Per una neurobiologia giuridica

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         Finora nell’analisi dei comportamenti e delle decisioni giuridiche nelle aule giudiziarie, come richiamato da Alpa nel Sole 24 Ore – Domenica del 24/8/08, si è fatto riferimento a numerosi paradigmi quali:
 
  • Le inclinazioni politiche;
  • La strategia della decisione collegiale;
  • L’antropologia del collegio;
  • La sociologia dell’appartenenza sociale;
  • La psicologia dell’uomo a seguito della sua formazione e del vissuto;
  • La coscienza delle conseguenze economiche della decisione;
  • Fenomenologico, ossia la coscienza del proprio agire;
  • Legislativo o formalista-concettualista;
  • Pragmatico.
 
Questa visione mette in ombra un ulteriore aspetto sviluppato negli studi di neuroeconomia, l’aspetto endocrinologico sia proprio delle varie costituzioni umane che determinato dalla pressione psicologica delle aule, in particolare in quelle di prima linea delle giurisdizioni minori, e nelle ipotesi di provvedimenti immediati.
Non si può negare l’ipotesi empirica che il profilo biochimico proprio di ciascun operatore della giustizia, giudice o legale che sia, venga ad influire sugli effetti, la fisiologia dell’organismo verrà senz’altro a variare nelle varie situazioni che si possono configurare nelle aule.
Come nelle contrattazioni di Borsa il livello di testosterone influisce sui risultati in termini di guadagno, in quanto aumenta la fiducia in se stessi e la propensione al rischio, come affermano Coates e Herbert, altrettanto potrebbe accadere nelle aule come all’inverso il risultato potrebbe variare modificando i termini del rapporto ambientale, considerando le varie combinazioni possibili tra esseri umani in un rapporto diretto, infatti gli ormoni steroidei possono essere causa di comportamenti apparentemente impulsivi, con sottovalutazione del rischio.
Al contrario la presenza del cortisolo, quale antidoto al testosterone, riduce la propensione al rischio deprimendo l’irruenza.
Anche la dopamina potrebbe intervenire nel corso del dibattimento, avendo una funzione correlata a comportamenti gratificanti, mentre il rischio di perdite variano la fisiologia cerebrale.
Nel variare i parametri psicofisici, anche a seguito dell’abitudine allo stress, vi è un coinvolgimento emotivo il quale è causa di una elaborazione rapida e scarsamente organizzata del pensiero, con processi simultanei e non divisi in sottoprocessi.
Le procedure, in particolare nei dibattimenti, tendono a ridurre anche questi effetti che positivi da un punto di vista evoluzionistico di fatto in queste circostanze, oltre un certo limite, come tutto, potrebbero avere effetti tossici.
Dobbiamo considerare che le stimolazioni ambientali influiscono sui geni con la formazione e mantenimento di terminazioni sinaptiche, si creano architetture mentali specifiche che spiegano anche in parte la necessità di ripetere nel tempo in quel lavoro quanto di gratificante si è ottenuto finora, circostanza che può portare a dipendenza lavorativa.
 
Sergio Sabetta
 
 
 
Bibliografia
 
G. Alpa, Come ragionano i giudici, in “Il Sole 24 Ore – Domenica, 35, 233, 24/8/2008;
C. Camerer, La neuroeconomia, Il Sole 24 Ore, Libri, 2008;
A. Lavazza, Testosterone a Wall Stree, in “Mente & Cervello”, 44 – 47, 44, VI, 2/2008;
E.R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed, 2006.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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