Prevenzione dei reati ambientali nel contesto aziendale: indicazioni della Cassazione

La Cassazione Penale (Sez. III n° 33791/2025) fornisce utili indicazioni in tema di prevenzione dei reati ambientali all’interno del contesto aziendale.

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Clara Di Liberto, Socia AODV231, e Andrea Milani, Vice Presidente AODV231
Con la sentenza in commento (Cassazione Penale, Sez. III n° 33791/2025), la Corte di Cassazione conferma la declaratoria di responsabilità – pronunciata sia in primo grado che in appello – nei confronti dell’Ente incolpato dell’illecito dipendente dal reato di illegittima gestione di rifiuti pericolosi come se fossero non pericolosi (art. 256, comma 1, lettera a), del D. Lgs.152/2006).
La pronuncia precisa come la semplice affermazione di avere procedure aziendali o personale qualificato non sia sufficiente a esimere l’ente da responsabilità.
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Indice

1. La vicenda processuale


La società ricorrente veniva condannata in primo grado (con sentenza resa dal Tribunale di Frosinone il 27 gennaio 2023) e in appello (con sentenza della Corte di Appello di Roma del 14 novembre 2024) per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies del D. Lgs. 231/2001, collegato al reato di cui all’art. 256, co. 1 lett. a, del D. Lgs. 152/2006. La contestazione ineriva alla commissione, a vantaggio dell’ente, del reato di illegittima gestione di rifiuti pericolosi, trattati come se non lo fossero.
Mentre il procedimento penale contro l’imputato persona fisica si concludeva con una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, la Società veniva condannata. Secondo i giudici di merito, infatti, l’ente autorizzato al solo trattamento di rifiuti non pericolosi avrebbe reso possibile – a causa di un comprovato deficit organizzativo – l’ingresso di rifiuti pericolosi, cioè rifiuti diversi da quelli che l’ente avrebbe potuto ricevere e gestire. Per supportare il professionista, abbiamo pubblicato il Codice della normativa ESG: Le fonti Europee e Nazionali – Aggiornato al cd. “Decreto Omnibus”, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Il ricorso per cassazione


L’ente incolpato presentava ricorso per cassazione basato su due motivi.
Con il primo, lamentava la violazione dell’art. 25-undecies del D.Lgs. 231/2001 collegato al reato di cui all’art. 256, co. 1 lett. a, del D.Lgs. 152/2006 per mancata considerazione delle misure preventive adottate dalla Società.
In particolare, secondo la difesa dell’ente, la Corte territoriale aveva omesso di considerare rilevanti aspetti della struttura organizzativa aziendale, quali: (i) la presenza, nell’organico societario, di una figura qualificata quale quella dell’ingegnere ambientale, (ii) la presenza di una procedura standardizzata atta a ridurre al minimo possibili criticità nella gestione dei rifiuti e (iii) il periodico svolgimento di analisi, condotte a campione.
A parere della difesa, tali misure preventive avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale ad escludere la sussistenza della colpa d’organizzazione dell’ente.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la manifesta illogicità della motivazione, derivante da un accertamento di responsabilità condotto dalla Corte territoriale basato unicamente sulle dichiarazioni rese in dibattimento dagli Operanti dell’Arpa, i quali, sulla scorta di analisi condotte a campione, si erano limitati a constatare il mancato rispetto della normativa di settore, senza tenere in adeguata considerazione la sussistenza nell’organizzazione aziendale di una procedura standardizzata dei rifiuti.
Da ultimo, l’ente lamentava, in sede di ricorso per cassazione, il mancato accoglimento della tesi difensiva secondo cui il materiale posto sotto sequestro si trovava in una fase preliminare del ciclo di trattamento del rifiuto, in attesa di lavorazione.

3. Le statuizioni della Suprema Corte


La Suprema Corte, trattando congiuntamente i motivi di ricorso – in quanto entrambi attinenti all’accertamento della responsabilità dell’ente – dichiarava lo stesso inammissibile. Secondo la Cassazione, infatti, dietro doglianze fondate su violazioni di legge, si sarebbero invero celate contestazioni di tipo fattuale. Inoltre, la difesa non avrebbe prospettato elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare eventuali vizi motivazionali della sentenza d’appello.
In particolare, le deduzioni difensive atte a dare rilievo all’esistenza dell’ingegnere ambientale e di una procedura standardizzata di trattamento dei rifiuti nonché alla fase (iniziale) in cui si trovavano i rifiuti oggetto di sequestro sarebbero state genericamente formulate e disancorate rispetto al puntuale riferimento agli atti di causa, in quanto solo in sede di ricorso la difesa avrebbe ipotizzato un qualche ruolo dell’ingegnere ambientale e della procedura rifiuti in termini di prevenzione dell’illecito.
Al contrario, secondo il Supremo Consesso, l’istruttoria dibattimentale restituiva un’organizzazione d’impresa deficitaria, giacché la Società (i) non si era dotata di un Modello di organizzazione, (ii) non aveva codificato alcuna prassi per disciplinare la condotta da tenere nel caso in cui presso l’impianto arrivassero rifiuti diversi rispetto a quelli che la Società era autorizzata a trattare e (iii) non aveva preposto un dipendente qualificato ad effettuare le analisi necessarie. Tali lacune, secondo la Corte, appalesavano “un’evidente e generalizzata incuria” nella gestione dei rifiuti, idonea a fondare la pronuncia di responsabilità nei confronti della Società.
Anche le doglianze relative alla fase del trattamento in cui i rifiuti si trovavano e i rilievi difensivi circa la condotta degli Operanti dell’Arpa venivano ritenuti privi di pregio dalla Cassazione, che pertanto dichiarava l’inammissibilità del ricorso.

4. Le indicazioni in materia di prevenzione dei reati ambientali all’interno del contesto aziendale: automatica la responsabilità dell’ente in caso di omessa adozione del MOG231?


La sentenza in commento si rivela di sicuro interesse per unariflessione circa il sistema di prevenzione dei reati ambientali all’interno del contesto aziendale.
È infatti da notare come la Cassazione, nel rigettare le doglianze del ricorrente relative alla mancata considerazione dei presidi preventivi adottati dalla Società (la procedura standardizzata di gestione dei rifiuti e la presenza dell’ingegnere ambientale), non ha escluso la rilevanza tout court di tali elementi al fine di ritenere assolto l’onere di prevenzione degli eco-reati gravante sull’impresa. Al contrario, la Suprema Corte ha rigettato tali formulazioni difensive in quanto genericamente formulate, non corroborate da adeguati riscontri processuali e non supportate dal puntuale riferimento agli atti di causa.
Da tale statuizione sembra potersi desumere – a contrario – che, ove effettivamente provata la sussistenza di tali presidi, gli stessi avrebbero potuto costituire misure idonee a gestire il rischio di commissione di illeciti ambientali in ambito aziendale e, dunque, a ritenere esclusa la colpa organizzativa (e quindi la responsabilità) dell’ente. E tanto a prescindere dalla formale adozione da parte dell’impresa di un Modello di Organizzazione ex d.lgs. 231/2001.
In questo senso, la sentenza sembra inserirsi nell’alveo di quel formante giurisprudenziale teso a sposare un approccio “sostanzialista” nel giudizio di responsabilità dell’ente, volto cioè ad attribuire rilievo alla complessiva attività di compliance predisposta dall’ente, ancorché i presidi adottati non configurino un vero e proprio “Modello Organizzativo” formalmente così definito.
Tale orientamento giurisprudenziale, pur non rinnegando il ruolo centrale che riveste il MOG231 nell’accertamento processuale della colpa di organizzazione[1], sembra però mettere in guardia da qualsivoglia automatismo teso a negare, in assenza di un formale MOG231, efficacia esimente ad un sistema di compliance che assolva di fatto alle esigenze sottese al MOG231[2] (e che si configuri sostanzialmente come elisivo della colpa di organizzazione).
In questo senso, devesi citare la nota pronuncia 2014 del Tribunale di Milano, intervenuta in un caso concernente la morte di un operario addetto alla pulizia, travolto all’interno di un terminal ferroviario da un treno mentre era intento ad eseguire alcune manovre[3]. I vertici aziendali degli enti venivano chiamati a rispondere del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Parallelamente, le società coinvolte venivano incolpate ai sensi dell’art. 25-septies del D. Lgs. 231/2001 con una contestazione basata sull’omessa adozione dei Modelli Organizzativi idonei a prevenire la commissione dei reati presupposto. Tale omissione, secondo l’Accusa, avrebbe integrato una “(…) carenza strutturale di presidi e procedure di sicurezza volti a prevenire danni all’incolumità delle persone a causa della circolazione dei treni”. In effetti, due degli enti incolpati erano del tutto privi di un MOG231, mentre il terzo ente coinvolto, pur dotato di un Modello, non lo aveva adeguato alla materia antinfortunistica. Con riguardo a quest’ultimo, in particolare, l’accusa ravvisava la responsabilità nel “mancato aggiornamento del modello organizzativo alla luce dell’entrata in vigore della legge n. 123/2007 (che ha ampliato la responsabilità amministrativa degli enti al reato di cui all’art. 589 c.p.), con i conseguenti controlli in materia“. IL GUP milanese, tuttavia, riteneva tale omissione non sufficiente – da sola – a integrare la colpa organizzativa dell’ente. Al contrario, venivano valorizzati una serie di elementi, quali: lo sviluppo di un adeguato sistema di gestione della sicurezza secondo lo standard OHSAS 18001 del 2007; l’esecuzione di visite ispettive, con esito positivo, riguardanti il tronco ferroviario sul quale era stato impiantato il cantiere; l’avvio di un tempestivo progetto di aggiornamento del suddetto sistema, all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 123/2007. A tali presidi il GUP attribuiva efficacia sostanzialmente esimente, con conseguente assoluzione degli imputati ed esclusione della responsabilità̀ amministrativa degli enti incolpati.
In questa direzione si è espressa anche la Giurisprudenza di legittimità, che ha avuto agio di precisare come «l’assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente»[4]. Ciò in quanto l’onere di disporre adeguati sistemi preventivi, imposto dal d.lgs. n. 231/2001, può essere assolto anche attraverso l’adozione di presidi diversi da un modello organizzativo strutturato secondo quanto indicato dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231/2001. Trattasi di quello che è stato definito “modello di fatto”, vale a dire l’insieme delle procedure, dei protocolli e dei presidi aziendali contenenti misure preventive adeguate[5].
Da tale opzione ermeneutica deriva l’obbligo per il Giudice di procedere ad un accertamento caso per caso, valutando in concreto se la mancata adozione dei presidi solitamente presenti in un formalmente adottato MOG231 (ad esempio, la nomina dell’organismo di vigilanza, l’adozione del sistema disciplinare), abbia avuto un’incidenza causale nel verificarsi dell’illecito dell’ente. In caso di risposta affermativa, tali carenze integreranno la c.d.  colpa di organizzazione; viceversa, qualora l’omessa (formale) adozione del modello non abbia esplicato rilevanza causale rispetto all’illecito, perché la compliance dell’ente era comunque adeguata alla prevenzione del reato contestato, potrà trovare spazio la teoria del “modello di fatto”. È chiaro, tuttavia, come in tali casi l’onere probatorio cui è chiamata la persona giuridica sarà particolarmente gravoso, in quanto l’assenza del MOG231 costituisce innegabilmente un indizio della colpa organizzativa, pur non coincidendo tout court con la stessa.

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5. I presidi aziendali idonei a costituire il c.d. Modello di fatto


Se, dunque, il Modello di Organizzazione e Gestione ex D. Lgs. 231/2001 costituisce lo strumento principe, ma non l’unico idoneo ad escludere la responsabilità dell’ente, occorre interrogarsi su quali potrebbero essere gli altri presidi utili a ritenere adeguato il sistema di compliance ambientale dell’ente (comunque necessari in quanto costituenti il primo e secondo livello di controllo aziendale, vigilati a loro volta dall’eventuale MOG231).
Il tema è vieppiù importante in un ambito quale quello ambientale, caratterizzato da una molteplicità di adempimenti amministrativi, processi e sotto-processi solo apparentemente secondari, ma dietro ai quali può facilmente nascondersi il rischio per l’ente di incorrere in responsabilità.
Tenendo a mente le indicazioni fornite dalla Cassazione con la sentenza in commento, sarà certamente utile (rectius,doverosa) la predisposizione di discipline capillari, mediante la formalizzazione di prassi, policy aziendali, procedure standardizzate, meglio ancora se sussunte all’interno di una sistema di gestione ambientale conforme alla norma 14001: giova infatti ricordare che, sebbene in ambito aziendale non esista una presunzione di conformità analoga a quella disciplinata dall’art. 30 D.Lgs. 81/08 in materia antinfortunistica, è opinione comune che l’apprestamento di un sistema preventivo fondato sui principi di cui alla norma 14001 non possa che corroborare la dimostrazione circa l’assenza di colpa di organizzazione.
Altro aspetto saliente concerne il periodico svolgimento di analisi e autocontrolli, anche a campione: ancora una volta doverosi, laddove previsti dai markers di conformità amministrativa, ma certamente e comunque sintomatici di una soglia di attenzione adeguata.
Fondamentale si rivela, come statuito dalla Suprema Corte, l’individuazione di personale aziendale qualificato preposto alla gestione di tali processi. Sul punto, il Supremo Consesso ha precisato, però, come non sia sufficiente l’esistenza nell’organico aziendale di figure con una specializzazione in materia, ma prive di adeguata formazione.
Conseguentemente, non potrà trascurarsi l’attività di diffusione e formazione dei presidi aziendali introdotti, i quali dovranno essere oggetto di un percorso di formazione differenziata a seconda dei destinatari, così da garantire l’efficace formazione del personale direttamente coinvolto nella gestione dei processi correlati e un’adeguata sensibilizzazione delle restanti risorse aziendali circa l’importanza delle tematiche ambientali.
In conclusione, può affermarsi che:

  • in materia ambientale, la necessità per le imprese di disciplinare in maniera dettagliata i processi aziendali risulta quantomai stringente per prevenire il rischio di incorrere in errori dai quali possa discendere una responsabilità;
  • tale onere potrà dirsi più facilmente assolto laddove la Società abbia adottato un Modello di Organizzazione e Gestione ex D. Lgs. 231/2001, a mezzo del quale abbia provveduto ad un’adeguata mappatura dei processi aziendali a rischio di commissione degli ecoreati (c.d. risk assesment) e all’introduzione di protocolli idonei a ridurre tale rischio ad un livello di accettabilità (c.d. risk treatment);
  • a fronte della mancata adozione di un MOG231, tuttavia, il Giudice dovrà valutare la sussistenza di altri presidi – quali procedure aziendali formalizzate, personale qualificato, sistemi di gestione, meccanismi di controllo, etc., costituenti abitualmente substrato fertile per la crescita proprio del MOG231 – per accertare, caso per caso, se gli stessi possano integrare un sistema di compliance funzionalmente equivalente al MOG231 e comunque causalmente adeguato alla prevenzione dell’illecito verificatosi.

6. La recente Riforma introdotta dal Decreto Legge n. 116/2025


In conclusione, giova ricordare come il tema della prevenzione dei reati ambientali è peraltro di estrema attualità in quanto, di recente, il sistema 231 è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore che, con il Decreto Legge n. 116/2025, convertito con Legge n. 147/2025, ha introdotto significative novità in materia di reati ambientali e di responsabilità amministrativa degli enti.
La citata novella legislativa, emanata nel tentativo di rispondere alle esortazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione all’emergenza ambientale nella “Terra dei Fuochi”[1], è intervenuta su più fronti, introducendo nuove fattispecie di reato, convertendo in delitti condotte precedentemente integranti contravvenzioni e introducendo modifiche in materia di responsabilità degli enti.
Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, è stato significativamente modificato l’art. 25-undecies del D. Lgs. 231/2001, con

  • ampliamento del catalogo dei reati presupposto, che oggi include anche condotte di pericolo e non solo di danno, così da anticipare la soglia di punibilità. La riforma ha introdotto, nel novero dei reati 231, oltre ai delitti già previsti (inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico illecito di rifiuti, omessa bonifica, impedimento del controllo), anche i reati di: abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari (art. 255-bis TUA), abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter TUA), combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis TUA), ostacolo al controllo (art. 452-septies c.p.), omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.), traffico organizzato di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.);
    inasprimento del sistema sanzionatorio preesistente, che ha riguardato tanto le sanzioni pecuniarie, quanto quelle interdittive, quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione o l’esclusione da agevolazioni e finanziamenti. Modificando l’art. 25-undecies, comma 7, è stata introdotta l’applicazione obbligatoria (non più facoltativa) delle menzionate misure per i reati più gravi, tra cui il reato di l’inquinamento e il disastro ambientale;
    estensione delle misure di prevenzione e controllo applicabili al settore ambientale. In particolare, L’articolo 5 del citato D.L. 116/2025 ha esteso al settore ambientale le misure di prevenzione del Codice delle leggi antimafia, prevedendo la possibilità per il giudice di disporre l’amministrazione giudiziaria preventiva delle imprese ove sussistano indizi che l’attività economica possa agevolare la commissione di reati ambientali.

Chiara l’intentio legis di introdurre misure più incisive per il contrasto alla criminalità d’impresa in ambito ambientale, anche attraverso un importante ricorso alla responsabilità 231. Di conseguenza, le imprese sono chiamate ad una rinnovata attenzione alla prevenzione degli eco-reati attraverso l’introduzione (ovvero l’aggiornamento e l’implementazione) di presidi organizzativi e gestionali, primi tra tutti l’adozione di un MOG231 e il suo costante aggiornamento.

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Note


[1] La responsabilità degli enti per i reati commessi dai “soggetti in posizione apicale” è stata costruita dal legislatore secondo un meccanismo peculiare. Stabilisce l’art. 6, infatti, che «l’ente non risponde se prova che… l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi».
[2] Cass. pen., sez. VI, sentenza 22 giugno 2017, n. 41768, con nota di Santoriello, Modello organizzativo 231 e modelli aziendali Iso per la Cassazione “pari non sono”, in IUS SOCIETARIO, 8 novembre 2017, e Bartolomucci, Ribadita la diversità e non surrogabilità del Modello 231 con i sistemi gestionali aziendali, in Rivista 231, sub Interventi, settembre 2017e Caldarera, Brevi note alla sentenza 23/5/2012 del Tribunale di Brescia – Seconda Sezione Penale, in AODV231.
[3] Cfr. sentenza Tribunale di Milano, sezione VI penale, giudice Dott. Raffaele Martorelli, settembre 2014 (ud. 26 giugno 2014).
[4] Cass. pen., sez. IV, sentenza 4 ottobre 2022, n. 570.
[5] Fondaroli, Il rinnovato interesse per il fondamento della responsabilità dell’ente: prospettive di declinazione della colpa di organizzazione, in Rivista 231, 3, 2024.
[6] Trattasi, come noto, della sentenza della CEDU del 30 gennaio 2025, Corte e.d.u., Cannavacciuolo e a c. Italia, con cui l’Italia è stata esortata a predisporre misure volte ad intervenire in maniera globale e coordinata a vari livelli dell’apparato statale sulla questione “Terra dei fuochi”.

Clara Di Liberto

Andrea Milani

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