Perché la mediazione familiare?

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Negli anni ’60-’80, in occidente, la famiglia ha conosciuto una “rivoluzione silenziosa” (fenomeno che persiste ancora oggi), che ha portato molti a paventarne la morte. In realtà sarebbe più corretto parlare di morte di una specifica forma di famiglia o di “crisi” (intesa in senso etimologico, dal greco krìsis ‘separazione, scelta, giudizio’) della famiglia ovvero di una famiglia che si mette in discussione o anche di famiglia “autopoietica”, che si autoinventa, si autocrea. Alla luce di ciò oggi sembra più opportuno riferirsi alle famiglie al plurale, così come si parla di affidamenti, dei contratti o delle proprietà. In questo processo di palingenesi della famiglia sorge la mediazione familiare.

La mediazione in generale ha origini molto antiche ed anche religiose (per l’ordinamento canonico odierno si veda il canone 1446 par. 2 del Codex Iuris Canonici del 1983, laddove prevede che «il giudice sul nascere della lite ed anche in qualunque altro momento, ogni volta che scorga qualche speranza di buon esito, non lasci di esortare le parti e di aiutarle a cercare di comune accordo un’equa soluzione della controversia, e indichi loro le vie idonee a tal proposito, servendosi eventualmente di persone autorevoli per la mediazione»). Si tratta di un’attività svolta da un terzo per mettere in relazione due parti in conflitto, attuale o potenziale (letteralmente mediazione significa interpretazione) nel rispetto dei principi di terzietà, imparzialità, neutralità, trasparenza, oggettività. Il proprium della mediazione rispetto ad altre attività è dato da una quaternitas: i due contendenti, il mediatore e il conflitto (è proprio su quest’ultimo che vertono molte definizioni della mediazione: trattamento del conflitto, valorizzazione del conflitto, alfabetizzazione al conflitto).

Nella mediazione in generale si innesta quella familiare, resa oggi ancor più necessaria in Italia per il crescente numero di reati consumati in famiglia (di qui il parallelo con la mediazione penale). Sulla mediazione familiare, nonostante anni di pratica, permangono molti interrogativi, per esempio: quale l’oggetto (solo l’affidamento dei figli in caso di separazione dei coniugi o tutte le relazioni parentali)? quale il ruolo dell’operatore? quali le differenze rispetto ad altri tipi di intervento? Tali quesiti sono conseguenza diretta di quelli che insistono sul suo soggetto-oggetto, la famiglia (basti pensare alle mai sopite querelles sull’art. 29 della nostra Costituzione).

La situazione italiana è molto simile a quella degli altri Paesi occidentali, dagli Stati Uniti, in cui la mediazione ha ricevuto una veste formale, alla Grecia in cui si è diffusa più tardivamente. Questo crogiolo di esperienze giuridiche fa ben sperare in un proficuo sviluppo di questa tecnica come previsto dalla Raccomandazione n. R(98)1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

La mediazione familiare, sia che la si intenda come competenza sia che la si intenda come professione, è espressione di una nuova giustizia (la giustizia del quotidiano), di un nuovo diritto (il diritto mite), di un nuovo codice (il codice emotivo), di una nuova cultura che si auspica diventi una nuova civiltà. In realtà non si tratta di una nuova civiltà, ma della vera civiltà umana basata sulla mediazione, in quanto il conflitto fa parte della natura umana. “Pare addirittura, secondo alcune recenti ipotesi biologiche, che già durante la gravidanza si svolga il prototipo di tutti i conflitti futuri. Il feto non sta passivamente nella pancia della madre, ma si dà da fare per estrarre da lei tutte le sostanze nutritive di cui ha bisogno; la madre, dal canto suo, pur accondiscendendo a tali richieste, cerca di non cedervi completamente per conservarsi sana e riuscire così ad accudire efficacemente alla prole. Insomma, tra noi e il mondo esterno si stabilisce fin dall’inizio una sorta di tiro alla fune; solo se la bandiera resterà al centro se ne avvantaggeranno entrambi i contendenti” (così la prof.ssa Ada Fonzi). Anche il diritto partecipa di questo processo di conflitto e mediazione, infatti il termine latino ius deriva dal verbo iungo, congiungere, unire insieme. E’ bene che il diritto recuperi questa sua essenza non limitandosi ad essere mera composizione di opposti interessi, per lo più economici. Occorre che si faccia permeare da altri saperi, come la psicologia, per poter meglio agire oggi nella prima società che è la famiglia (rivitalizzando l’accezione del brocardo ubi societas ibi ius). La crescita civile di una società è segnata dall’evoluzione del diritto che, pur rimanendo aderente al rigore formale che gli è proprio, si lascia attraversare e fecondare da nuovi saperi che allargano e approfondiscono la conoscenza dell’uomo.

 

Margherita Marzario


Dott.ssa Marzario Margherita

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