
Alla successiva visita del 12 marzo 1998 il dott. Costantini, che sostituiva il convenuto, prescriveva un antibiotico per via orale e l’effettuazione di un elettrocardiogramma che risultava nella norma.
 
Il giorno seguente il dott. Costantini somministrava il “Plasil” ed il “Voltaren” e prescriveva una consulenza chirurgica urgente per sospetta flebite all’avanbraccio destro.
 
La conseguente visita effettuata presso il pronto soccorso dell’ospedale di Foligno, portava alla diagnosi di una “flebite superficiale in seguito a terapia per via venosa: si consiglia terapia antibiotica ed anticoagulante”, per la quale veniva prescritta la terapia di “clavulin, calcieparina e tachipirina al bisogno”.
 
Ricondotta a casa il mattino seguente, il 14 marzo 1998, veniva rinvenuta cadavere ed il seguente esame autoptico evidenziava che il decesso è stato causato da insufficienza cardio respiratoria, secondaria ad embolie polmonari multiple ed anche subentranti, il tutto secondario alla trombosi venosa profonda della vena brachiale e del primo tratto della vena ascellare destra.
 
Risulta in atti che agli eredi è stata liquidata la somma di 300.000.000 di lire da parte delle Assicurazioni Generali spa, in relazione alla polizza stipulata dalla ASL per la copertura della responsabilità civile.
 
Risulta inoltre che il convenuto per i fatti penalmente accertati ha direttamente risarcito le parti civili, in conformità alla scrittura privata del 5 novembre 2004, con un ulteriore somma di 40.000 €.
 
Il procedimento penale conseguentemente avviato dalla Procura della Repubblica si concludeva con una condanna penale del F. alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni morali in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva, nonché alla rifusione di tutte le spese di costituzione e difesa.
 
In data 17 dicembre 2004 la Corte d’Appello di Perugia emetteva sentenza n. 958/04 del 12 gennaio 2005 di conferma di quella di prime cure.
 
In data 13 luglio 2005 la Corte di Cassazione con sentenza n. 1239, annullava l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, ritenendo che la motivazione della sentenza di appello, effettuata per relationem, pur se legittima rinviava tout court alle argomentazioni del primo giudice senza procedere al vaglio di quanto ulteriormente devoluto, con specifiche ed articolate argomentazioni, dalla difesa dell’imputato.
 
      E’ in atti estratto della sentenza della Corte d’Appello di Firenze che dichiara la prescrizione del reato, il testo integrale è stato depositato dal difensore all’odierna udienza.
 
         In relazione alla descritta condotta del convenuto l’accusa chiede che lo stesso sia condannato a risarcire la somma di € 30.000,00, per il danno arrecato all’immagine dell’amministrazione sanitaria.
 
La Procura regionale ha notificato l’invito a fornire deduzioni previsto dall’art. 5, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, in data 23 maggio 2006.
 
Nel termine indicato il convenuto ha presentato deduzioni senza chiedere di essere sentito personalmente.
 
Nelle deduzioni depositate in data 15 giugno 2006 il F. ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato la precedente e rinviato alla Corte d’Appello di Firenze per un nuovo esame e ha fatto presente che il reato è stato dichiarato prescritto ai sensi dell’articolo 157 c.p., in quanto il fatto risale al 14 marzo 1998.
 
 Con Provvedimento del 30 novembre 2006, (ritualmente notificato all’interessato), il Presidente della Sez. Giurisd. Reg. dell’Umbria della Corte dei Conti ha fissato al giorno 20 marzo 2007 l’Udienza per la discussione del giudizio in questione.
 
L’udienza fissata per il 20 marzo 2007 è stata poi rinviata d’ufficio al 19 giugno 2007.
 
In data 25 maggio 2007 il convenuto ha depositato una memoria di costituzione e risposta e la procura all’avvocato Marco Mariani, apposta a margine della comparsa di risposta.
 
Il difensore ha eccepito preliminarmente l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità ed ha sottolineato che – è vero che ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 20 del 1994 il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso – ma nella specie va tenuto conto delle oscillazioni giurisprudenziali circa l’individuazione del dies a quo.
 
Non sempre infatti si è ritenuto di identificare quest’ultimo con la data del rinvio a giudizio, che, nel caso, è avvenuto il 1 agosto 2001.
 
Altra giurisprudenza afferma invece che per il danno all’immagine la decorrenza vada ancorata al momento del clamor, avvenuto con i primi articoli di stampa, dal 1998 con la pubblicazione della notizia degli emessi avvisi di garanzia per il caso in esame.
 
La difesa contesta inoltre la sussistenza della giurisdizione di questa Corte in relazione alla mancanza in capo al medico della qualifica di agente pubblico, avendo il F. svolto la sua attività professionale nell’ambito di un rapporto di diritto privato con la ASL.
 
La difesa conclude ritenendo che non sussista il danno all’immagine e che la somma richiesta sia sproporzionata; in subordine chiede una riduzione significativa dell’ammontare.
 
Alla odierna pubblica udienza il Pubblico Ministero, con riguardo alla prescrizione, ha fatto presente che la Procura ha agito quando ha avuto la conoscenza del fatto e, quanto alla giurisdizione, ha osservato che in giurisprudenza non vi sono dubbi sulla qualifica di agente pubblico del medico di base convenzionato con la ASL, il quale è un pubblico dipendente per tutte le attività che svolge per la ASL e ricopre una funzione apicale, in quanto rappresenta l’Amministrazione sul territorio.
 
Il difensore, avvocato Marco Mariani ha dichiarato di non condividere la tesi della Procura sulla prescrizione e quanto alla giurisdizione ha definito quella del medico attività libero professionale, latu sensu di certificazione ed ha evidenziato che i danni causati sono stati risarciti dalla compagnia di assicurazione.
 
DIRITTO
 
Questioni preliminari di rito
 
Il Collegio ritiene opportuno affermare preliminarmente la giurisdizione della Corte dei Conti nel presente giudizio.
 
La difesa del convenuto, sostanzialmente fonda l’eccezione di giurisdizione sull’assunto che la materia attiene ad attività prive di connotati pubblicistici, in quanto il medico svolgeva una attività libero professionale, indipendente dal rapporto con l’Amministrazione Sanitaria.
 
Il Collegio ritiene che l’eccezione formulata dalla difesa sia priva di pregio, in quanto è ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti sull’attività del medico di base, il quale svolge il suo lavoro non come libero professionista, ma in relazione ad un rapporto di servizio con la ASL in quanto pubblico dipendente che in posizione apicale rappresenta l’Amministrazione sul territorio. ( vedi Cass. n. 922 del 21 dicembre 1999; Cass. n. 9957 del 13 novembre 1996).
 
La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha peraltro espresso chiaramente il proprio pensiero in ordine all’attuale dimensione concettuale del “rapporto di servizio” ed alle fonti dalle quali esso può derivare, precisando che, “quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, per rapporto di servizio si deve intendere una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata per il tratto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’Amministrazione, del compito di porre in essere in sua vece (in vece, cioè, dell’Amministrazione medesima) un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto-, né quella del soggetto che la riceve, altra persona giuridica o fisica, pubblica o privata” (v. tra le tante Cass. SS. UU. n°400/2000).
 
Per l’instaurarsi di un “rapporto di servizio” in senso “funzionale” occorre semplicemente l’“inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo” (v., in particolare, Cass. SS.UU. n°3899/2004).
 
Ora è evidente che nella specie tale inserimento si sia senz’altro verificato, considerato che il dottor F. ha prescritto la cura alla Picchiarelli non quale libero professionista ma quale medico di base, come tale legato da un rapporto di servizio con la ASL, in quanto paziente con lui convenzionata, per cui nessun dubbio può sussistere per il Collegio nell’affermare la giurisdizione della Corte dei Conti.
 
Eccezione di prescrizione.
 
Con riguardo all’eccezione di prescrizione dell’azione per il richiesto danno all’immagine formulata dalla difesa in relazione al fatto che il dies a quo cui far riferimento non sarebbe quello della data del rinvio a giudizio (1 agosto 2001), ma, in accordo con una parte della giurisprudenza, quello del verificarsi del fatto (decesso della paziente), (anche in relazione alla sussistenza di un conseguente clamor iniziale, tenuto conto che le prime notizie diffuse dalla stampa risalgono al 1998), il Collegio ritiene opportuno fare alcune precisazioni.
 
Non vi è dubbio che nella specie, infatti ai sensi dell’articolo 129 delle norme di attuazione del cpp, il Pubblico Ministero penale era tenuto a dare informazione alla ASL ed alla Procura Regionale della Corte dei Conti dell’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti del sanitario.
 
Agli atti di causa non vi é notizia del momento in cui l’Amministrazione ed il Pubblico Ministero sono venuti a conoscenza del danno per aver ricevuto detta comunicazione.
 
A parte la rilevanza di tale comunicazione è sufficiente che sia provabile aliunde che l’Amministrazione sia venuta a conoscenza del fatto dannoso.
 
Quanto alla ricostruzione dei fatti addebitabili al convenuto, in questo caso, non si può invocare l’articolo 651 cpp, in quanto la sentenza penale della Corte d’appello di Firenze ha dichiarato il reato estinto per prescrizione, e quindi non si è formato alcun giudicato sulla materialità dei fatti.
 
Questo Collegio pertanto è libero di ricostruire la vicenda allo stato degli atti.
 
Quanto alla successione temporale degli eventi si evince dagli atti di causa che in data 26 febbraio 1998 il medico ha prescritto alla paziente il farmaco responsabile della patologia causativa del decesso, avvenuto in data 14 marzo 1998. Il 1 agosto del 2001 il convenuto è stato rinviato a giudizio, il 15 gennaio 2004 è stato condannato dal Tribunale di Perugia a mesi 6 di reclusione ed il 17 dicembre 2004 la decisione è stata confermata dalla della Corte d’appello di Perugia.
 
L’invito a dedurre – quale primo atto interruttivo della prescrizione – è stato notificato al F. il 23 maggio 2006.
 
Tanto premesso il Collegio ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, l’eccezione di prescrizione sia da dichiarare in parte fondata, in quanto sia la data della citazione, notificata il 16 gennaio 2007, che la data dell’invito a dedurre, notificato appunto il 23 maggio 2006 sono ben oltre il quinquennio rispetto al momento in cui il danno è venuto a configurarsi per la prima volta (1998, anno della morte della paziente e del clamor che ne è conseguito).
 
Al fine di individuare il dies a quo del termine prescrizionale assume preminente rilevanza, nella specie, il fatto che il danno all’immagine, pur realizzandosi contemporaneamente alla condotta lesiva, “non esaurisce subito i suoi effetti, che si protraggono nel tempo per un periodo variabile da caso a caso, in relazione anche alle dimensioni ed alla consistenza della lesione stessa, rinnovando ed alimentando di momento in momento il corrispondente diritto risarcitorio” (vedi di questa Sezione sent. n. 557/R/2000).
 
Stante la descritta peculiarità del danno all’immagine, che si configura come un danno di durata e, quanto al clamor, come danno a possibile formazione progressiva, il Collegio ritiene doveroso affermare che la prescrizione inizia a decorrere subito, dal verificarsi della condotta lesiva, mentre il diritto risarcitorio continua ad alimentarsi e rinnovarsi nel tempo in relazione al persistere degli effetti lesivi della condotta, suscitato dal clamor, “sì che la prescrizione trova corrispondentemente, in questo continuo rinnovarsi del danno, nuovi termini di decorrenza, successivi al primo” (vedi. N. 557/R/2000 cit. e n. 177/2000 di questa Sezione).
 
Il protrarsi degli effetti lesivi, pone dunque la necessità di ben individuare l’atto interruttivo della prescrizione, così da distinguere ed isolare la parte del diritto risarcitoria eventualmente prescritta da quella che, invece, può ancora efficacemente essere fatta valere.
 
Nella specie il Collegio ritiene si debba riconoscere sicuramente valenza interruttiva della prescrizione all’invito a dedurre, in quanto utilizzato dal PM anche come atto di messa in mora del convenuto.
 
La prescrizione del danno all’immagine quale danno di durata va quindi verificata caso per caso e la valutazione di prognosi dell’eco spetta al Collegio in base ai parametri di consistenza e gravità.
 
Ciò significa che più il danno è eclatante e più dura nel tempo in quanto il danno di durata si alimenta in relazione alla risonanza del fatto dannoso nel tempo.
 
Da un lato c’è la gravità del fatto, dall’altro c’è l’alimentazione del danno dovuta a fatti successivi, come il processo o la condanna penale.
 
Il danno si inizia a formare al momento del fatto, quando il fatto è pubblico, successivamente è il clamor che lo mantiene in vita.
 
Nella specie il convenuto – come evidenziato in fatto – ha riparato il danno materiale, e l’eclatanza dei fatti ha seguito il processo.
 
Merito
 
Per quanto concerne la quantificazione del danno va tenuto conto del concorso della vittima, che nel momento in cui il farmacista ha chiamato il medico per far presente che il medicinale poteva essere somministrato non intramuscolo/endovena, ma per via orale/endovena e quindi prima di iniziarne l’assunzione per via endovenosa, era stata dallo stesso consigliata ad assumere il medicinale per via orale, ma ha ritenuto comunque di farselo iniettare per via endovenosa.
 
Il contributo della vittima al verificarsi dell’evento dannoso, pur non essendo stato ritenuto rilevante, ai fini della valutazione del danno all’immagine incide in senso riduttivo.
 
Il danno all’immagine nasce da una condotta dolosa, ma la stessa vittima ha dato una certa collaborazione che incide sul piano del risarcimento.
 
In mancanza delle prove con riguardo alle spese per il ripristino dell’immagine lesa il Collegio ritiene di quantificare ex articolo 1226 cc il danno in € 6000,00 (seimila/00)
 
Per quantificare il danno avvicinandosi il più possibile alla “spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso”, si fa ricorso a criteri individuati dalla giurisprudenza sotto tre profili: uno oggettivo, uno soggettivo, uno sociale.
 
         Circa il criterio oggettivo, va considerato che agli atti risulta palese il comportamento illecito tenuto dal citato convenuto, il quale ha prescritto la somministrazione del farmaco pur conoscendone l’altissimo livello di pericolosità.
 
Circa il criterio soggettivo, va tenuto presente che il convenuto stesso in quanto medico, svolge per l’Amministrazione sanitaria una funzione apicale altamente rappresentativa.
 
         Circa, infine, il criterio sociale, va tenuto conto della negativa ripercussione suscitata nell’opinione pubblica, considerato che i fatti hanno inciso sulla tutela del bene salute ed hanno avuto una risonanza notevole nella stampa, non soltanto locale.
 
Il Collegio pertanto in considerazione del concorso della vittima, che – come detto – prima di iniziarne l’assunzione del farmaco per via endovenosa, era stata dal medico consigliata ad assumere il medicinale per via orale, considera equo (ai sensi dell’art. 1226 c.c.) determinare in € 6.000,00 (seimila/00) la somma da porre a carico del predetto convenuto per il risarcimento del “danno all’immagine ed al prestigio” subito dall’Amministrazione sanitaria.
 
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
 
P. Q. M.
 
LA CORTE DEI CONTI
 
Sezione Giurisdizionale dell’Umbria
 
CONDANNA
Il convenuto F. Tommasoal pagamento della somma di € 6.000,00 (seimila/00) in favore dell’Amministrazione sanitaria (Asl n. 3 dell’Umbria).
 
Sul complessivo importo sono dovuti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della presente Sentenza fino al soddisfo.
 
Liquida a favore dello Stato le spese di giudizio, nella misura, alla data di pubblicazione della presente Sentenza, di € 435,14 (quattrocentotrentacinque/14).
 
Manda alla Segreteria per gli ulteriori adempimenti.
 
Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del 19 giugno 2007.
 
          L’Estensore                                                      Il Presidente
 
 F.to Cristiana Rondoni                                     F.to Lodovico Principato
 
Depositata in Segreteria il 4 ottobre 2007.
 
                                                                     Il Funzionario di Cancelleria
 
                                                                                   Elvira Fucci
 
 
 
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
UMBRIA Sentenza 228 2007 Responsabilità 04-10-2007
 
 
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Lazzini Sonia

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