La sentenza n. 167/2025 della Corte costituzionale offre una nuova occasione per riflettere sulla complessa relazione tra sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale e tutela dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici. Il caso trae origine dal ricorso presentato da ventiquattro ex appartenenti al comparto difesa e sicurezza, i quali avevano contestato la disciplina introdotta dall’art. 1, comma 309, della legge di bilancio 2023 (l. n. 197/2022). Tale disposizione, in deroga al regime ordinario previsto dall’art. 1, comma 478, l. n. 160/2019, aveva modulato la rivalutazione automatica delle pensioni secondo scaglioni decrescenti, garantendo l’adeguamento integrale solo ai trattamenti inferiori a quattro volte il minimo INPS.
Indice
- 1. l contesto normativo e le criticità sollevate dal giudice rimettente
- 2. La qualifica del “raffreddamento” della perequazione: un intervento non tributario
- 3. Reiterazione delle misure e verifica della ragionevolezza
- 4. Assenza di discriminazioni e irrilevanza del raffronto con i lavoratori in servizio
- 5. Conclusione
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1. l contesto normativo e le criticità sollevate dal giudice rimettente
A fronte di questa scelta legislativa, la Corte dei conti Emilia-Romagna aveva prospettato due principali violazioni costituzionali:
- l’art. 53 Cost., ritenendo la norma equivalente, nella sostanza, a un prelievo tributario selettivo a carico dei pensionati di importo più elevato;
- l’art. 3 Cost., con riferimento sia alla presunta irragionevole reiterazione di misure eccezionali di contenimento della spesa, sia a possibili disparità di trattamento tra categorie di pensionati e rispetto ai lavoratori in servizio.
Nonostante le recenti indicazioni fornite dalla sentenza n. 19/2025, il giudice rimettente riteneva che i nuovi elementi in discussione giustificassero un ulteriore scrutinio di costituzionalità.
2. La qualifica del “raffreddamento” della perequazione: un intervento non tributario
Uno dei passaggi più significativi della decisione riguarda la natura giuridica della riduzione della rivalutazione. La Consulta esclude in modo netto che essa possa essere qualificata come prestazione patrimoniale imposta. L’argomento è duplice.
Da un lato, la misura non determina una riduzione dell’importo della pensione, bensì una crescita più contenuta rispetto a quella che deriverebbe dal regime ordinario. L’assenza di un decremento della prestazione previdenziale esclude qualunque effetto ablatorio assimilabile a un’imposta o a un contributo straordinario.
Dall’altro, il “risparmio” generato non confluisce nella fiscalità generale, ma rimane vincolato alle gestioni previdenziali dell’INPS, confermando la finalità interna al sistema e non orientata alla copertura indistinta della spesa pubblica. Questo elemento è decisivo per la Corte, che individua nella destinazione del gettito uno degli elementi essenziali della nozione di tributo.
La misura non altera nemmeno la natura sinallagmatica del rapporto previdenziale: le pensioni continuano ad assumere la funzione tipica di prestazione sostitutiva del reddito da lavoro, finanziata da contribuzione. Non essendovi un prelievo fondato sulla capacità contributiva, viene meno qualsiasi violazione dell’art. 53 Cost.
3. Reiterazione delle misure e verifica della ragionevolezza
Un secondo profilo affrontato dalla Corte interessa la disciplina temporanea e ripetuta della perequazione. Il giudice rimettente aveva richiamato precedenti giurisprudenziali che segnalavano il rischio di trasformare interventi emergenziali in strumenti strutturali di contenimento della spesa. Tuttavia, la Consulta opera una distinzione che risulta decisiva: non tutti gli interventi sulla rivalutazione hanno la stessa intensità lesiva.
La Corte rileva che il meccanismo previsto dalla legge di bilancio 2023 non equivale a un vero “blocco” della perequazione – misura già ritenuta costituzionalmente sospetta – bensì a un rallentamento graduato, calibrato su fasce crescenti di reddito pensionistico. L’adeguamento pieno garantito ai trattamenti più bassi, unito alla riduzione proporzionale applicata a quelli elevati, rappresenta per i giudici un equilibrio ragionevole tra esigenze finanziarie e salvaguardia del potere d’acquisto dei pensionati.
Ulteriore elemento valorizzato è la motivazione economica espressa nelle relazioni alla legge di bilancio, che rende trasparente l’esigenza di contenere la spesa in una fase di forte pressione sui conti pubblici. In tale contesto, la reiterazione della misura non appare né arbitraria né priva di limiti, ma rientra nella discrezionalità legislativa.
4. Assenza di discriminazioni e irrilevanza del raffronto con i lavoratori in servizio
La Corte affronta infine il profilo della presunta disparità di trattamento. Il rinvio all’art. 34 della l. n. 448/1998, contenuto nella norma impugnata, assicura che il meccanismo perequativo sia applicabile a tutte le gestioni dell’assicurazione generale obbligatoria, comprese quelle dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata. L’ipotesi di esclusione prospettata dal giudice rimettente non trova, quindi, fondamento normativo.
Il raffronto con i lavoratori in attività non è invece ritenuto pertinente: pensioni e retribuzioni rispondono a logiche e strumenti differenti, non comparabili ai fini del giudizio di uguaglianza. Ne consegue che non vi è alcuna violazione dell’art. 3 Cost.
5. Conclusione
La sentenza n. 167/2025 si inserisce nel solco già tracciato dalla precedente pronuncia n. 19/2025, confermando che il legislatore può modulare temporaneamente la perequazione automatica, purché rispetti i principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela dei trattamenti più deboli. La Corte ribadisce dunque la legittimità costituzionale degli interventi di “raffreddamento”, a condizione che non si traducano in una sospensione generalizzata dell’adeguamento, ma restino strumenti calibrati e giustificati dalla situazione finanziaria complessiva dello Stato.
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