Possibili profili di responsabilità del produttore correlati al mancato rispetto delle norme tecniche UNI: tra “vincolatività”, “non vincolatività” ed “obbligatorietà indiretta”.

Scarica PDF Stampa
Tralasciando in questa sede la trattazione dell’iter di formazione delle norme Uni (messa allo studio, stesura documento, inchiesta pubblica, approvazione da parte della Commissione centrale tecnica, pubblicazione), in quanto argomento privo di interesse applicativo, appare sufficiente un preliminare inquadramento della materia attraverso l’individuazione, in sintesi, di alcuni profili di rilievo generale che verranno in seguito approfonditi.

Per quanto concerne la definizione e la promulgazione di tali norme, aventi carattere tecnico e valevoli in tutti i settori del commercio, dell’industria e dei servizi (esclusi quello elettrico ed elettronico), si ricordi che tali funzioni sono svolte in Italia da un’associazione privata riconosciuta a livello nazionale, europeo ed internazionale, denominata Uni (Ente Nazionale Italiano di Unificazione).

Le norme tecniche non sono quindi leggi ma documenti posti in essere, a livello nazionale (norme Uni) o sovranazionale, da organismi di diritto privato riconosciuti (enti di normazione).

La loro applicazione è volontaria, non sussistendo un obbligo cogente di rispettarle, se non in specifici casi legati principalmente alla sicurezza delle persone e, in generale, quando: sono richiamate da disposizioni legislative, diventandone parte integrante (casi tuttavia rari); sono contenute in un contratto tra le parti; il costruttore dichiara di rispettarle in un qualsiasi documento redatto dallo stesso (istruzioni per l’uso, dichiarazione di conformità, pubblicità).

Pur essendo prescrizioni di carattere tecnico, tali norme hanno iniziato ad avere rilevanza giuridica (soprattutto in rapporto ai principi civilistici in tema di responsabilità e risarcimento per danni provocati da un prodotto difettoso) dal 1985, attraverso il sistema del rinvio ad esse da parte delle norme giuridiche del legislatore comunitario e nazionale (c.d. nuovo approccio).

Il rispetto delle norme tecniche garantisce infatti una presunzione di conformità e di sicurezza del prodotto (adeguato al c.d. stato dell’arte), giuridicamente rilevante sia a livello contrattuale che extracontrattuale, escludendosi ogni responsabilità per eventuali danni in presenza di un rinvio ad esse da parte delle norme di diritto.

Quindi, anche se l’applicazione delle norme tecniche non è di regola obbligatoria ma volontaria, quando esse vengono richiamate nei provvedimenti legislativi può intervenire un livello di cogenza, delimitato pur sempre allo specifico contesto. Il costruttore può quindi disattenderle, purchè sia in grado di dimostrare che i requisiti essenziali di sicurezza sono rispettati (prova che si può invece avere per presunzione, nel caso di applicazione delle norme tecniche).

Sotto il profilo della responsabilità, in particolare, va evidenziato che:

– dal punto di vista penalistico, se il costruttore dimostra l’avvenuto rispetto delle norme tecniche, viene meno l’elemento soggettivo essenziale della responsabilità, cioè la colpa;

– dal punto di vista civilistico, bisogna distinguere a seconda che la responsabilità sia aquiliana (ex art. 2043 c.c.) o oggettiva (prescinda cioè dagli aspetti soggettivi dell’illecito, vale a dire dal dolo e dalla colpa).

Nel primo caso, il costruttore che riuscisse a dimostrare di aver operato nel rispetto delle norme tecniche, dovrebbe essere esente da responsabilità.

Nel secondo caso, per non incorrere in responsabilità risarcitorie, dovrebbe dimostrare che lo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche, al momento dell’immissione del prodotto nel mercato, non permetteva di rilevare un difetto sotto il profilo della sicurezza.

Pertanto, pur non essendo le norme tecniche vincolanti, e sussistendo l’obbligo di immettere nel mercato prodotti sicuri, tale obbligo è assolto con il rispetto delle norme tecniche stesse; poichè la prova di averle rispettate può escludere la responsabilità del costruttore, la loro obbligatorietà si potrebbe quindi considerare come introdotta in modo indiretto.

In realtà, la Commissione europea ha chiarito che le norme tecniche assumono efficacia vincolante solo nei tre casi sopra ricordati, cioè: quando la norma tecnica è imposta da una norma giuridica che la richiama o che la recepisce; quando la norma è inserita in un contratto, privato o pubblico (la conformità diventa infatti così un obbligo contrattuale); quando la norma codifica lo “stato dell’arte”, che è obbligatorio per sua natura.

Il mancato rispetto della norma non consente comunque di considerare il prodotto non conforme alla regolamentazione, in quanto il produttore è libero di prendere provvedimenti diversi da quelli stabiliti dalla norma.

Il produttore che non abbia rispettato una norma tecnica dovrà dimostrare di aver comunque conseguito la conformità del proprio prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza esposti nelle direttive di prodotto. D’altra parte, il costruttore non ha l’obbligo giuridico di applicare le norme tecniche (in quanto non vincolanti), ma se le applica ottiene la presunzione del rispetto dell’obbligo giuridico di garantire la sicurezza e la conformità del proprio prodotto.

Sintetizzando quanto fino ad ora esposto, gli aspetti giuridici rilevanti, legati alle norme tecniche, sono sostanzialmente tre:

1.la presunzione di sicurezza dei prodotti derivante dalla conformità alle norme. I produttori possono decidere volontariamente se realizzare i propri prodotti in conformità alle norme tecniche che non hanno applicazione cogente, ma volontaria. Al costruttore che non le applica spetta però l’onere di dimostrare che il proprio prodotto soddisfa in altro modo i requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle direttive. Viceversa, il prodotto realizzato sulla base delle norme armonizzate beneficia di una presunzione di conformità ai requisiti essenziali delle direttive stesse;

2.il problema della responsabilità da prodotto difettoso. La direttiva comunitaria 85/374/CEE (le cui norme di recepimento sono anch’esse confluite nel codice del consumo, artt. 114 ss.) si ispira al principio fondamentale per cui ogni prodotto industriale, qualunque sia l’uso cui è destinato, deve poter essere utilizzato in condizioni di sicurezza. E l’art. 5 precisa che “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze”. Anche in questo caso emerge il concetto di “presunzione di sicurezza” stabilito dalla legislazione per coloro che producono in conformità alle norme tecniche;

3.l’impatto che le norme sottoposte a modifiche e aggiornamenti possono avere sul mercato e quindi sui prodotti già in circolazione. Secondo la giurisprudenza, per quanto riguarda il prodotto, valgono le norme in vigore al momento in cui il prodotto è stato immesso sul mercato.

Dopo i suesposti cenni preliminari, passiamo ad un’analisi più puntuale dell’argomento che ci occupa e ad un approfondimento dei punti già accennati.

Innanzitutto si evidenzia che le norme tecniche (emesse, come abbiamo visto, da organismi di diritto privato nazionali o sovranazionali, attraverso le quali si stabilisce “come fare bene le cose”, garantendo sicurezza, rispetto per l’ambiente e prestazioni certe) non sono delle leggi, ma dei documenti (in continua evoluzione) che definiscono alcune caratteristiche (dimensionali, materiali, prestazionali, ambientali, di qualità, di sicurezza, di organizzazione ecc.) di un prodotto, di un processo o di un servizio, secondo lo stato dell’arte, tecnico e tecnologico, posti in essere da esperti del settore in rappresentanza di tutte le parti economiche e sociali interessate.

La Direttiva 98/34/CE stabilisce che “norma è la specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto a svolgere attività normativa per applicazione ripetuta e continua, la cui osservanza non sia obbligatoria e che appartenga a una delle seguenti categorie: Norma internazionale (ISO), Norma europea (EN), Norma nazionale (UNI)”.

Le norme tecniche sono caratterizzate dalla loro consensualità, democraticità, trasparenza e volontarietà: rappresentano un mero riferimento in quanto non vi è obbligo di seguirle e rispettarle se non in determinati specifici casi, legati principalmente alla sicurezza delle persone, come ad esempio in quelli di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”.

Secondo il Regolamento UE 1025 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sulla normazione europea, esse sono “una specifica tecnica, adottata da un organismo di normazione riconosciuto, per applicazione ripetuta o continua, alla quale non è obbligatorio conformarsi”.

Pur essendo quindi prescrizioni di carattere puramente tecnico, dette norme hanno iniziato ad assumere rilevanza giuridica a partire dal 1985, anno del c.d. “new approach”. In particolare, con la Risoluzione 7 maggio 1985 del Consiglio dell’allora Comunità economica europea, si è deciso che le direttive comunitarie avrebbero avuto la funzione di indicare i requisiti essenziali di sicurezza che i prodotti avrebbero dovuto avere per poter circolare liberamente all’interno della Comunità, riservando l’elaborazione delle stesse agli enti di normazione.

Ha preso così il via il c.d. “sistema del rinvio alle norme tecniche” da parte delle norme giuridiche, detto anche meccanismo del “rinvio recettizio”, in forza del quale sia il legislatore comunitario che quello nazionale rimandano, in sede giuridica, al rispetto delle norme tecniche elaborate dagli enti di normazione (Uni, Cei, Cen); quindi, le norme tecniche assumono una rilevanza giuridica e nel contempo impongono un adeguamento o contemperamento con diversi istituti di diritto, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra norme tecniche e principi civilistici vigenti in tema di responsabilità e risarcimento correlati a sinistro provocato da un prodotto difettoso.

Sembra opportuno ricordare che il concetto di responsabilità da prodotto difettoso si ispira al principio generale per cui ogni prodotto industriale, qualunque sia l’uso cui è destinato, deve poter essere utilizzato in condizioni di sicurezza (al riguardo l’art. 5 della direttiva comunitaria 85/374/CEE dispone che: “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze”).

Il rispetto delle norme tecniche, in quanto elaborate in forza delle conoscenze ed esperienze scientifiche esistenti in un dato momento storico, soddisfa detto precetto e crea una “presunzione di sicurezza” dei prodotti realizzati in loro conformità che assume rilevanza giuridica, tanto in ambito contrattuale che extracontrattuale; in presenza di un determinato rinvio da parte delle norme di diritto, la conformità del prodotto, processo o servizio alle prescrizioni contenute nelle norme tecniche conduce infatti a ritenere che il prodotto, processo o servizio medesimo sia stato realizzato con criteri di sicurezza tali da escludere ogni responsabilità nella causazione di eventuali danni.

In ipotesi di danni cagionati da prodotto realizzato in modo conforme alle norme tecniche, anche se la soluzione di ogni singolo caso non potrà prescindere dall’analisi del fatto, al di là che le norme tecniche vigenti rispecchino o meno lo “stato dell’arte”, in generale andrà considerata la buona fede del produttore che in esse ha confidato. A tale ultimo riguardo è indubbia l’attinenza con il disposto di cui all’articolo 2050 del codice civile: “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.

Se vengono esattamente rispettate le prescrizioni di cui alle norme tecniche, posto che il danneggiante potrebbe liberarsi dall’obbligo del risarcimento provando il caso fortuito, la prova del rispetto delle norme tecniche potrebbe costituire un elemento rilevante ai fini del conseguimento del convincimento del Giudice in ordine al verificarsi del caso fortuito.

In mancanza di correlato rinvio da parte delle norme legislative alle norme tecniche, la loro osservanza discende da un’autonoma e libera scelta del soggetto danneggiante; anche in presenza di un rinvio legislativo, però, l’applicazione delle prescrizioni contenute nelle norme tecniche non discenderebbe da fatto imputabile agli enti normalizzatori, nel caso in cui si venisse ad appurare che tali norme tecniche non rispecchiano lo stato dell’arte; quindi, in tal caso, non si potrà svolgere azione di responsabilità nei confronti degli enti normalizzatori, perché responsabile sarebbe il soggetto che ha disposto il rinvio e non l’ente normalizzatore.

L’attribuire rilevanza giuridica alle norme tecniche potrà comportare, in ogni caso, una diversa distribuzione del rischio sociale ai danni del danneggiato laddove ciò contribuirà alla prova del caso fortuito, ovvero ai danni del danneggiante laddove il medesimo in buona fede abbia confidato sull’attualità ed idoneità delle norme tecniche che, magari anch’esse per caso fortuito, abbiano avuto a fornire indicazioni erronee o inattuali.

Al riguardo il decreto legislativo n. 172 del 21 maggio 2004, attuativo della direttiva 2001/95/CE, effettua il rinvio alle norme tecniche disponendo all’articolo 4 che: “Si presume che un prodotto sia sicuro, per quanto concerne i rischi e le categorie di rischi, disciplinati dalla normativa nazionale, quando è conforme alle norme nazionali non cogenti che recepiscono le norme europee, i cui riferimenti sono stati pubblicati dalla Commissione europea nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee a norma dell’articolo 4 della direttiva n. 2001/95/CE”.

Tra la normazione tecnica e la legislazione esiste quindi un rapporto stretto e complesso. Se infatti l’applicazione delle norme tecniche non è di regola obbligatoria, quando queste vengono richiamate nei provvedimenti legislativi può intervenire un livello di cogenza, delimitato pur sempre dal contesto di riferimento.

È comunque importante sottolineare la volontarietà dell’applicazione delle norme tecniche; questi documenti sono infatti una “opportunità” che il progettista ha per aiutarsi nella scelta delle migliori soluzioni, ma non costituiscono in alcun modo un “vincolo” che possa limitare in qualsiasi modo la libera progettazione.

Le norme assumono carattere vincolante, abbiamo visto, solamente quando: 1. sono richiamate da disposizioni legislative, diventandone parte integrante e assumendo quindi valenza cogente (ma è un caso estremamente raro); 2. sono contenute in un contratto tra le parti, nel qual caso diventano obbligatorie come qualsiasi altro requisito contrattuale; 3. il fabbricante asserisce di rispettarle: una norma citata in qualsiasi documento redatto dal costruttore (per esempio, materiale pubblicitario, istruzioni per l’uso, dichiarazione di conformità) diventa vincolante dal momento che il costruttore la dichiara come una “caratteristica” della macchina.

Una categoria speciale di norme sono le «norme armonizzate», non aventi carattere vincolante, emesse da organismi di normazione europei a seguito di una richiesta formale da parte della Commissione europea, che stabiliscono uno standard valido in tutto il territorio europeo e quindi nell’ambito di applicazione delle direttive. La loro importanza è legata alla “presunzione di conformità” che esse assicurano, ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2006/42/CE.

Si tenga però presente che l’applicazione di una norma armonizzata facilita il fabbricante nella scelta delle misure di sicurezza da adottare, ma non lo dispensa dall’eseguire una valutazione dei rischi; (vedi la guida all’applicazione della direttiva 2006/42/CE).

Va sottolineato, anche in questo caso, come l’applicazione delle norme armonizzate – come del resto quella di qualsiasi tipo di norma – sia volontario, una libera scelta del costruttore; l’esistenza di una norma armonizzata non rappresenta in alcun modo un vincolo e non fornisce nessuna soluzione precostituita che debba essere obbligatoriamente adottata (vedasi il diciottesimo “considerando” della direttiva 2006/42/CE).

Il livello minimo comune da rispettare è determinato dal cosiddetto “stato dell’arte”, che è (UNI CEI EN 45020/2007) lo «stadio dello sviluppo, raggiunto in un determinato momento, dalle capacità tecniche relative a prodotti, processi e servizi basato su pertinenti scoperte scientifiche, tecnologiche e sperimentali». In sostanza, comprende l’insieme delle conoscenze teoriche e pratiche correntemente e comunemente utilizzate in campo industriale.

Il rispetto dello stato dell’arte è un concetto largamente diffuso nella legislazione e nella giurisprudenza e non solo in quelle relative alla sicurezza dei prodotti.

È bene precisare quale sia la relazione tra stato dell’arte e norme, anche alla luce della guida all’applicazione della direttiva 2006/42/CE: i progettisti devono riferirsi sempre allo stato dell’arte disponibile in un determinato momento e utilizzare le norme come fonte di indicazioni, senza però obbligatoriamente doversi conformare a quanto in esse prescritto.

Poiché però le norme armonizzate forniscono un’indicazione dello stato dell’arte al momento della loro adozione, è necessario che le eventuali soluzioni alternative scelte dal fabbricante raggiungano un livello di sicurezza perlomeno equivalente a quello indicato dalle norme. È comunque possibile che la norma sia stata superata dal progresso dello stato dell’arte, nel qual caso il costruttore dovrebbe tenerne conto; questa evoluzione rappresenta normalmente un miglioramento delle soluzioni proposte dalle norme, quindi il requisito dell’equivalenza del livello di sicurezza raggiunto è solitamente garantito.

Il giudizio di conformità è rilevante per tutti i prodotti, sotto il profilo giuridico, in quanto esso comporta la creazione di obblighi per i fabbricanti e l’insorgere di responsabilità: comprendere come le norme tecniche assumano rilevanza sotto il profilo giuridico, dunque, significa comprendere come esse possano influenzare i comportamenti dei soggetti interessati, sotto il profilo degli obblighi e delle responsabilità.

La rilevanza delle norme tecniche ha assunto un aspetto centrale nel discorso sulla sicurezza dei prodotti, in conseguenza dell’adozione in ambito europeo del sistema del c.d. “Nuovo approccio”, in base al quale gli organismi legislativi approvano, mediante direttive (che poi i singoli Stati membri dovranno recepire con proprie disposizioni legislative di attuazione), i requisiti essenziali che i prodotti devono possedere per poter circolare liberamente, lasciando poi agli enti di normazione il compito di elaborare norme tecniche specifiche affinché i prodotti soddisfino i requisiti di sicurezza previsti dalle direttive, tenendo conto del livello tecnologico raggiunto. Queste norme tecniche sono di applicazione volontaria, nel senso che il costruttore può anche disattenderle purché sia in grado di dimostrare che, comunque, i requisiti essenziali di sicurezza sono stati pienamente rispettati.

Le autorità degli Stati membri devono riconoscere ai prodotti fabbricati secondo le norme tecniche una presunzione di conformità ai requisiti essenziali delle direttive, nel momento in cui i prodotti siano stati realizzati nel rispetto delle norme tecniche.

L’Art. 105 del D. Lgs. 206/2005 (c.d. Nuovo Codice del Consumo), stabilisce che:

1. In mancanza di specifiche disposizioni comunitarie che disciplinano gli aspetti di sicurezza, un prodotto si presume sicuro quando è conforme alla legislazione vigente nello Stato membro in cui il prodotto stesso è commercializzato e con riferimento ai requisiti cui deve rispondere sul piano sanitario e della sicurezza.

2. Si presume che un prodotto sia sicuro, per quanto concerne i rischi e le categorie di rischi disciplinati dalla normativa nazionale, quando è conforme alle norme nazionali non cogenti che recepiscono le norme europee i cui riferimenti sono stati pubblicati dalla Commissione europea nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee a norma dell’art. 4 della direttiva n. 2001/95/CE, del Parlamento europeo e del consiglio, del 3 dicembre 2001. 3. In assenza delle norme di cui ai commi 1 e 2, la sicurezza del prodotto è valutata in base alle norme nazionali non cogenti che recepiscono norme europee, alle norme in vigore nello Stato membro in cui il prodotto è commercializzato, alle raccomandazioni della commissione europea relative a orientamenti sulla valutazione della sicurezza dei prodotti, ai codici di buona condotta in materia di sicurezza vigenti nel settore interessato, agli ultimi ritrovati della tecnica, al livello di sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente attendersi. 4. Fatte salve le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, le Autorità competenti adottano le misure necessarie per limitare o impedire l’immissione sul mercato o chiedere il ritiro o il richiamo dal mercato del prodotto, se questo si rivela, nonostante la conformità, pericoloso per la salute e la sicurezza del consumatore”.

Sulla base di questi riferimenti normativi, appare evidente come il rispetto delle norme tecniche sia essenziale ai fini della valutazione della conformità dei prodotti ai requisiti fissati dalle direttive comunitarie. E dato che, come si è detto sopra, il rispetto delle norme di sicurezza è rilevante ai fini della sicurezza, ne deriva che esso è necessariamente coinvolto nel giudizio di responsabilità dell’operato del fabbricante, sotto il profilo sia penale che civilistico.

Dal punto di vista penale, nel momento in cui il fabbricante sia in grado di dimostrare l’avvenuto rispetto delle norme armonizzate, viene meno l’elemento soggettivo essenziale della responsabilità penale, cioè la colpa.

Dal punto di vista civilistico il problema è un po’ più complicato, dovendosi distinguere a seconda che la responsabilità sia valutata alla stregua dei principi generali (c.d. responsabilità aquiliana), dove assumono rilevo gli aspetti soggettivi dell’illecito (dolo e colpa), piuttosto che sulla base dei criteri della responsabilità civile oggettiva.

Nel primo caso, assumendo rilevanza l’elemento soggettivo dell’illecito, rappresentato dalla colpa, il fabbricante che fosse in grado di dimostrare di aver costruito la macchina nel rispetto dei criteri dati dalle norme armonizzate dovrebbe essere esente da responsabilità.

Nel secondo caso, poiché il costruttore è chiamato a rispondere per il solo fatto di aver posto in commercio un prodotto “difettoso” perché non sicuro, indipendentemente da ogni valutazione circa l’esistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa), per non incorrere in responsabilità (civile, quindi risarcitoria) egli dovrebbe dimostrare che lo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche, anche al loro livello più avanzato, al momento dell’immissione sul mercato del prodotto non permetteva di evidenziare un difetto rilevante sotto il profilo della sicurezza (Art. 118 lett. E del Nuovo Codice del consumo, che riprende il testo dell’Art. 6 del DPR 224/88 attuativo della Direttiva in materia di responsabilità del produttore per danni causati da difetti del prodotto 85/374/CE).

Si è detto, però, che le norme tecniche armonizzate non sono vincolanti, in quanto adottate su base volontaria, da organismi di normazione europea: questa affermazione, può sembrare contraddittoria con quanto si è appena osservato, perché, se si considera che, da una parte, l’obbligo di immettere sul mercato prodotti sicuri” quindi conformi, è assolto con il rispetto delle norme tecniche, e che, dall’altra, la prova di aver rispettato le norme tecniche può escludere la responsabilità, è evidente che la obbligatorietà delle norme tecniche si potrebbe considerare introdotta indirettamente da tali criteri.

In realtà, le norme tecniche, come ha avuto modo di chiarire la Commissione europea già nella linea guida sulla direttiva macchine del 1999 (98/37/CE, ora abrogata dalla Direttiva 2006/42/CE), assumono efficacia vincolante solo in tre casi, come già è stato prima detto: quando la norma tecnica è imposta da una norma giuridica che la richiama o che la recepisce; quando la norma è inserita in un contratto, privato o pubblico, in quanto, in tal caso la conformità diventa un obbligo contrattuale; quando la norma codifica lo stato dell’arte, che è obbligatorio per sua natura.

E sulla non obbligatorietà delle norme tecniche si era precedentemente espressa con chiarezza la Comunità, laddove, con la risoluzione del 07/5/1985, chiarendo che le norme tecniche sono sempre facoltative, e che “la mancata conformità non è mai un’inadempienza in sé, in quanto il concetto di inadempienza comporta sempre l’esistenza di un obbligo”; e ancora, “La conformità ad una norma armonizzata comporta una “presunzione di conformità” alla normativa ed essendo un atto volontario diventa un comportamento “degno di merito” da parte del fabbricante, di cui le autorità di controllo tengono conto nella politica di sorveglianza del mercato che conducono.

Il mancato rispetto della norma non consente comunque di trarre la conclusione che il prodotto non sia conforme alla regolamentazione: il fabbricante è infatti libero di prendere provvedimenti diversi di quelli stabiliti dalla norma.

Relativamente al concetto di “presunzione di conformità” rilevante sotto il profilo giuridico, la linea guida 1999 della commissione europea ha avuto modo di evidenziare che “Dal punto di vista giuridico, la presunzione di conformità attribuita alle norme europee s’interpreta come un rafforzamento del concetto di presunzione di conformità. Non si potrà mai affermare che un fabbricante di macchine che non rispetti le norme armonizzate debba dimostrare la conformità sotto il profilo giuridico.

Il concetto di presunzione di conformità rafforzata legato alle norme europee non modifica l’onere della prova per i prodotti non conformi alle norme.

Ciò significa che il fabbricante che risulti non aver rispettato una norma dovrà dare dimostrazione di aver comunque conseguito la conformità del proprio prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza esposti nelle direttive di prodotto.

A fronte della “non vincolatività” delle norme tecniche, si pone la “obbligatorietà” dello “stato dell’arte”: certamente la norma può rappresentare e costituire lo stato dell’arte in un dato momento, ma, considerata la sempre maggiore rapidità dell’evoluzione tecnologica, essa rischia di essere superata in un breve lasso di tempo.

Per questo motivo, anche in base all’interpretazione in ambito comunitario, lo stato dell’arte, tipicamente e normalmente non scritto, rappresenta lo stato dell’evoluzione delle conoscenze tecniche su un dato argomento in un preciso momento storico, costituisce una consuetudine, ed è imperativo, e in questo senso ha una portata giuridica superiore alle norme.

Dunque, a conclusione di quanto esposto, è possibile affermare che il costruttore il quale intende perseguire la conformità non ha l’obbligo giuridico di applicare le norme tecniche (armonizzate, o desumibili da altri strumenti normativi), in quanto si tratta di norme non vincolanti, ma se le applica, ottiene il rispetto dell’obbligo giuridico di garantire la sicurezza del proprio prodotto.

Andrea Polesana

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento