Profili guiridici dell’alimentazione vegetariana

Sgueo Gianluca 26/03/09
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1. Introduzione[1]
A Tales of Two Cities – o “Racconto di due città”, nella traduzione italiana – è il secondo romanzo storico di Charles Dickens, scritto nel 1859. Nel romanzo i due protagonisti, Charles Darnay e Sidney Carlton, uno francese, l’altro inglese, amano la stessa donna: Lucie Manette. La storia vede i due incrociare le proprie vite, durante la rivoluzione francese. I due si incontreranno, rincorreranno ed affronteranno tra Londra e Parigi. Le due città, le rispettive culture, i costumi e le politiche dell’epoca, ma soprattutto le profonde differenze che le caratterizzano, costituiscono forse il profilo più interessante del racconto.
La medesima tensione tra interessi e posizioni diverse, spesso antitetiche, si presenta al giurista che voglia descrivere la scelta di un individuo ad escludere in parte o del tutto i prodotti animali dalla propria alimentazione. Inscrivere detta scelta entro gli schemi logici del diritto è, senza dubbio, un’operazione complessa. Queste le domande: siamo in presenza di una libertà o di un diritto? Quali soggetti ne sono titolari ed a quali condizioni? Al diritto – ammesso che si possa definire tale – corrispondono obblighi, doveri? Chi ne assicura la tutela? Nel rispetto di quali limiti?
 Le risposte, invece, mancano di univocità. Ne discendono, anzichè soluzioni certe, problemi ed aspetti contraddittori. A seconda delle contingenze spazio-temporali, il Legislatore ha adottato approcci libertari o, piuttosto, restrittivi quanto alle scelte alimentari degli individui. I poteri pubblici, di conseguenza, hanno sviluppato vincoli più o meno stringenti. Le corti, poi, hanno offerto una tutela giuridica a singhiozzo.
 
2. Vegetarianismo e tutela della salute. Due profili conciliabili?
Il primo nodo problematico da sciogliere risiede nella conciliabilità tra la tutela del diritto alla salute e la scelta di seguire una dieta vegetariana. Le domande da porsi, in merito, sono due: in che modo i due profili – tutela della salute e tutela della scelta di seguire una dieta vegetariana – entrano in contatto? Con quale grado di conflittualità?
Cominciamo da una breve ricognizione della normativa internazionale e italiana in materia. I riferimenti alla salute degli individui e alla tutela predisposta nei confronti di questa sono, in entrambi i casi, numerosi. Si prendano, a titolo di esempio, la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, del 1948, e la Costituzione italiana. La prima stabilisce, all’articolo diciannovesimo, che: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari (…)». L’articolo trentaduesimo della Costituzione italiana, a sua volta, stabilisce, al primo comma, che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti (…)».
Dunque, a ciascun individuo è garantito il diritto di tutelare da sé la propria salute e di ricevere tutela da parte delle istituzioni pubbliche, se necessario gratuitamente. Se, allora, proviamo a riflettere sul contenuto delle affermazioni normative e le confrontiamo con la scelta individuale di seguire una dieta vegetariana, emergono due profili interessanti, ma divergenti. Per un verso, è indiscutibile il diritto dell’individuo ad eliminare i prodotti animali dalla propria alimentazione per garantire la propria salute. Può accadere, anzi, che tale scelta venga suggerita da un medico, il quale può prescrivere al paziente la riduzione o l’esclusione del consumo di prodotti animali per un determinato periodo, o anche a tempo indeterminato. Sotto questo punto di vista, la scelta individuale e la tutela giuridica sono perfettamente coincidenti.
Per altro verso, al contrario, permangono due perplessità. Anzitutto, non sempre è agevole per le autorità pubbliche tutelare la salute individuale e, contemporaneamente, garantire le scelte individuali di ciascuno. Nei casi in cui si presentasse questa, chiamiamola così, difficoltà, la scelta individuale verrebbe sacrificata a favore della necessità di tutelare la salute individuale. Non solo. Può addirittura accadere che il Legislatore, se ne ricorrono le circostanze, ostacoli le scelte individuali.
Valgano due esempi a chiarire entrambi i profili. Cominciamo dal primo: nel Regno Unito, il Chief Medical Officer – il funzionario di governo con formazione scientifica posto a capo delle strutture mediche nazionali – in passato ha diffuso un documento in cui si descrivevano tutte le possibili azioni volte ad evitare discriminazioni nelle pratiche concernenti l’assistenza sanitaria. Il primo punto del documento faceva espresso riferimento alla possibilità che i pazienti in cura ricevessero: «an appropriate diet, such as Halal meat or vegetarian meals». Quando, tuttavia, è sorto il problema di stabilire se dal documento derivasse un obbligo concreto in capo alle strutture pubbliche nel garantire a tutti i richiedenti una dieta conforme alle loro scelte in tema di salute, i giudici inglesi hanno, in alcune sentenze, escluso che si trattasse di un dovere pubblico. Nelle motivazioni offerte, questi hanno sostenuto che, non essendo ravvisabile un breach of a public law duty – ossia, appunto, un dovere pubblico – rientra nell’esercizio discrezionale dei poteri dell’ospedale o del centro di cure la decisione finale relativa all’offerta del servizio. Secondo le conclusioni offerte, pertanto, non era possibile né ricavare una regola generale dalle prescrizioni del Chief Medical Officer, né imporre alle strutture ospedaliere un obbligo in tal senso. La necessità di tutelare la salute dei pazienti, in altre parole, prevaleva rispetto all’esigenza di assecondare le singole scelte individuali.
Ancora più indicativo è il secondo problema. Come ho detto in precedenza, in alcuni casi, il Legislatore tutela la salute degli individui imponendo delle limitazioni agli stessi. Gli esempi sono numerosi. Ce n’è uno in particolare che, seppure non direttamente inerente la scelta di seguire una dieta vegetariana, illustra bene i termini del Problema. Si tratta di un caso che si è verificato negli Stati Uniti: nel 2002 alcuni genitori hanno citato in giudizio il Bridgehampton School District (nello Stato di New York) perché non consentiva l’iscrizione dei loro figli nella scuola primaria locale, salvo che non fossero stati vaccinati. I genitori, però, si opponevano alla somministrazione del vaccino perché contrastante con il proprio credo religioso. I giudici si sono trovati a dover risolvere il problema della conciliabilità tra due opposti interessi: quello alla preservazione dell’interesse pubblico alla salute e, sul versante opposto, quello della libertà individuale e religiosa di ogni individuo. Le sentenze hanno ritenuto legittima la scelta del distretto scolastico, in ragione della preminenza dell’esigenza di tutelare la salute rispetto alle diverse ideologie personali.
 
3. Tra genitori e figli. Esiste un diritto ad alimentare vegetariano?
Il caso appena esposto apre una seconda questione controversa. Finora, infatti, abbiamo dato per scontato che la scelta ad una alimentazione vegetariana provenisse autonomamente dall’individuo. Cosa accade, da un punto di vista giuridico, se questa scelta è, invece, imposta da soggetti terzi? Esiste, cioè, un diritto ad alimentare altri individui con una dieta vegetariana?
Lo scenario che, in merito, meglio si presta ad offrire risposte valide è sicuramente quello della famiglia. Com’è noto, ai genitori è data libertà di educare i propri figli secondo gli orientamenti etici e religiosi che ritengano più opportuni, purché ovviamente conformi alle regole del vivere civile e non dannosi per la formazione fisica e culturale del bambino. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, disciplina il diritto all’istruzione all’articolo quattordicesimo. Questo, al comma terzo, afferma espressamente che ai genitori è concessa: «La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». In generale tutte le carte costituzionali hanno contenuti analoghi. Ad esempio, nei Protocolli addizionali alla Carta costituzionale statunitense è disposto che: «the family is the primary and natural educator of the child and guarantee to respect its right and duty to provide for the religious and moral, intellectual social and physical education of their children». La nostra Carta costituzionale è meno esplicita sull’argomento. Gli articoli ventinovesimo e trentesimo definiscono la famiglia e parlano di dovere di educazione e mantenimento. È comunque pacifica l’interpretazione per cui ai genitori è concesso il diritto di educare liberamente i propri figli, entro i limiti ricordati in precedenza.
Ebbene, nonostante le affermazioni di principio, non mancano anche in questo caso gli aspetti contraddittori. Ne ho isolati alcuni che ritengo particolarmente interessanti, tre in particolare. Il primo aspetto fa richiamo all’ipotesi relativa alla salute del bambino. Non tornerò su questo profilo perché ne ho già parlato in precedenza. Il secondo riguarda l’esistenza di un diritto dei genitori ad usufruire di istituti scolastici pubblici nei quali i valori (tra cui quelli relativi all’alimentazione) che insegnano ai loro figli vengano rispettati. Il terzo, infine, si riferisce alle possibili discriminazioni cui un bambino può andare incontro qualora sia stato educato ad un’alimentazione vegetariana e si trovi però a frequentare istituti scolastici in cui la maggioranza dei bambini segue una dieta onnivora. C’è da chiedersi, infatti, se una simile circostanza possa limitare legittimamente la discrezionalità genitoriale oppure no.
Cominciamo dal diritto dei genitori ad avere scuole che accolgano i medesimi valori che vengono insegnati nella famiglia. In linea di principio, è senz’altro corretto affermare che il sistema scolastico deve, per quanto possibile, assecondare le decisioni educative assunte dai genitori. In parte, questo già accade. Nel 2004, ad esempio, un rapporto pubblicato dalla American School Food Service Association – un’organizzazione non governativa statunitense impegnata nella promozione di politiche alimentari salutiste nelle mense scolastiche americane – accusava il Department of Agricolture – la struttura di governo responsabile della gestione delle politiche alimentari nelle scuole – di aver stanziato solo 159 milioni di dollari per l’acquisto di frutta e vegetali (dei quali, peraltro, la maggior parte surgelati), a fronte dei 338 milioni di dollari destinati all’acquisto di carni bovine ed ovine e di prodotti latteo-caseari. Il rapporto paventava la possibilità di una discriminazione tra i bambini che non mangiavano carne o pesce e quelli che seguivano una dieta onnivora ed invitava il governo ad un ri-equilibrio tra le voci di spesa.
C’è anche un altro esempio interessante. Nel 2003, lo Stato della California ha approvato una legge con la quale incentivava gli istituti scolastici all’adozione di varianti vegetariane nei propri menu. In tal modo, spiegava il Legislatore, si sarebbe venuto incontro alle pressioni esercitate dalle famiglie vegetariane, oltre che assecondare la tutela della salute degli studenti. In Italia, la legge regionale della Regione Umbria, n. 21 del 2001, contenente “isposizioni in materia di coltivazione, allevamento, sperimentazione, commercializzazione e consumo di organismi geneticamente modificati e per la promozione di prodotti biologici e tipici”, dispone che nei servizi di ristorazione collettiva – tali sono da intendersi gli asili, scuole, università, ospedali, luoghi di cura, gestiti da enti pubblici o da soggetti privati convenzionati – deve essere assicurata a chi ne faccia richiesta la somministrazione di diete e pasti vegetariani.
Dov’è, allora, il problema? Anzitutto, i due esempi riportati, il secondo in particolare, fotografano situazioni eccezionali. La maggioranza degli istituti scolastici pubblici, in Italia come nel resto del mondo, continua a non prevedere alcuna variazione vegetariana nei pasti serviti alle mense per assecondare le scelte delle famiglie degli studenti. Inoltre, nella misura in cui questa situazione costringe le famiglie a rivolgersi ad istituti privati, sorge il problema di stabilire se e quali somme lo Stato deve destinare a queste scuole. Se negli Stati Uniti questa circostanza non è avvertita come un problema, poiché l’istruzione migliore è tradizionalmente quella provvista dagli istituti privati, in Paesi come il nostro il Legislatore non ha facoltà di finanziare gli istituti privati oltre un determinato limite.
Il secondo profilo problematico è ancora più delicato. C’è da chiedersi cioè se la scelta dei genitori di educare il bambino ad una dieta vegetariana non possa porlo a rischio di discriminazioni. Si tratta di un problema che, ad esempio negli Stati Uniti, è molto avvertito, soprattutto nelle piccole comunità. Ma, proprio in ragione della delicatezza dei profili che interessa, non esiste una singola politica federale in merito. Molto è dipeso dalla natura della comunità e dagli equilibri tra appartenenti a diverse razze e religioni. Negli ultimi anni, comunque, le policies adottate dalle scuole locali circa i pasti serviti tendono a conciliare i due profili. Molti statuti scolastici prevedono che in order to be sensitive to students’ religious dietary restrictions, the school lunch program will provide at least one vegetarian entrée daily. In Italia, un simile problema non si è ancora posto all’evidenza delle cronache, anche in ragione delle riflessioni svolte in precedenza sull’organizzazione del sistema scolastico. Ciò non toglie, comunque, che il problema possa presentarsi nell’immediato futuro.
 
4. Alle origini della scelta: come preservare il patrimonio culturale e religioso?
Tanto nel caso della tutela della salute quanto in quello relativo alla tutela del diritto genitoriale all’educazione dei propri figli, si è fatto spesso richiamo al tema dell’orientamento religioso per giustificare la scelta di seguire un’alimentazione vegetariana. In effetti, accanto ad un numero consistente di individui che compie questa scelta per ragioni etiche o salutiste, vi è un numero significativo di individui che segue una dieta vegetariana per ragioni prevalentemente religiose e/o culturali. Le domande sono, come sempre, molte e complesse: in che modo il diritto protegge gli orientamenti religiosi o il retaggio culturale di ciascun individuo? Esistono dei limiti? Si può affermare che colui il quale è vegetariano per motivi religiosi o culturali riceva una tutela maggiore rispetto a colui il quale assume questa scelta esclusivamente per motivi etici o di salute?
Ancora una volta è bene prendere le mosse dalla lettura di alcuni importanti documenti giuridici. Ne citerò tre. Il primo è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questa, nel Preambolo, fa richiamo all’esistenza di un nucleo di valori comuni e specifica che: «L’Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei». Successivamente, all’articolo ventiduesimo, la Carta precisa nuovamente quanto segue: «L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica». Il secondo documento che merita di essere citato è la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, del 1992. L’intera dichiarazione contiene una serie di enunciazioni di principio rivolte ad assicurare alle minoranze di qualunque genere piena tutela nel rispetto delle loro usanze culturali e religiose. In senso ancora più generale, il terzo documento: ovvero la Dichiarazione universale dei diritti umani, prevede all’articolo diciottesimo che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».
Ebbene, è innegabile che le norme tentano di salvaguardare nel modo migliore possibile le ideologie religiose e la provenienza culturale degli individui. Del resto, anche i casi esposti in precedenza lo dimostrano. L’unico limite è costituito, semmai, dalla necessità che l’esercizio del credo o il rispetto delle tradizioni culturali non ostacolino la libertà altrui e non infrangano le regole della comunità nella quale si vive.
La domanda più interessante, allora, riguarda l’esistenza di una possibile diversità di garanzie tra coloro i quali sono vegetariani per motivi religiosi e coloro i quali, invece, seguono questa scelta per i propri orientamenti personali. C’è un caso molto interessante che aiuta ad illustrare il problema. Il caso nasce in Canada. Nel 2002 la Corte Federale canadese viene interessata dal ricorso di un detenuto che reclamava il fatto di non avere diritto ad essere alimentato attraverso una dieta vegetariana perché, alla domanda relativa alle ragioni della propria scelta, aveva spiegato ai responsabili dell’istituto penitenziario che non era motivato da questioni religiose, ma puramente etiche. L’amministrazione penitenziara, pertanto, gli aveva negato i pasti differenziati. Il regolamento carcerario, infatti, consentiva ai prigionieri di chiedere una dieta vegetariana solamente se erano motivati da questioni religiose, non anche per ragioni etiche. La sentenza della Corte Federale è stata esemplare. Essa ha imposto all’amministrazione penitenziaria di garantire la libertà di coscienza del prigioniero ed offrire anche ad esso una dieta vegetariana. Il problema, tuttavia, resta. Le policies generali, in Canada come nella gran parte degli altri Paesi, continuano a non tutelare il diritto di coscienza dei prigionieri. In taluni casi non sono riconosciute nemmeno le motivazioni di ordine diverso, come quelle religiose.
 
5. Alcune fattispecie secondarie
Finora abbiamo esaminato alcuni temi che hanno un’incidenza significativa sulle posizioni giuridiche degli individui. La salute, l’educazione, la tutela degli orientamenti religiosi sono, tutti, profili di grande spessore in virtù degli interessi che coinvolgono. La definizione di un diritto all’alimentazione vegetariana non è, tuttavia, limitata ad essi. Esiste un’ampia serie di profili secondari altrettanto interessanti. Il più interessante tra questi è costituito dal diritto di acquistare prodotti vegetariani sul mercato.
Ora, in linea generale non esiste un diritto specifico all’acquisto di prodotti vegetariani o organici, perché ovviamente la vendita di qualsiasi prodotto alimentare rientra nel libero commercio e dunque non è soggetta a regolamentazioni particolari relativamente alle modalità di distribuzione. Esiste, in compenso, il diritto ad avere alimenti sani e controllati, valido sia per i prodotti di derivazione animale che per quelli vegetali. Il diritto a cibarci di cibi sani e controllati, relativamente ai cibi vegetariani, è stato ampiamente riconosciuto in Europa e negli Stati Uniti.
Valga il seguente caso a chiarire la questione. Agli inizi del 2000 alcuni attivisti vegetariani intentarono due distinte azioni legali contro la nota multinazionale dell’alimentazione McDonald. Le cause furono intentate perché la McDonald pubblicizzava come interamente vegetariane le proprie patatine fritte. Invece nella lavorazione veniva utilizzata una minima quantità di prodotti animali (la cd. beef tallow). A conclusione della causa McDonald fu costretta a pagare dieci milioni di dollari a titolo di risarcimento e oltre due milioni e mezzo di dollari in spese legali.
           
6. Conclusioni
Il tema del diritto ad una alimentazione vegetariana ha una connotazione problematica e contraddittoria. La scelta di seguire una dieta vegetariana non è, a mio giudizio, né un diritto né una libertà. Non, almeno, in termini assoluti. Non è un diritto perché, anzitutto, questo “retrocede” di fronte ad altri diritti, che occupano una posizione più elevata in un’ipotetica scala gerarchica. Si pensi ai casi relativi alla tutela della salute degli individui. Inoltre, non sempre i giudici ne hanno riconosciuto l’esistenza e ne hanno offerto tutela. Di conseguenza, non si tratta nemmeno di una libertà. Le pubbliche autorità possono, infatti, limitare l’esercizio della scelta quando ne ricorrono le condizioni e le motivazioni adeguate. Questo significa che non tutti possono sempre decidere liberamente di alimentari secondo i principi dell’alimentazione vegetariana.
D’altro canto, non si può nemmeno dire che siamo in presenza di una situazione giuridica che non trova tutela. Anzi, al contrario, vi sono numerose circostanze in cui i poteri pubblici (si pensi ad una scuola, un istituto penitenziario, un ospedale) sono tenute a rispettare le scelte individuali, tra cui quelle relative all’alimentazione. Sicchè, il solo fatto che qualcuno, sia esso un individuo o una istituzione, incontri dei limiti per consentire ad un altro individuo di esercitare liberamente una propria scelta equivale a qualificare quella scelta come una posizione giuridicamente protetta. Ecco, la migliore definizione per la scelta di alimentarsi secondo i principi del vegetarianesimo è, forse, quello di situazione giuridicamente protetta per via riflessa. In altre parole, la scelta viene tutelata dal Legislatore in quanto legata ad aspetti primari della vita di ciascun individuo. Si può trattare dei propri orientamenti religiosi, del diritto ad alimentarsi di prodotti sani, di quello ad educare i propri figli secondo i principi che si ritengono più opportuni o, più semplicemente, a seguire determinati orientamenti etici. In quanto situazione giuridica incontra dei limiti, talora problematici, ma quando le garanzie non sono rispettate è possibile ricorrere ad un organo terzo, il giudice, che ha la possibilità di ripristinare la situazione originaria.
 
 


[1] Il seguente articolo costituisce lo schema provvisorio delle lezioni relative al tema “la tutela giuridica dei diritti dei vegetariani” nel primo Corso di aggiornamento sull’alimentazione vegetariana, organizzato dalla Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana (www.scienzavegetariana.it). È vietata la riproduzione e la distribuzione senza il previo consenso dell’autore (gisgueo@yahoo.it).

Sgueo Gianluca

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