Principi di redazione del Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza

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Il legislatore italiano con la legge del 6 novembre 2012, n. 190, c.d. legge anticorruzione, o anche legge Severino, ha previsto un sistema di prevenzione della corruzione articolato su due livelli, uno nazionale, costituito dal Piano nazionale anticorruzione (PNA) e uno decentrato, costituito dal Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT) che ogni amministrazione deve adottare[1]. Il PTPCT è proposto dall’RPCT all’organo di indirizzo politico che deve adottarlo entro il 31 gennaio di ogni anno e che ne cura la trasmissione all’Anac[2].

Funzioni e struttura del PTPCT

Il PTPCT, come il PNA, ha durata triennale ed è aggiornato annualmente e la sua funzione è prettamente di programmazione, di definizione di obiettivi, indicatori e misure concrete da realizzare con certezza e da vigilare quanto all’effettiva applicazione e, pertanto, il PTPCT può essere inquadrato come un atto amministrativo a contenuto normativo-programmatico[3]. La ratio dell’aggiornamento del PTPCT si rinviene nell’esigenza di adeguare la strategia di prevenzione della corruzione ai frequenti mutamenti che possono interessare il contesto interno ed esterno dell’amministrazione[4]. Il contenuto del Piano triennale è in gran parte predeterminato dalla normativa vigente e, in primo luogo, deve attuare una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e definire le aree di maggiore rischio corruzione[5], che può individuare innanzitutto con un’attenta analisi del contesto interno ed esterno in cui opera l’amministrazione che costituisce per cui la base di partenza per l’elaborazione di strategie efficaci. La legge Severino ha individuato le aree di rischio che riguardano tutte le amministrazioni, quali gli appalti pubblici, i concorsi pubblici e gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari[6]. La singola amministrazione dovrà, inoltre, individuare nel proprio Piano triennale le aree di rischio ulteriori che riguardano direttamente l’espletamento delle proprie finalità istituzionali e il contesto di riferimento. Nell’ambito di queste aree l’amministrazione dovrà svolgere un’attenta analisi dei procedimenti amministrativi che le costituiscono, in modo da evidenziare le fasi dove è più alto il rischio corruttivo[7]. Una volta effettuata la mappatura dei processi, il PTPCT dovrà successivamente individuare e definire le misure idonee al fine di trattare i rischi e, per ciascun procedimento, dovranno essere individuate sia le misure generali[8] che le misure specifiche[9] proprie che l’amministrazione dovrà adottare[10].

Pertanto, si evince come il Piano triennale ha come scopo principale quello di individuare i rischi per l’amministrazione anche attraverso un’analisi del proprio contesto, interno ed esterno e, inoltre, di trattare tali rischi con misure preventive. Sono però previsti altri interventi di cui deve occuparsi il Piano triennale[11], come la formazione dei dipendenti che ha come obiettivo l’aumento della consapevolezza verso l’etica pubblica e la legalità, la previsione di obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli individuati dalla normativa vigente, nonché le modalità di monitoraggio dell’attuazione di tali misure, quest’ultime fondamentali per verificare l’efficacia degli interventi previsti dall’amministrazione.

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I principi redazionali del PTPCT

Nella redazione dei propri PTPCT le singole amministrazioni devono considerare alcuni principi guida al fine di predisporre una corretta pianificazione del documento.

 Principi strategici

Come ogni piano di azione, anche il PTPCT deve essere composta da una strategia pluriennale basata, in primo luogo, sul coinvolgimento dell’organo di indirizzo che deve assumere un ruolo proattivo di prevenzione e contrasto della corruttela, nonché favorire la strutturazione di un contesto che sia adeguato, favorevole e collaborativo con l’RPCT.

In secondo luogo, bisogna responsabilizzare tutto il personale dell’amministrazione ad una cultura organizzativa orientata alla prevenzione della corruzione, nonché alla gestione del rischio corruttivo. Solo garantendo consapevolezza dei rischi e la collaborazione si possono raggiungere i risultati prefissati nel Piano triennale.

Principi metodologici

In primo luogo, la sostanza deve prevalere sulla forma, inteso che il Piano triennale non deve avere un carattere meramente di adempimento, ma deve prevedere strategie efficaci in grado di dare un idoneo riscontro e di attuare quanto previsto dal sistema di prevenzione della corruzione, partendo da un’analisi precisa del proprio contesto di riferimento che deve essere condotta in maniera puntuale e non superficiale. In secondo luogo, le fasi di gestione del rischio dovrebbero essere sviluppate con gradualità. In terzo luogo, risulta fondamentale individuare le priorità di intervento selezionando interventi specifici e puntuali che siano in grado di incidere sugli ambiti maggiormente esposti alla corruzione. In quarto luogo, è fondamentale l’integrazione del Piano triennale con il Piano della performance, al fine di garantire un collegamento con gli obiettivi dei due piani. Infine, un’ottima strategia è quella che conferisce valore alla fase del monitoraggio perché è l’unica che consente di conseguire un miglioramento continuo, di correggere, di modificare, di valuta e di riesaminare periodicamente l’attuazione e l’efficacia delle strategie di prevenzione della corruzione adottate.

Principi finalistici

In primo luogo, la strategia di prevenzione del rischio corruttivo ha l’obiettivo di ridurre i rischi corruttivi all’interno della singola amministrazione, agendo anche sulla diretta consapevolezza dei dipendenti e costruendo una cultura organizzativa basata sull’integrità. In secondo luogo, la gestione del rischio comporta un’amministrazione più efficiente, meno esposta ai rischi, nonché accresce il rapporto democratico tra il cittadino e la pubblica amministrazione, ovvero la fiducia che l’amministrato ha verso l’amministratore[12].

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Codice dell’ Anticorruzione e della Trasparenza

Le materie del contrasto alla corruzione e della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni sono state oggetto di numerosi interventi normativi negli ultimi anni: sull’anticorruzione, con la Legge 6 novembre 2012, n. 190, fondata sull’introduzione di strumenti di prevenzione attiva; sulla trasparenza, con il D.lgs. n. 33/2013, che ha previsto gli obblighi di pubblicazione di documenti, dati e informazioni e con il D.lgs. n. 97/2016, che ha introdotto l’istituto dell’accesso generalizzato.Altra significativa innovazione è stata la costituzione progressiva di un’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), autorità indipendente che ha contribuito a produrre nuove regole, anche in via di interpretazione della legislazione vigente.Considerata la forte dispersione della disciplina, per entrambe le materie, in distinti corpi normativi e il concorrere di fonti di rango diverso, questo nuovissimo Codice organizza in modo strutturato i principali atti normativi e si configura come un supporto conoscitivo indispensabile per i RPCT e operatori del diritto sui principali strumenti di contrasto alla corruzione introdotti dall’ordinamento.Il Codice è articolato in 10 parti: 1. Convenzioni internazionali 2. La disciplina in materia di prevenzione della corruzione3. La repressione penale della corruzione4. La disciplina in materia di trasparenza5. La disciplina delle inconferibilità, incompatibilità, ineleggibilità e incandidabilità nel settore pubblico6. La normativa in materia di conflitti di interesse e di codici di comportamento dei dipendenti pubblici7. La disciplina delle segnalazioni di illeciti da parte dei dipendenti pubblici (c.d. “whistleblowers”) 8. La disciplina delle società a partecipazione pubblica e degli altri enti di diritto privato in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione9.Le misure straordinarie di gestione,sostegno e monitoraggio delle imprese10. L’organizzazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione), ciascuna delle quali preceduta da una brevissima presentazione e contenente norme legislative, norme regolamentari e norme di soft law (prevalentemente nella veste di Linee guida), emanate dall’A.N.A.C.Raffaele Cantone – Presidente dell’Autorità Nazionale AnticorruzioneFrancesco Merloni – Consigliere A.N.AC.Barbara Coccagna – Funzionario A.N.AC.Vittorio Scaffa – Funzionario A.N.AC. 

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[1] Raganella E., Piani anticorruzione e aggiornamenti, in Nunziata M. (a cura di), Riflessioni in tema di lotta alla corruzione, Roma, Carocci Editore, 65 ss.

[2] Articolo 1, comma 8, legge del 6 novembre 2012, n. 190.

[3] Napolano E., Pianificazione e programmazione delle strategie di prevenzione della corruzione, in La legge anticorruzione: la riforma dei reati contro la PA, Bove A., Jazzetti A. (a cura di), Napoli, Giapeto Editore, 2014, 56 ss.

[4] Malafronte A., Anticorruzione e trasparenza nella Pubblica Amministrazione, www.dirittofuturo.it, 2020.

[5] Articolo 1, comma 5, lettera a) della legge del 6 novembre 2012, n. 190.

[6] Articolo 1, comma 16, della legge del 6 novembre 2012, n. 190.

[7] Cantone R., Il sistema della prevenzione della corruzione, Torino, Giappichelli Editore, 2020.

[8] Ad esempio, la trasparenza oppure l’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.

[9] Come l’adozione di un modello organizzativo ad hoc oppure un sistema di controllo interno.

[10] Cantone R., Il sistema della prevenzione della corruzione, Torino, Giappichelli Editore, 2020.

[11] In particolare, citati all’articolo 1, comma 9, della legge del 6 novembre 2012, n. 190.

[12] Proietti M., La gestione del rischio alla luce delle indicazioni metodologiche del PNA, in Manuale dell’anticorruzione e della trasparenza, (a cura di) Contessa C., Ubaldi A., La Tribuna, Piacenza, 2021, 175 ss.

Armando Pellegrino

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