Per le ragioni che precedono,in applicazione del principio “actore non probante reus absolvitur” la domanda risarcitoria dell’attore deve essere respinta ed il convenuto deve essere dichiarata esente da responsabilità amministrativa

Lazzini Sonia 21/10/10
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In base all’art. 2697 ,I comma,del c.c, chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

La conseguenza pratica della applicazione di tale principio sul piano processuale è che “onus probandi incumbit ei qui dicit “ e “actore non probante reus absolvitur”.

Nell’ambito poi dei procedimenti finalizzati all’applicazione di una sanzione ovvero al riconoscimento di un diritto di natura risarcitoria è principio di civiltà giuridica,costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, quello in base al quale le lacune probatorie dell’attore non possono agire a suo favore ma al contrario giovano all’incolpato ovvero al soggetto chiamato a risarcire il danno secondo il noto principio: “..in dubio pro reo”.

Il secondo comma dell’art. 2697 del c.c. poi individua esattamente l’onere probatorio del convenuto precisando che :“..Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

La conseguenza pratica della applicazione di tale principio sul piano processuale è che “reus in excipiendo fit actor” : ossia sul convenuto ,in fase di eccezione ,grava lo stesso onere probatorio dell’attore in fase di azione con tutte le conseguenze processuali che ne derivano nell’ipotesi di lacune probatorie.

Applicando tali principi al giudizio di responsabilità amministrativa sul PM grava l’onere di provare:

· l’elemento oggettivo dell’illecito contabile (condotta,evento [rectius: danno patrimonialmente valutabile] e nesso di causalità;

· l’elemento soggettivo dell’illecito contabile (dolo o colpa grave).

Invece spetta al convenuto provare la fondatezza delle eccezioni fatte valere in giudizio (eccezione di difetto di giurisdizione,di incompetenza nullità o inammissibilità della citazione,prescrizione,compensatio lucri cum damno etc.).

Il mancato assolvimento dell’onere della prova comporta per la parte inadempiente la soccombenza processuale sul punto controverso e non provato.

 

 

A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 1783 del 2 agosto 2010 pronunciata dalla Corte dei Conti della Sicilia

Corte dei Conti – Banca dati delle Decisioni

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SEZIONE

ESITO

NUMERO

ANNO

MATERIA

PUBBLICAZIONE

SICILIA

Sentenza

1783

2010

Responsabilità

02-08-2010

REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana

composta dai Magistrati:

dott. *******************************************

dott. ****************** Consigliere relatore

dott. ************************************************

ha emesso la seguente :

SENTENZA 1783/2010

nel giudizio di responsabilità amministrativa,iscritto al numero 55366 del Registro di Segreteria,promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di Patti Sebastiano, rappresentato e difeso dall’avv. ************************* .

Uditi,alla pubblica udienza del 23-07-2010, il relatore Consigliere Dr. ******************, l’avv. **************, delegato dall’avv. **********************, ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Regionale dr. ******************* .

Esaminati gli atti e documenti di causa.

FATTO

Con nota prot. n. 50302/08 del 30/06/2008, il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania trasmetteva alla Procura Regionale presso questa Corte gli esiti degli accertamenti effettuati nei confronti di ****************, quale proprietario del motopesca «Beta» iscritto nei registri delle Navi minori dell’Ufficio locale di Pozzallo.

In data 17 giugno 2006, i militari appartenenti alla Sezione operativa navale della Guardia di Finanza di Catania, in servizio di vigilanza e tutela degli interessi economici e finanziari dello Stato e dell’Unione Europea, intercettavano il natante in questione, in zona vietata, a 72 miglia dalla costa, e lo sottoponevano ad ispezione.

La Guardia di Finanza rinveniva a bordo una rete da posta derivante del tipo « ferrettera » di lunghezza pari a metri 5.450, avente maglia di circa 160 mm, nonchè Kg. 2.000 circa di pesce « alalunga » (specialità di tonno).

Gli stessi militari, quindi, contestavano e notificavano all’odierno convenuto l’esercizio della pesca marittima in zona vietata, ai sensi dell’art.15, lett. a) e b) della legge 14 luglio 1965, n.963, e del decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 24 maggio 2006, nonchè l’utilizzo rete da posta del tipo « ferrettera » di lunghezza superiore a 2.500 metri, non consentita dal regolamento comunitario.

Dall’esame della documentazione acquisita dai verbalizzanti è emerso che il Patti Sebastiano aveva chiesto ed ottenuto l’indennità di buonuscita prevista, a favore degli armatori proprietari, dall’art. 3 del DM 23.05.1997, per l’importo di €. 107.733,83, nonchè l’indennità di riconversione ai componenti l’equipaggio per l’importo di €. 19.587,98, liquidato con fondi europei e statali, in relazione all’impegno assunto dal beneficiario delle indennità in questione di non esercitare la pesca marittima con le reti vietate dal regolamento comunitario.

A seguito dell’accertata violazione dell’obbligo di astenersi dalla pesca con le attrezzature non consentite dalla vigente normativa a partire dall’1.01.2002, il PM, con invito a dedurre datato 26 febbraio 2009, contestava all’odierno convenuto l’illecita percezione di contributi pubblici, con conseguente danno erariale imputabile alla condotta dolosa del titolare del motopesca.

Con memoria pervenuta il 7 aprile 2009, il Patti controdeduceva sostenendo l’assenza di illiceità della condotta contestata, nonchè l’inesistenza di dolo e colpa grave.

Successivamente, nell’atto di citazione, il PM ha affermato che il soggetto che presenta la richiesta di aiuti comunitari a sostegno di attività produttive, in sostanza, si inserisce, sia pure in forma occasionale e temporanea, quale elemento terminale del procedimento di gestione di fondi pubblici, finalizzati a sostegno di una specifica attività produttiva e, in questi termini, assume l’obbligo di realizzare gli obiettivi di interesse generale sottesi alla regolamentazione della Comunità europea.

A partire dalla sentenza n. 4511 del 1° marzo 2006 della Suprema Corte di Cassazione, la giurisprudenza contabile, con indirizzo oramai consolidato, ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del privato beneficiario di contributi pubblici nelle ipotesi di indebito percepimento delle risorse provenienti dal bilancio dello Stato o della Comunità.

In particolare, nella specifica materia degli interventi comunitari a favore di attività agricole e di allevamento, la più recente giurisprudenza della Corte dei conti (tra le altre, Sezione per la Regione siciliana n. 1144/2008) ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti nella fattispecie di illecita percezione di contributi comunitari.

In base ai principi fissati dalla giurisprudenza ormai consolidata, la giurisdizione contabile deve ritenersi sussistente, anche, per le ipotesi di illeciti finanziamenti erogati nel settore della pesca, attesa la identica funzione degli interventi pubblici e l’analoga finalità di interesse generale del regime delle incentivazioni nei rispettivi settori.

Nel caso in esame, l’aiuto comunitario deve considerarsi illecitamente richiesto ed indebitamente percepito, con conseguente danno complessivo per la politica comunitaria nel settore della pesca, in aggiunta al danno causato allo Stato in relazione all’obbligo di restituzione alla Comunità europea delle somme liquidate a fronte di qualsiasi frode o semplice irregolarità.

Nel merito, ad avviso del PM, sussisterebbero tutti gli elementi per la contestazione della responsabilità amministrativa nei confronti dell’odierno convenuto.

Infatti, il Nucleo di Polizia tributaria di Catania, al momento dell’ispezione eseguita in data 17 giugno 2006 a bordo del motopesca “Beta”, accertava la presenza di reti da posta derivate del tipo “ferrettara” di lunghezza superiore a metri 5000.

Peraltro, il natante veniva intercettato in zona vietata alla pesca, a distanza di 72 miglia dalla costa.

All’atto della contestazione, gli stessi militari della Guardia di Finanza rinvenivano a bordo Kg.2000 di tonno “alalunga”.

La posizione del motopesca oltre il limite consentito di dieci miglia dalla costa, la presenza a bordo della rete superiore a 2500 metri, oltre che il prodotto della pesca, sono stati considerati dai verbalizzanti elementi sufficienti per presumere la condotta illecita finalizzata all’utilizzo di sistemi di pesca vietati dalle vigenti disposizioni di legge.

Nel caso di specie, il PM ha rilevato che l’odierno convenuto aveva chiesto ed ottenuto l’indennità prevista a favore degli armatori dall’art.3 del DM 23.05.1997, nonché l’indennità di riconversione ai componenti l’equipaggio, liquidate rispettivamente per l’importo di €. 107.733,83 ed €. 19.587,98, in relazione all’impegno assunto di non esercitare la pesca marittima con mezzi e in zone vietate dal regolamento comunitario.

Contrariamente a quanto dedotto dal convenuto in sede di memoria difensiva presentata a seguito di invito a dedurre, ad avviso del PM, i fatti accertati dalla Guardia di Finanza costituiscono elementi presuntivi sufficienti a dimostrare l’esistenza di una attività di pesca effettuata con mezzi non consentiti dalla normativa comunitaria e statale ed esercitata dopo aver percepito gli indennizzi liquidati a fronte dell’impegno a non esercitare la pesca con attrezzature ritenute illegali dal regolamento comunitario.

Nella fattispecie, quindi, il PM ha contestato al convenuto di aver richiesto ed ottenuto le indennità previste per la cessazione dell’attività di pesca con mezzi non consentiti.

Gli importi percepiti a titolo di indennizzo per complessivi €.127.321,81 (107.733,83+19.587,98), costituirebbero danno erariale in quanto indebitamente liquidati e, come tali, sottratti alle finalità di interesse generale perseguite dalle norme comunitarie e statali nel settore della pesca a tutela del patrimonio ittico.

Per tali ragioni il PM ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento, in favore Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di €. 127.321,oltre interessi,rivalutazione monetaria e spese di giudizio in favore dello Stato.

Con memoria depositata il 18-06-2010,il convenuto ha fatto presente che :

  • ?        con il citato verbale della G. di F. viene contestato solo l’esercizio della pesca in zona vietata e non l’utilizzo di una rete vietata che, per altro (come anche risulta a pag. 4 e 5 dell’atto di citazione) è stata solo rinvenuta a bordo e non già calata in mare od in procinto di esserlo; sul punto la Corte di Cassazione ,con sentenza n. 2202/2003, emessa dalla sez. I ,ha affermato che “Integra la fattispecie prevista dall’art. 15 della legge n. 963 del 1965 l’attività di pesca allorché, pur senza la cattura di esemplari di specie marina, sia iniziata o sia in corso l’azione materiale diretta alla loro cattura, che si manifesta nel compimento di atti idonei e univoci diretti allo scopo indicato, da individuare con giudizio di fatto riservato al giudice di merito censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi motivazionali”;ed ancora “Non integra esercizio della pesca professionale con attrezzi vietati, neppure a livello di tentativo, e non giustifica, pertanto, l’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 15 della legge n. 963 del 1965, la mera collocazione, a bordo, delle reti vietate ove la barca non si sia neppure allontanata dal molo.”; in conseguenza,nella fattispecie ,manca qualunque illiceità della condotta;

  • ?        manca il dolo o la colpa grave in quanto le alalunghe rinvenute a bordo erano state catturate con l’uso di palangari come risulta dalle fatture di acquisto di esca per palangari , di data immediatamente antecedente alla contestazione di cui è causa, allegata alla memoria del 03-04-2009 prodotta in risposta alla contestazione preliminare di responsabilità;inoltre dette alalunghe non rientrano tra le specie di cui è vietata la pesca;nel giornale di bordo sono riportate le bordate n. 1 e n. 2 (del 13.5 – 20.5 – 27.5 – 3 2.6.2006) con cattura di tonno bianco , ossia alalunga, sempre mediante palangari;

  • ?        manca il nesso di causalità tra la condotta ed il danno;

  • ?        il D.M. del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 24-05-2006 (l’accertamento della G. di F. è del 17-06-2006) all’art. 1 ,nel richiamare il Reg. CEE del 1998, ha legittimato l’uso della ferrettara (rete da posta derivante differente dalla spadara di cui al piano comunitario di dismissione) e ,quindi, anche ammesso che la rete rinvenuta a bordo fosse stata utilizzata per la pesca comunque il suo utilizzo sarebbe stato legittimo..

Ciò premesso ha chiesto in subordine, nell’ipotesi di condanna , un ampio uso del potere riduttivo dell’addebito.

DIRITTO

In base all’art. 2697 ,I comma,del c.c, chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

La conseguenza pratica della applicazione di tale principio sul piano processuale è che “onus probandi incumbit ei qui dicit “ e “actore non probante reus absolvitur”.

Nell’ambito poi dei procedimenti finalizzati all’applicazione di una sanzione ovvero al riconoscimento di un diritto di natura risarcitoria è principio di civiltà giuridica,costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, quello in base al quale le lacune probatorie dell’attore non possono agire a suo favore ma al contrario giovano all’incolpato ovvero al soggetto chiamato a risarcire il danno secondo il noto principio : “..in dubio pro reo”.

Il secondo comma dell’art. 2697 del c.c. poi individua esattamente l’onere probatorio del convenuto precisando che :“..Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

La conseguenza pratica della applicazione di tale principio sul piano processuale è che “reus in excipiendo fit actor” : ossia sul convenuto ,in fase di eccezione ,grava lo stesso onere probatorio dell’attore in fase di azione con tutte le conseguenze processuali che ne derivano nell’ipotesi di lacune probatorie.

Applicando tali principi al giudizio di responsabilità amministrativa sul PM grava l’onere di provare:

  • ?        l’elemento oggettivo dell’illecito contabile (condotta,evento [rectius: danno patrimonialmente valutabile] e nesso di causalità;

  • ?        l’elemento soggettivo dell’illecito contabile (dolo o colpa grave).

Invece spetta al convenuto provare la fondatezza delle eccezioni fatte valere in giudizio (eccezione di difetto di giurisdizione,di incompetenza nullità o inammissibilità della citazione,prescrizione,compensatio lucri cum damno etc.).

Il mancato assolvimento dell’onere della prova comporta per la parte inadempiente la soccombenza processuale sul punto controverso e non provato.

Ciò posto occorre verificare,nella fattispecie oggetto del presente giudizio, se ed in quale misura le parti abbiano assolto l’onere probatorio gravante su di loro nei termini suindicati.

Ad avviso del Collegio, manca la prova della condotta illecita causativa dell’asserito danno.

Infatti l’art. 1 del D.M. del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 24-05-2006 stabilisce che “.A decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto, l’attrezzo «ferrettara» (definita quale rete da posta derivante ai sensi dell’art. 11 del regolamento (CE) 1239/98) puo’ essere impiegato nei limiti dell’abilitazione all’esercizio dell’attivita’ e comunque non oltre le 10 miglia dalla costa.

L’attrezzo di cui al precedente comma non puo’ essere di lunghezza superiore a 2,5 km e deve avere una maglia non superiore ai 180 mm di apertura”.

Nel caso di specie la G. di F. ha rinvenuto a bordo del citato motopesca una ferrettara di m. 5450 ( oltre il limite legale di 2.500 metri di cui al citato D.M. ) ed inoltre il motopesca si trovava a 72 miglia dalla costa (oltre il limite delle 10 miglia di cui al citato D.M.).

Tuttavia ,dal verbale della G. di F. non si evince in alcun modo che detta rete sia stata utilizzata in misura superiore a 2.500 metri o che la stessa sia stata utilizzata oltre il limite di 10 miglia dalla costa.

Sul punto si osserva infatti che la Corte di Cassazione ,con sentenza n. 2202/2003, emessa dalla sez. I ,ha affermato che “Integra la fattispecie prevista dall’art. 15 della legge n. 963 del 1965 l’attività di pesca allorché, pur senza la cattura di esemplari di specie marina, sia iniziata o sia in corso l’azione materiale diretta alla loro cattura, che si manifesta nel compimento di atti idonei e univoci diretti allo scopo indicato, da individuare con giudizio di fatto riservato al giudice di merito censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi motivazionali”;ed ancora “Non integra esercizio della pesca professionale con attrezzi vietati, neppure a livello di tentativo, e non giustifica, pertanto, l’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 15 della legge n. 963 del 1965, la mera collocazione, a bordo, delle reti vietate ove la barca non si sia neppure allontanata dal molo.”.

Per altro se si considera che la specie ittica rinvenuta a bordo (alalunghe) può essere catturata anche con l’uso del palangaro e che ,in sede di risposta alla contestazione preliminare di responsabilità, il convenuto ha prodotto due fatture di acquisto di esca per palangari , di data immediatamente antecedente alla contestazione di cui è causa, è ragionevole ritenere ,in mancanza di prova contraria , che le alalunghe siano state legittimamente catturate con il palangaro ; ciò appare ulteriormente avvalorato dalla circostanza che, nel giornale di bordo sono riportate le bordate n. 1 e n. 2 ( del 13.5 – 20.5 – 27.5 e 2.6.2006) con cattura di tonno bianco , ossia alalunga, sempre mediante palangari.

Per le ragioni che precedono,in applicazione del principio “actore non probante reus absolvitur” la domanda risarcitoria dell’attore deve essere respinta ed il convenuto deve essere dichiarata esente da responsabilità amministrativa.

Il proscioglimento nel merito comporta, ai sensi dell’art.10 bis, comma 10, legge n.248/2005, di conversione del D.L. n.203, che si debba procedere alla liquidazione delle spese del giudizio, ai fini del rimborso delle stesse da parte dell’amministrazione di appartenenza.

Alla liquidazione si procede in conformità alle tabelle A ( tavola V^) e B della vigente tariffa approvata con D.M. 8 aprile 2004 n.127. in base al valore della causa ed alla natura delle questioni trattate.

Si liquidano, pertanto € 4.000,00 per onorari e € 1.000,00 per diritti, oltre IVA e CPA .

Non si provvede a liquidare la quota per spese generali di cui all’art.14 del citato D.M. n.127 non avendo il difensore formulata apposita richiesta in conformità a prevalente indirizzo della Cassazione ( v.Cass. 23 maggio 2002, n.934; )

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana definitivamente pronunciando dichiara esente da responsabilità amministrativa il convenuto ****************.

Liquida per spese legali la somma di € 5.650,00 per onorari e € 1.390,00 per diritti, oltre IVA e CPA .

Così deciso nella Camera di Consiglio del 23-07-2010.

L’Estensore Il Presidente

F.to ********************************************************************

Depositata in segreteria nei modi di legge.

Palermo, 2 agosto 2010

Il Funzionario Amministrativo

F.to *******************************

SEZIONE

ESITO

NUMERO

ANNO

MATERIA

PUBBLICAZIONE

SICILIA

Sentenza

1783

2010

Responsabilità

02-08-2010

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