Proposta di legge n. 2346, d’iniziativa del deputato Zanella, presentata il 14 febbraio 2002 ed intitolata “Disposizioni per la tutela dalla persecuzione psicologica nei luoghi di lavoro”.

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Art. 1 Princıpi e finalità.
1. Per «mobbing» si intendono gli atti e i comportamenti posti in essere da datori di lavoro, capi intermedi e colleghi, che danno luogo a condotte persecutorie, attuate con evidente e mirata determinazione, con carattere di continuità e finalizzati ad arrecare danno alla salute psicofisica del lavoratore, ovvero ad emarginarlo e penalizzarlo nello svolgimento delle sue mansioni o allontanarlo dall’ambiente lavorativo in seno al quale presta la propria opera.
2. Gli atti e i comportamenti rilevanti ai fini della presente legge comprendono:
a) molestie e maltrattamenti verbali quali attacchi alla reputazione, calunnie, pettegolezzi e ogni altra offesa e insinuazione che possa ledere l’immagine e le relazioni sociali del lavoratore, ovvero arrecare danno alla sua carriera professionale pregiudicandone la salute psichica;
b) atti tesi all’emarginazione del lavoratore quali carenza di informazioni, esclusione sistematica ed immotivata dai momenti di socialità;
c) atti vessatori o intimidatori quali controlli e sorveglianza continui privi di valida motivazione, minacce di trasferimenti, violazione della segretezza della corrispondenza privata, cartacea o elettronica, mancata concessione di permessi o ferie, blocco della carriera professionale attraverso l’ingiustificata rimozione da incarichi ricoperti proficuamente o la svalutazione dei risultati conseguiti;
d) comportamenti o provvedimenti di discriminazione sessuale, etnica, politica o religiosa, anche quando messi in pratica attraverso allusioni o sottintesi malevoli.
3. Il danno di natura psico-fisica, provocato dagli atti e dai comportamenti di cui al comma 2 è rilevante, ai fini della presente legge, quando incide sulla capacità lavorativa del lavoratore sia pregiudicandone la stima di sè sia inducendolo a crisi depressive o cagionando danni diretti o indiretti alla sua salute.
 
Art. 2 Misure di prevenzione del mobbing
1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua con apposito decreto le singole fattispecie di violenza e persecuzione ai danni dei lavoratori, rilevanti ai sensi della presente legge.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede a predisporre una campagna di informazione, utilizzando i più diffusi canali di comunicazione, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno del mobbing e a fare conoscere gli strumenti attivati per contrastarlo.
3. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali istituisce in tutti i luoghi di lavoro pubblici strutture di monitoraggio, consulenza e assistenza, denominati “mobbing point”, a cui il lavoratore che ritiene di essere vittima di atti persecutori può rivolgersi per ottenere tutela. I mobbing point, presso i quali operano consulenti del lavoro e assistenti sociali, hanno l’obbligo, in seguito alle segnalazioni ricevute e in collaborazione con le organizzazioni sindacali, di stilare un rapporto dettagliato da inviare al Ministero per gli opportuni provvedimenti. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in accordo e coordinamento con gli enti locali, istituisce altresì strutture di servizio a carattere territoriale, dotate di call center con numero verde, di ufficio di consulenza legale e di unità di assistenza psicologica, presso le quali possono rivolgersi i lavoratori di aziende private o singoli cittadini.
 
Art. 3 Obblighi del datore di lavoro
1. I datori di lavoro, pubblici o privati, unitamente alle rappresentanze sindacali dove esistenti, sono obbligati a fornire tutte le informazioni rilevanti relative al conferimento degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni e delle qualifiche, in applicazione della presente legge.
2. Le informazioni di cui al comma 1, unitamente al testo della presente legge, devono essere affissi nelle bacheche aziendali e, in ogni caso, resi di pubblico dominio.
3. In caso di denuncia degli atti e dei comportamenti di cui all’articolo 1 da parte di singoli lavoratori è compito dei datori di lavoro, delle rispettive rappresentanze sindacali aziendali e dei mobbing point, dove esistenti, provvedere tempestivamente all’accertamento dei fatti denunciati. Accertati i fatti, il datore di lavoro è tenuto ad assumere le iniziative idonee a risolvere il conflitto denunciato.
4. A integrazione di quanto disposto dall’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori hanno diritto di riunirsi, fuori dall’orario di lavoro, nei limiti di sessanta ore su base annuale, al fine di esaminare e dibattere in merito alle violenze e alle persecuzioni psicologiche nei luoghi di lavoro con le modalità e con le forme previste dal citato articolo 20.
 
Art. 4 Responsabilità disciplinare.
1. A coloro che pongono in essere gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1 si applicano le misure previste dalla normativa vigente con riferimento alla responsabilità disciplinare.
2. Responsabilità analoga a quella di cui al comma 1 grava su chi consapevolmente denuncia gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1, ancorchè notoriamente inesistenti, al solo fine di trarne un
qualsivoglia vantaggio.
3. Gli atti posti in essere dal datore di lavoro, nonchè i provvedimenti assunti relativi alla modifica di mansioni e qualifiche, di incarichi, nonchè i trasferimenti di qualsiasi natura, riconducibili alle condotte di cui all’articolo 1, sono annullabili a richiesta del lavoratore danneggiato.
 
Art. 5 Ricorso alla giustizia ordinaria.
1. Ogni lavoratore che abbia subito violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma intenda agire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione contemplato dall’articolo 410 del codice di procedura civile, ove del caso, anche con l’ausilio delle rappresentanze aziendali dove esistenti. Il procedimento è regolato ai sensi dell’articolo 413 del codice di procedura civile.
2. Il giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, la cui liquidazione ha luogo in forma equitativa.

proposta di legge

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