Previsione urbanistica e procedimento espropriativo.

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Il testo unico sugli espropri riconosce l’espropriazione per pubblica utilità quale strumento per l’attuazione degli strumenti urbanistici e per la programmazione dei lavori pubblici.

Si tratta di un legame che trova riscontro, sia nella normativa e nella giurisprudenza, sia nel parere reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato sulla redazione del testo unico1.

In tale ottica deve ritenersi che il vincolo preordinato all’esproprio rappresenta il punto di contatto fra pianificazione urbanistica ed espropriazione: detto vincolo individua dove l’opera pubblica o di pubblica utilità dovrà essere realizzata.

Prima dell’entrata in vigore del testo unico, il rapporto fra pianificazione urbanistica ed espropriazione era prospettato in modo diverso; la legge n. 2359 del 1865, infatti, non prevedeva il vincolo preordinato all’esproprio. Conseguentemente, può affermarsi che la legge fondamentale ha previsto una normativa urbanistica con l’introduzione dei piani regolatori, finalizzati a riorganizzare l’abitato esistente, e dei piani di ampliamento, diretti a regolamentarne l’espansione2.

Per detta legge il fulcro del procedimento espropriativo è rappresentato dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, con la quale, in mancanza di una pianificazione urbanistica, si stabiliva dove e cosa costruire3.

Ne deriva che, in mancanza di pianificazione dell’uso dei suoli, alla espropriazione veniva riconosciuta la sola funzione di strumento necessario per l’esecuzione delle opere dichiarate di pubblica utilità4.

Solo con l’entrata in vigore della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è stato previsto l’obbligo per i comuni di effettuare scelte di pianificazione attraverso i piani regolatori generali, che stabiliscono le regole di sviluppo del territorio comunale.

Successivamente, la legge 6 agosto 1967, n. 765 ha esteso l’obbligo di pianificazione all’intero territorio comunale, prevedendo sia norme transitorie di salvaguardia per i comuni sprovvisti di strumenti di pianificazione, sia l’obbligo di standard minimi di dotazione di spazi pubblici, sia un legame di dipendenza tra urbanizzazione ed edificazione5.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale 9 maggio 1968, n. 55- che ha dichiarato incostituzionali gli articoli 7 e 40 della legge n. 1150 del 1942, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per l’imposizione di limitazioni che comportano una traslazione totale o parziale del diritto, uno svuotamento di rilevante entità – l’articolo 2, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ha riconosciuto il potere di apporre vincoli espropriativi della durata di cinque anni, senza previsione di indennizzo.

Ed ancora, la legge 28 febbraio 1977, n.10, ha introdotto il principio dell’onerosità della concessione edilizia, tentando di risolvere sia la vicenda della indennizzabilità dei vincoli di piano, sia quella di trasferire al potere pubblico il diritto di edificare6.

Detti tentativi, tuttavia, non hanno avuto alcun successo.

Ed è perciò che si è continuato ad espropriare, per realizzare opere dichiarate di pubblica utilità, senza alcuna previsione di piano.

L’esigenza di riconoscere un forte legame tra le previsioni urbanistiche e il procedimento espropriativo, ha trovato un punto fermo solo con l’articolo 8 del testo unico sugli espropri.

Detta norma ha previsto due diversi procedimenti: quello urbanistico, costitutivo del vincolo preordinato all’esproprio e quello relativo alla programmazione ed esecuzione dei lavori pubblici, che si realizza con l’approvazione del progetto definitivo e con la dichiarazione di pubblica utilità.

L’art. 8, infatti, ha invertito la sequenza del procedimento voluta dalla legge del 1865: il momento iniziale, presupposto del procedimento espropriativo, diventa la previsione dell’opera pubblica nello strumento urbanistico generale.

Detto articolo, perciò, deve essere considerato il punto di arrivo della definizione dei rapporti tra urbanistica ed espropriazione.

Giunti a tal punto, è evidente che il rapporto tra urbanistica ed espropriazione si è evoluto fino a considerare la pianificazione quale momento fondante rispetto all’espropriazione.

Il testo unico condivide la definizione fornita dalla giurisprudenza, secondo cui il vincolo preordinato all’esproprio va inteso quale prescrizione urbanistica che localizza l’opera in modo “lenticolare”7.

Detto vincolo va distinto dal vincolo conformativo, che incide su categorie omogenee di beni e non comporta l’acquisizione della proprietà da parte dell’autorità amministrativa.

Ciò detto, va evidenziato che il vincolo preordinato all’esproprio sorge con la previsione dell’opera da parte dello strumento urbanistico generale o di un atto equivalente.

Ai sensi della lettera a) dell’articolo 8, la scelta dell’area dove realizzare l’opera va effettuata con lo strumento urbanistico, dato che solo in tale ambito è possibile contemperare gli interessi coinvolti.

Con riguardo “all’atto di natura ed efficacia equivalente” allo strumento urbanistico generale, ai sensi del successivo articolo 10, si rileva che il vincolo preordinato all’esproprio può essere disposto da una conferenza di servizi, da un accordo di programma, da un’intesa e da un altro atto che, in base alla normativa vigente, comporti la variante al piano urbanistico.

Secondo l’articolo 9 del testo unico il vincolo preordinato all’esproprio deve essere previsto in sede di piano regolatore generale, divenendo efficace al momento della sua approvazione.

In caso di variante al piano regolatore generale, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, il vincolo diventa efficace all’atto dell’approvazione della variante.

Inoltre, entro il termine quinquennale, deve essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, pena la decadenza del vincolo.

 

1 Cons. Stato, Ad. gen., parere n. 4, cit, punto 6.2. In merito il Consiglio di Stato afferma Il quadro normativo, del resto, è reso più complesso dalle strette connessioni intercorrenti:

a) tra le esigenze del procedimento espropriativo e quelle della programmazione, del finanziamento e della realizzazione delle opere pubbliche;

b) tra l’«urbanistica» e l’«espropriazione».

Quanto alle esigenze di cui alla lettera a), basta richiamare:

– l’articolata disciplina riguardante la dichiarazione di indifferibilità e di urgenza e l’ordinanza di occupazione d’urgenza, basata sulla considerazione che l’opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata celermente dopo l’approvazione del progetto e prima che sia emanato il decreto di esproprio, sia per soddisfare le esigenze della collettività con l’opera, sia per utilizzare prontamente le risorse resesi disponibili (con influssi benefici sulla occupazione dei lavoratori);

– la normativa sulla programmazione, di cui all’articolo 14 della legge n. 109 del 1994 (e successive modificazioni), che mira a razionalizzare le spese e ad evitare l’episodicità delle scelte.

Quanto ai rapporti tra l’urbanistica e l’espropriazione, questo Consiglio, a seguito dell’entrata in vigore della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ha affermato il fondamentale principio – che ancora oggi ispira l’ordinamento – per il quale il procedimento espropriativo presuppone la sua coerenza con le previsioni del piano urbanistico.

In altri termini, a differenza di quanto ritenevano i compilatori della legge n. 2359 del 1865, il procedimento espropriativo oramai non ha una rilevanza giuridica ex se, ma costituisce una fase indefettibile per l’attuazione delle previsioni del piano urbanistico e per un ordinato assetto del territorio.Tale stretta connessione non solo è stata rimarcata dall’articolo 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205 del 2000 (che, ai fini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha disposto che nell’ambito dell’urbanistica rientrano anche gli atti ed i comportamenti finalizzati alla attuazione dei piani urbanistici), ma è evincibile dalla normativa e dalle sentenze della Corte Costituzionale sui presupposti necessari perché possa esservi il procedimento espropriativo.

2 Il procedimento disciplinato dalla legge sull’espropriazione individuava il bene da espropriare con l’atto dichiarativo di pubblica utilità, direttamente o attraverso il piano particolareggiato. La legge, piuttosto, prevedeva, il piano regolatore di riorganizzazione e quello di ampliamento dell’abitato, la cui approvazione comportava la dichiarazione di pubblica utilità (artt. 82, 92 e 93).

3 La pianificazione disciplinata dagli articoli 86 – 94 aveva carattere facoltativo e non investiva con carattere di generalità l’intero territorio comunale. Per dette finalità bisognerà attendere la legge n. 675 del 1967.

4 Con il r.d.l. n. 765 del 1926 è stato prescritto l’obbligo per i comuni dichiarati stazioni di cura, soggiorno e turismo di dotarsi di p.r.g.; detto obbligo è stato esteso nel 1967 ai comuni inseriti in un d.m. emanato ai sensi della legge n. 765 del 1967.

5 F. Salvia-P. Teresi, Lineamenti di diritto urbanistico, Padova, 1973; Mazzarolli, I piani regolatori urbanistici nella teoria giuridica della pianificazione, Padova, 1970; I. Di Lorenzo, Diritto urbanistico, Roma, 1973; A. Casalin, Licenze edilizie. Limitazioni urbanistiche. Diritti dei terzi, Firenze, 1973; F. Cuccia, Lineamenti di una bibliografia sulla disciplina urbanistica, Milano, 1969; G. Pescatore, Rassegna di giurisprudenza sull’urbanistica (1942-1969), Milano, 1971; R. Poggi, La legge urbanistica e legge ponte. Commentario articolo per articolo, Firenze, 1971; G. Furitano, Istituzioni di diritto urbanistico ed edilizio, Milano, 1971; A Predieri, urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione. Saggi, Milano, 1971.

6 L. Mazzarolli, Il regime di edificabilità dei suoli e lo jus aedificandi, in Comuni, 1976, 613; F.M. Agnoli, La legge sull’edificabilità dei suoli, Bologna, 1978, 100; Spadaccini e Annunziata, Urbanistica, edilizia, espropriazioni, Roma, 1980; D. Di Gioia, L’edificabilità dei suoli, Bari, 1977; A. Fiale, Norme per l’edificabilità dei suoli, Napoli, 1977; A. Predieri, La L. 28 gennaio 1977, n. 10 sulla edificabilità dei suoli, Milano, 1977; A. Crosetti, La nuova disciplina per l’edificabilità dei suoli, Genova, 1977.

7 Secondo la Corte Costituzionale quando i vincoli si presentano “come vincoli particolari, incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione puntuale (con indicazione empiricamente, per ciò, detta “lenticolare”) di un’opera pubblica, “la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata ma ne esige la traslazione in favore dell’ente pubblico” (secondo la definizione della già citata sentenza n. 1573-97), deve allora convenirsi (in adesione, quindi, per tal profilo, anche al primo riferito indirizzo interpretativo) che si tratti di vincolo sostanzialmente preordinato all’espropriazione. Dal quale – non ostante la sua formale allocazione -, deve comunque prescindersi ai fini della qualificazione dell’area, per gli effetti indennitari, con la necessità di individuare il parametro legale di siffatta qualificazione in uno strumento previdente.Realizzandosi, in tal modo, una situazione specularmente inversa a quella, che pur è suscettibile di verificarsi, in presenza di strumenti particolareggiati, di terzo livello, le cui prescrizioni – di regola meramente attuative dei piani, attraverso la fissazione delle linee di un progetto espropriativo e la dichiarazione di pubblica utilità di tutte le relative opere – possono, a loro volta, in via eccezionale, unire a tale loro funzione tipica quella ulteriore, di contenuto conformativo, di mutare nella zona contemplata le pregresse opzioni del piano regolatore con riguardo allo ius aedificandi dei proprietari dei suoli. Come nel caso dei piani di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.), secondo quanto già riconosciuto da Sez. Un. 11433-97 (contra n. 496-92) e confermato, con varie puntualizzazioni, dalla sentenza (compositiva di contrasto) pronunciata da queste Sezioni Unite in altra causa Barioli ed altri c. CIMEP! discussa alla stessa odierna udienza. 1.5. In conclusione, si deve quindi affermare che, ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espropriati alla stregua delle correlative “possibilità legali” di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato alla espropriazione”, ai sensi dell’art. 5 bis, comma terzo, L. 1992 n. 359, le prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livello – influenti di regola su tale qualificazione, per il contenuto conformativo della proprietà che ad essi deriva dalla loro funzione di definire, per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale – possono, in via eccezionale, avere viceversa anche portata e contenuto direttamente ablatori (che ne esclude l’incidenza sulla liquidazione della indennità) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni determinati in funzione di localizzazione dell’opera pubblica, implicante di per sè la necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico” ( Cass., sez. un., 23 aprile 2001, n.173).

Cannizzo Carlotta

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