Protocollo alla Convenzione contro la tortura, pubblicata la legge di ratifica (L. 195/2012).

Redazione 20/11/12
Scarica PDF Stampa
Lilla Laperuta

La tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti sono vietati e costituiscono violazioni gravi dei diritti dell’uomo. Lo si afferma nel preambolo che accompagna il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002. Nella Gazzetta n. 270 di ieri è stata pubblicata la legge italiana di ratifica di tale atto: si tratta della L. 9 novembre 2012, n. 195 recante, appunto, “Ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002”.

Si evidenzia che l’ordinamento giuridico penale nazionale tuttora non contempla il reato di tortura, nonostante i ripetuti tentativi del Parlamento, a partire dalle ultime due legislature, di approvare in tal senso una novella al codice penale. Infatti occorre ricordare che, pur avendo l’Italia già in più occasioni condannato ogni forma di tortura (si pensi alla ratifica con legge 4 agosto 1955, n. 848 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali siglata a Roma nel 1950), nel sistema giuridico nazionale per reprimere condotte riconducibili a maltrattamenti di questa natura occorre fare riferimento ai delitti codificati come lesioni (art. 582 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) e minacce (art. 612 c.p.).

La definizione di “tortura” è riportata espressamente all’art. 1 della Convenzione di New York ove viene designata come qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine:

a) di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni;

b) di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso;

c) di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona:

d) per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito.

Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate. Mentre al successivo art. 2 si dichiara che gli Stati aderenti alla Convenzione devono impegnarsi ad adottare misure legislative, amministrative, giudiziarie ed altre misure efficaci per impedire che atti di tortura siano commessi in qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione.
A tal fine il Protocollo succitato prevede l’introduzione di un meccanismo nazionale di prevenzione consistente in un organo indipendente di controllo dei luoghi in cui le persone sono private della libertà, quindi non solo nelle carceri, ma anche nelle stazioni di polizia, nei centri di detenzione per immigrati, negli ospedali psichiatrici, ecc.

La relazione illustrativa ricorda che la parte IV del Protocollo prevede, all’articolo 17, la costituzione, entro un anno dalla sua entrata in vigore (previsto per il mese successivo al deposito della ventesima ratifica), di meccanismi nazionali indipendenti e che alla realizzazione di questo obiettivo nel Paese può essere collegata l’approvazione del disegno di legge in materia di Istituzione della Commissione nazionale per la promozione e protezione dei diritti umani, approvato dal Senato e attualmente in discussione presso la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati (A.C. 4534).

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento