Quando è prorogabile il regime carcerario differenziato

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La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è prorogabile il regime detentivo differenziato (altrimenti noto come carcere c.d. duro).
Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – sentenza n. 142 del 05-01-2023

Indice

1. La questione

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava un reclamo presentato avverso un d.m. con cui era stata prorogata per il periodo di due anni la sottoposizione del condannato al regime detentivo differenziato previsto dall’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, sul rilievo dell’attuale operatività dell’associazione a delinquere di cui il condannato ha fatto parte, dedita alla commissione di delitti che pregiudicano l’ordine e la sicurezza pubblica, e della posizione di rilievo da lui assunta in seno alla compagine, tale da far ritenere tuttora sussistente il legame con l’organizzazione.
Ciò posto, i difensori del detenuto proponevano ricorso per Cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale si deduceva la violazione di legge in quanto, a loro avviso, il Tribunale di sorveglianza capitolino era pervenuto al rigetto del reclamo attraverso enunciazioni (considerate) stereotipate ed apparenti, che non davano dimostrazione dell’effettività ed attualità dei suoi collegamenti criminosi, e senza tener conto di rilevanti circostanze, già debitamente illustrate con il reclamo, che avrebbero dovuto indurlo ad opposte conclusioni.
Si addebitava inoltre al Tribunale di sorveglianza di non avere esplicitamente illustrato gli elementi che avrebbero attestato la persistente pericolosità ed il mantenimento, all’attualità, di rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza e di avere, viceversa, fondato il proprio giudizio sull’esame del comportamento carcerario, richiamando il contenuto di conversazioni con i familiari risalenti al biennio precedente, peraltro prive di indicazioni, da lui rivolte agli interlocutori, relative alla gestione degli interessi economici e criminali del gruppo.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il ricorso era reputato inammissibile perché incentrato su motivo considerato manifestamente infondato.
In particolare, gli Ermellini osservavano prima di tutto che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione nel caso di specie è segnato dall’art. 41-bis, comma 2-sexies, legge 26 luglio 1975, n. 354, a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte di Appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per Cassazione avverso le ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Roma per violazione di legge, rilevandosi al contempo che la limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge comporta che il controllo demandato al giudizio di legittimità riguardi l’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale e l’assenza di motivazione, che priva il provvedimento impugnato dei requisiti prescritti dall’art. 41-bis, comma 2-sexies, legge 26 luglio 1975, n. 354, a tenore del quale il Tribunale di sorveglianza, sul reclamo del detenuto, decide «in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 […]» e, in questo contesto, il vizio deducibile in termini di mancanza di motivazione dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, conformemente a quanto da tempo affermato dalle Sezioni unite in tema di ricorsi per cassazione ammessi per le sole violazioni di legge (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, omissis; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016), comprende, oltre all’ipotesi, sostanzialmente scolastica, di un provvedimento totalmente privo di giustificazioni, ma dotato del solo dispositivo, tutti i casi in cui la motivazione sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito fermo restando che, a tali patologie motivazionali, devono essere equiparate le ipotesi in cui le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che giustificano la decisione relativa al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2004; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003) mentre deve, all’opposto, escludersi che la violazione di legge possa ricomprendere i vizi di illogicità e di contraddittorietà della motivazione dei provvedimenti relativi al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, che non possono trovare ingresso in questa sede, presupponendo tali censure l’esistenza di un provvedimento dotato di una struttura argomentativa incompatibile con la patologia processuale in esame (Sez. 1, n. 16019 del 27/01/2016; Sez. 1, n. 48494 del 09/11/2004).
Premesso ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come la giurisprudenza di legittimità abbia, sotto altro aspetto, chiarito, con specifico riferimento alla delimitazione dell’ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza sul provvedimento amministrativo di proroga del regime detentivo speciale, quanto segue: «Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41-bis Ord. Pen. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza» (Sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016; in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013).
Inoltre, nello stesso solco ermeneutico, si sono inserite le più recenti pronunzie che, a loro volta, hanno chiarito che, ai «fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un “clan” camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice)» (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018).
Del resto, rilevava sempre la Corte di legittimità nella pronuncia qui in commento, in  coerenza con tale indirizzo, è stato, tra l’altro, affermato, da un lato, che, ai «fini della proroga del regime di detenzione differenziata, ai sensi dell’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario» (Sez. 1, n. 24134 del 10/05/2019), dall’altro, che, ai «fini della proroga della sospensione dell’applicazione delle regole di trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti menzionati dall’art. 41-bis, comma secondo, legge 26 luglio 1975 n. 354, la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, richiesta dalla norma, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti» (Sez. 1, n. 20986 del 23/06/2020), tenuto conto altresì di quell’orientamento nomofilattico secondo cui l’«accoglimento del ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 implica l’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario» (Sez.1, n. 32337 del 03/07/2019).
Orbene, declinando questi criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, il Supremo Consesso riteneva come il Tribunale di sorveglianza di Roma avesse compiuto una corretta valutazione della posizione del detenuto, esaminata alla luce delle note informative trasmesse dai competenti organi giudiziari ed investigativi, in guisa tale che, a suo avviso, il provvedimento impugnato appariva essere conforme alle risultanze processuali e rispettoso dei parametri, sopra richiamati, affermati dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia.
Il ricorso proposto, pertanto, era dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato alle spese del procedimento nonché al versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
 

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è prorogabile il regime detentivo differenziato (altrimenti noto come carcere c.d. duro).
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso e consolidato orientamento nomofilattico, che il controllo di legalità del Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato consiste nella verifica, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza, il che deve avvenire secondo i parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis dell’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 che, come è noto, dispone quanto segue: “La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa”.
Orbene, la valutazione di siffatti parametri, sempre alla luce di quanto postulato nella decisione qui in esame, deve sostanziarsi in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime, fermo restando che non è necessario l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario, così come la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, richiesta dalla norma, non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti.
Per dimostrare invece l’insussistenza delle condizioni di legge per potere procedere a cotale proroga, spetta al detenuto addurre elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale che non possono però identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario.
Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se il regime carcerario differenziato sia stato legittimamente prorogato (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
 
 

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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