Per la riduzione dei tempi del processo l’OUA propone una seria ed efficace riforma dell’appello

Redazione 12/10/12
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Anna Costagliola

Per l’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA) appare necessario un confronto ampio sulla modernizzazione della macchina giudiziaria per rendere più efficienti e rapidi i nostri processi. In questa direzione annuncia per il tramite del suo Presidente, Maurizio de Tilla, che sottoporrà al Ministro della Giustizia una proposta di riforma dell’appello per contribuire a rendere più efficiente la nostra macchina giudiziaria, senza attaccare i diritti dei cittadini e l’accesso alla giustizia.

Sul tavolo del confronto sono l’estensione delle pratiche positive in tutti i Tribunali, l’implementazione dell’innovazione tecnologica (informatizzazione) e del processo telematico, la riorganizzazione degli uffici e dei tempi di lavoro, ma anche il potenziamento del personale e delle risorse per il settore. Ancora si chiede la riforma della magistratura non togata e lo snellimento delle procedure (senza intaccare il diritto di difesa), una più razionale revisione della geografia giudiziaria, nonché la modifica, più volte sollecitata dalla stessa Avvocatura, dell’attuale sistema di media-conciliazione, ora obbligatoria, ma che deve essere resa facoltativa e di qualità.

Accanto ai temi indicati, l’OUA preme, soprattutto, per una riforma dell’istituto del cd. «filtro in appello», introdotto con il cd. «Crescitalia» (D.L. 83/2012, conv. in L. 134/2012), trattandosi di una previsione «autoritaria» e palesemente inutile in relazione all’obiettivo che si propone di perseguire, vale a dire la riduzione dei tempi del contenzioso. È indubitabile, per l’OUA, che un intervento sul processo di appello fosse necessario ed ineludibile, tenuto conto che la durata media (7-8 anni) del gravame si sta rivelando negli ultimi anni il principale collo di bottiglia che ritarda la definizione dei giudizi civili, esponendo il Paese alle frequenti condanne per violazione della Legge Pinto, che, a seguito dell’ultimo rimaneggiamento, contenuto nello stesso decreto «Crescitalia», ha codificato in due anni la durata massima del secondo grado di giudizio. Tuttavia, entrambe le disposizioni modificate dal legislatore comportano gravi difficoltà interpretative e applicative e incontrano un dissenso generalizzato, non soltanto da parte del ceto forense, ma anche dalla massima parte dei processualisti italiani.

Tanto premesso, l’OUA suggerisce come, senza alterare gli equilibri processuali e le garanzie dei cittadini, la più agevole soluzione per una reale riduzione dei tempi di svolgimento del giudizio di appello, soprattutto se accompagnata da un serio (e adeguatamente sostenuto sul piano finanziario) programma di smaltimento dell’arretrato, sia quella di anticipare alla prima ed unica udienza di trattazione non tanto l’esame di ammissibilità dell’appello sotto il profilo della sua probabilità di accoglimento (che altro non è che manifesta infondatezza), quanto piuttosto la decisione nel merito sotto il profilo della fondatezza o meno dell’appello.

Se al giudice di appello il legislatore ha chiesto il sacrificio di esaminare approfonditamente il gravame al fine di delibarne l’ammissibilità ex art. 348bis c.p.c. (esame che, nella sostanza, finisce per essere esame di merito), non si vede la ragione per cui tale esame non possa condurre alla definitiva decisione della sentenza con l’emanazione di una sentenza di merito. In quest’ottica, prima della decisione, il giudice assegna alle parti costituite un termine di trenta giorni per il deposito di memorie e ulteriori venti giorni per eventuali repliche. Ciò anche in considerazione del fatto che sin dalla costituzione delle parti in giudizio il thema decidendum è definitivamente delineato e, fatte salve rare e residuali ipotesi di svolgimento di attività istruttorie in secondo grado, non è richiesta nessuna ulteriore attività difensiva, salve quelle che possano derivare dall’eventuale proposizione di impugnazioni incidentali.

A ben guardare, sottolinea l’OUA, l’unica differenza fra i due tipi di decisione, dando per scontate la serietà e la profondità dell’esame richiesto per l’emanazione dell’ordinanza ex art. 348bis, attiene alla motivazione, che soltanto per l’ordinanza potrà essere succinta, mentre la sentenza dovrà rispettare i canoni generali di cui all’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c.

La sentenza così emessa sarebbe soggetta al normale rimedio del ricorso per cassazione.

L’impostazione seguita dall’OUA suggerisce, conseguentemente, la modifica dell’art. 350 c.p.c., prevedendosi che il giudice di appello inviti le parti a precisare le conclusioni al termine della prima udienza di trattazione, senza ulteriori inutili differimenti, con la concessione di termini per il deposito di memorie e repliche, salva sempre l’ipotesi, del tutto residuale, di richiesta di una delle parti di discutere oralmente la causa (art. 352, co. 2, c.p.c.). Tale modifica renderebbe del tutto inutili le novelle introdotte con il decreto «Crescitalia» (art. 342 e art. 348bis c.p.c.), che dovrebbero essere pertanto abrogate.

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