Per la Cassazione, integra reato la detenzione di temporary internet files pedopornografici

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Dott.ssa Tania Terranova e Dott. Salvatore De Natale

Sommario: 1. Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione: introduzione; 2. La fattispecie di “Detenzione di materiale pornografico” ex art. 600 quater c.p.: la ratio dell’incriminazione; 2.1 Bene giuridico tutelato; 2.2 Il fatto tipico e le condotte; 3. Le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione: il dolo qualificato e l’inconsapevolezza della detenzione; 4. Conclusioni e problematiche irrisolte.

Abstract: This contribution analyzes judgment no. 20890 of 11 January 2017 of the Court of Cassation. The decision focuses the new information technologies and offers an examination of the typical conducts related to the phenomenon of child pornography with particular regard to the detention of so-called temporary internet files.

Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione: introduzione

La questione oggetto del presente contributo è la sentenza n. 20890 dell’11 gennaio 2017 con cui la Corte di Cassazione ha statuito che la detenzione di materiale pornografico infantile allocato nella cache memory del personal computer è reato[1].

La questione affrontata inerisce all’applicazione dell’art. 600 quater c.p., disciplinante la detenzione di materiale pedopornografico, al rinvenimento dei c.d. temporary internet files. In altri termini, la sentenza in esame si sostanzia nel determinare la responsabilità dell’osservatore/detentore ovvero nello stabilire la non punibilità della condotta dell’agente riconducibile alla mera consultazione di dati illeciti.

I Giudici di legittimità, nell’esaminare il concetto di “detenzione” di materiale pedopornografico, affrontano la questione dei files temporanei di Internet, i quali, com’è noto, si salvano automaticamente nel computer durante la navigazione sul Web.

Rigettando il ricorso, la Suprema Corte ha affermato l’infondatezza delle pretese difensive, precisando che il delitto previsto dall’art. 600 quater c.p. si configura anche mediante il «rinvenimento di files pedopornografici salvati o, comunque rinvenuti nella memoria fissa del computer del detentore perché non immediatamente cancellati e, quindi, consapevolmente conservati, ancorché vengono o possano essere eliminati successivamente sia dallo stesso utilizzatore, che automaticamente»[2].

In particolare, secondo gli Ermellini, l’elemento oggettivo del reato de quo si individua nelle condotte del “procurarsi”, le quali implicano un’attività di procacciamento del materiale, e nel “detenere”, le quali consistono nel rapporto continuo tra il detentore e il materiale illecito nonostante quest’ultimo ne possa disporre per un tempo non necessariamente durevole.

L’elemento soggettivo, invece, è costituito dal dolo diretto consistente nella consapevolezza di procurarsi o detenere materiale pornografico infantile.

La Corte di Cassazione, inoltre, rileva che la tipologia di detenzione costituita dalla disponibilità dei temporary internet files allocati nella memoria cache consente all’utente di prendere visione di immagini vietate e di scaricarle automaticamente attraverso i sistemi di salvataggio telematici.

Nello specifico, i comandi informatici dei personal computer salvano, per un arco di tempo apprezzabile, alcune rappresentazioni grafiche nella cartella dei temporary internet files, risultando, così, detenuti dall’utilizzatore, il quale potrà discolparsene soltanto provando l’inconsapevolezza dell’esistenza dei files acquisiti.

Nel caso di specie, il dolo rafforzato richiesto dalla norma risulta integrato dall’ammissione del ricorrente circa la consapevolezza dell’allocazione, nella cartella cache, dei files temporanei a contenuto pornografico infantile acquisiti durante la navigazione.

Dunque, a parere della Suprema Corte, il ricorrente si era volutamente astenuto dalla loro eliminazione dall’hard disk del computer e, pertanto, poteva ritenersi integrata, a tutti gli effetti, la fattispecie prevista dall’art. 600 quater c.p.

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La fattispecie di “Detenzione di materiale pornografico” ex art. 600 quater c.p.: la ratio dell’incriminazione

Prima di esaminare le conclusioni della sentenza in oggetto, occorre delineare i contorni della fattispecie di detenzione di materiale pornografico infantile introdotta nel Codice Penale nel 1998.

L’articolo 600 quater c.p., rubricato «Detenzione di materiale pornografico», è stato introdotto dalla L. n. 269/1998[3] per punire chi consapevolmente si procuri o detenga materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto[4].

La fattispecie, diretta alla punizione di condotte che fino a quel momento erano considerate immorali e disdicevoli, non mira a sanzionare il “vizio” dell’osservatore pedofilo, bensì mira a reprimere il comportamento dei c.d. consumatori finali che acquisendo, a titolo oneroso o gratuito, i contenuti illeciti contribuiscono ad incrementare il mercato della pedopornografia (c.d. market deterrence theory).[5]

Appare evidente come l’intento del legislatore sia stato quello di punire la mera detenzione di materiale pornografico infantile introducendo una norma di chiusura.

Tale delitto, infatti, colpisce fatti inopportuni e immorali in ragione della modalità di “sfruttamento” del soggetto debole sulla quale fa perno la norma: l’utilizzo dei minori di anni diciotto.

L’espressione citata, infatti, è da intendersi nel senso di strumentalizzazione pornografica dei minori e rende tipiche tutte quelle condotte dirette allo sfruttamento e alla reificazione a merce sessuale del fanciullo[6].

La logica è la medesima del delitto di pornografia minorile, ove il legislatore rivela particolare attenzione alla potenzialità lesiva di quei comportamenti prodromici e successivi che mettono a repentaglio l’intangibilità della sfera psicosessuale del minore.

Il fenomeno della pedopornografia è ostacolato e combattuto punendo anche la mera detenzione, quale ultima tappa inserita nell’attività di sfruttamento del minore che ne sta a monte[7].

Il legislatore del 2006, mediante la sostituzione del termine “sfruttamento” dei minori con l’espressione “utilizzazione”, sia nell’art. 600 ter c.p. sia nell’art. 600 quater c.p., ha voluto armonizzare il sistema di repressione della pedopornografia richiamando la nozione di “sfruttamento” data dalle Sezioni Unite del 2000, secondo le quali «sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sè: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata»[8].

Tuttavia, nonostante il Legislatore abbia adeguato il quadro previgente alle nuove forme ed espressioni del fenomeno della pedofilia anche per mezzo dell’utilizzo dei moderni strumenti telematici[9], non ha inserito nessun riferimento al requisito del “pericolo di diffusione del materiale prodotto” che, fino a quel momento, fungeva da guida per gli interpreti[10].

A tal proposito, il contrasto giurisprudenziale[11] in ordine a tale ultimo requisito è stato risolto da una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Secondo la Suprema Corte, il pericolo di diffusione del materiale pedopornografico prodotto si presenta ormai anacronistico a causa dell’influenza delle nuove tecnologie di comunicazione e del normale uso generalizzato del collegamento alla rete internet [12]. Ad oggi, la disponibilità delle nuove forme di comunicazione non rappresenta un quid pluris da verificare caso per caso[13]. Pertanto, ne deriva la ricostruzione delle fattispecie in oggetto in termini di illecito di danno poiché qualsiasi produzione di materiale pedopornografico è potenzialmente diffusiva[14].

Come già osservato, il delitto di detenzione di materiale pornografico infantile ha l’evidente scopo di “chiudere” il sistema in modo che siano sanzionate tutte le aggressioni al libero e corretto sviluppo psicofisico e sessuale del minore.

La disposizione de quo, infatti, ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della pornografia minorile.

Il conflitto apparente di norme è regolato dalla clausola di riserva «al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter», la quale postula, in realtà, che il soggetto attivo del delitto non sia coinvolto nelle condotte previste e punite dall’art. 600 ter c.p. poiché entrambe le fattispecie si riferiscono al materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto[15]. In particolare, il primo delitto sanziona la detenzione e il procacciamento dei contenuti illeciti mentre la seconda fattispecie punisce severamente una serie di condotte dirette alla produzione e divulgazione della pornografia infantile[16].

Ciò premesso, nonostante i due reati si riferiscano al medesimo oggetto materiale ed utilizzino il riferimento della strumentazione dei minori infradiciottenni per la realizzazione di contenuti illeciti, il produttore risponderà della più grave fattispecie dell’art. 600 ter c.p., mentre la meno grave fattispecie dell’art. 600 quater c.p. troverà spazio solo per i soggetti diversi dal produttore[17].

L’autore del reato di cui all’art. 600 ter c.p., difatti, nonostante sia trovato in possesso di contenuti pedopornografici, non risponderà a titolo di detenzione ex art. 600 quater c.p. poiché tale ultima fattispecie, in questo caso, opera quale post factum non punibile[18].

Bene giuridico tutelato

Quanto al bene giuridico protetto, le disposizioni del Capo III, Titolo XII, Sezione I, artt. Da 600 bis a 600 septies c.p., prevedendo delitti che offendono la personalità individuale, sono stati inseriti con il fine primario di tutelare le fasce deboli contro ogni forma di strumentalizzazione, sfruttamento e violenze[19].

Nonostante tale collocazione sia stata criticata, trattandosi di fattispecie che non richiedono la riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), parte della dottrina ritiene, invece, che le nuove ipotesi delittuose riflettano i documenti internazionali di riferimento[20]. Lo sfruttamento sessuale dei minori si identifica in una «forma si schiavitù contemporanea, dove il minore subisce una reificazione ed una mercificazione che ne annullano la personalità»[21].

In particolare, il legislatore, a salvaguardia dello sviluppo psico-sessuale, spirituale, morale e sociale dei minori, ha reso penalmente rilevanti tutte quelle condotte connesse alla produzione e all’utilizzo di materiale pornografico infantile[22].

Tuttavia, nel caso in esame, il minore subisce un’offesa indiretta all’integrità psico-sessuale giacché pregiudicata già a monte dalle condotte previste all’art. 600 ter c.p.

Il risultato che il Legislatore ha voluto raggiungere è quello di una tutela “rafforzata” diretta alla previsione della punibilità di condotte che da un lato sono prodromiche alla realizzazione di contenuti illeciti, ossia l’adescamento o lo sfruttamento sessuale del fanciullo, e dall’altro sono successive alla strumentalizzazione del soggetto debole: il materiale pedopornografico è già stato realizzato e divulgato.

2.2.  Il fatto tipico e le condotte

Prima di esaminare le differenti condotte disciplinate dalla norma in esame, è bene definire il concetto stesso di “pornografia minorile”[23].

Con la Legge 172/2012 di ratifica della Convenzione di Lanzatore del 2007 del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento ed abusi sessuali[24]è stata introdotta una definizione normativa di “pornografia minorile”. L’art. 600 ter, settimo comma, c.p., ad oggi, recita «Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali».

Pertanto, il materiale illecito cui fa riferimento l’art. 600 quater c.p.[25], per definizione, consiste in supporti grafici, elettronici o visivi che incorporano esibizioni pedopornografiche consentendone la visione o l’ascolto a chi li detenga[26]. Sul punto, la Corte di Cassazione ha precisato che si considera materiale illecito anche la rappresentazione «[…] che ritrae o rappresenta visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica»[27].

Come detto in precedenza, con l’introduzione dell’art. 600 quater c.p., il legislatore ha cercato di arginare tutte quelle condotte che rappresentino l’esito finale della catena di produzione del materiale pedopornografico[28] ancorché dirette al solo consumo domestico e privato[29].

Per quanto attiene alle condotte previste dall’art. 600 quater c.p., il fatto tipico può consistere alternativamente nel “procurarsi” o nel “detenere” materiale pedopornografico realizzato utilizzando minori dei diciotto anni[30].

L’attuale concetto di “detenzione” implica un rapporto diretto con la res, ma anche la materiale disponibilità ottenuta mediante le nuove tecnologie informatiche: download e filesharing[31].

Condotte di mera visione, sia attraverso la consultazione online sia mediante visione di materiale altrui[32], non sono penalmente rilevanti[33]. Chi prende visione di contenuti pedopornografici a casa di un amico non può essere punito in quanto non dispone, né si procura tale materiale, ma si limita ad osservare secondo modalità stabilite da altri.[34]

Alcuni arresti della Suprema Corte, trattando la problematica in esame, hanno escluso dal piano penale la mera consultazione dei siti per pedofili purché non vi sia registrazione di dati su disco[35] o fra i siti Web preferiti[36], download dei files sul proprio PC o trasferimento del materiale su supporti esterni[37].

In particolare, si è precisato che il reato di detenzione di materiale pornografico minorile risulti configurato anche nell’ipotesi di accessi ai siti pedofili accompagnati da una gestione del proprio computer finalizzata all’eliminazione di qualunque traccia degli accessi stessi[38].

Inoltre, la detenzione va intesa anche come “contatto o vicinanza” del reo con il materiale illecito, ossia che egli lo detenga indosso o presso di sè ecc… oppure “a distanza” con la possibilità di averne un contatto fisico (ad es. detenendolo nella casa delle vacanze)[39].

In definitiva, la condotta del “detenere” include, quindi, ogni forma di disponibilità, possesso di fatto o virtuale di rappresentazioni a carattere pedopornografico.

L’espressione “procurarsi”, invece, si riferisce ad ogni attività che consenti all’agente di entrare in possesso del materiale pornografico, ossia il procacciamento[40] dei contenuti illeciti[41] mediante acquisto, noleggio e programmi di file sharing [42].

Nello specifico, è una condotta permanente volta a punire l’iniziativa stessa della ricerca del materiale illecito[43] e, pertanto, la sua esecuzione avrebbe inizio con la condotta del mero procacciamento per poi continuare per il tutto il periodo in cui permane, in capo al soggetto agente, la disponibilità materiale dei contenuti illeciti[44].

A tal riguardo, secondo parte della dottrina, l’inserimento della condotta del “procurarsi” risiederebbe nella possibilità di reprimere anche il semplice tentativo che non sarebbe altrimenti possibile a livello di “tentativo di detenzione”.

Si rileva, inoltre, che quanto al concorso delle condotte analizzate, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il “procurarsi” e il “detenere” non integrano due reati distinti, nel caso in cui riguardino lo stesso materiale, giacché rappresentano due diverse condotte di un medesimo fatto tipico. Nei casi, invece, in cui il materiale pedopornografico sia stato procurato in momenti diversi e, in seguito, detenuto, potrà applicarsi l’istituto della continuazione tra i reati ex art. 81 c.p.[45].

Le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione: il dolo qualificato e l’inconsapevolezza della detenzione.

La sentenza che si annota ha condotto un’analisi circa la consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico dal punto di vista informatico – giuridico.

La Corte, soffermando l’attenzione sull’elemento soggettivo del reato, ha precisato che tale fattispecie richiede il dolo rafforzato, ossia che la condotta sia sostenuta da un dolo qualificato indicato dall’avverbio “consapevolmente”.

Ciò posto, non può non convenirsi con chi afferma che tale avverbio tenda ad escludere la punibilità a titolo di dolo eventuale, restringendo il campo solo alla condotta sorretta da dolo intenzionale e dolo diretto[46].

Ne deriva che, ai fini dell’integrazione del reato, colui il quale detiene materiale pornografico infantile deve avere piena contezza della disponibilità del materiale stesso.

Nel caso di specie, nonostante la Corte abbia precisato che alcuni dati si collochino inconsapevolmente e per un ristretto intervallo di tempo nella cartella cache come files temporanei, l’infondatezza delle pretese dell’imputato deriverebbe, pertanto, dalla mancata e immediata cancellazione dei suddetti dati illeciti dalla cartella in questione.

È ovvio che il solo accesso a determinati siti Web – al fine di consultarli e prenderne visione – sia in grado di determinare il salvataggio di dati nel disco fisso del computer dell’utente perché i files temporanei di Internet si inseriscono in un’area del sistema che permette di velocizzare l’esecuzione dei programmi e l’accesso a siti Web che si prevede debbano essere utilizzati nel breve periodo[47].

Ciò posto, la questione primaria si riferisce alla valutazione del grado di consapevolezza e di esperienza informatica che l’utente possiede. Di conseguenza, qualora l’utente non possedesse una media dimestichezza con i sistemi informatici, non avrebbe contezza della cache memory dei files temporanei di internet.

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata rigettando il ricorso dell’imputato poiché infondato. Il ricorrente, ben consapevole dell’allocazione dei files sull’hard disk del computer, ha confessato «di aver acquisito le immagini pedopornografiche durante la navigazione ed ha quindi ammesso che le stesse si trovavano nella cartella “temporary internet files” sia pure per effetto di una memorizzazione automatica di essi sul disco rigido del computer, al solo fine di accelerare, a suo dire, il processo di caricamento dei siti web visitati»[48]. Inoltre, aggiunge la Suprema Corte, «il ricorrente si era comunque volutamente astenuto, sebbene consapevole della allocazione dei files sull’hard disk del computer, dall’eliminarli, con la conseguenza che non può ritenersi illogica la deduzione dei giudici del merito, i quali hanno stabilito che i files erano a tutti gli effetti detenuti dal ricorrente, tanto è vero che, al momento dell’accertamento del fatto, detti files si trovavano ancora nel suo computer»[49].

In altri termini, l’espressione “detenere” contenuto nell’art. 600 quater c.p. è stata interpretata nel senso più ampio di “disponibilità” dei files pornografici minorili. Conseguentemente, la contezza della cache memory e la mancata cancellazione definitiva dei files temporanei di Internet consentirebbero all’utente – osservatore di rimanere sempre nella disponibilità del materiale illecito.

Conclusioni e problematiche irrisolte

In conclusione, la Suprema Corte, ampliando la portata dei precedenti giurisprudenziali citati, ha rilevato come la presenza dell’elemento soggettivo dell’art. 600 quater c.p. possa desumersi anche da una condotta omissiva, ossia l’astensione dall’eliminazione definitiva dei files allocati nella cache memory per opera di semplici visite su siti Web pedofili.

Ne deriva che soltanto la cancellazione definitiva dei files predetti e l’inconsapevolezza della detenzione potrebbe esonerare il soggetto da responsabilità penale.

Tuttavia, a tal riguardo si individuano diverse problematiche.

La prima questione riguarda la possibile elusione della rilevanza penale della condotta ex art. 600 quater c.p. mediante la successiva eliminazione definitiva dei files illeciti [50] e la seconda problematica, invece, si riferisce alla prova della consapevolezza dell’agente circa l’allocazione automatica dei files illeciti nella cache memory del personal computer.

Circa la possibile elusione della normativa, la Cassazione, fugando ogni dubbio, ha già statuito che la cancellazione dei file illeciti «determina la cessazione della permanenza del reato e non, invece, un’elisione ex tunc della rilevanza penale della condotta per il periodo antecedente alla eliminazione dei files sino a quel momento detenuti»[51].

Quanto alla prova della consapevolezza dell’agente, va precisato che determinare il discrimen tra la mera condotta di consultazione di siti e la condotta di detenzione dei c.d. “temporary internet files” di materiale pedopornografico non è di facile individuazione [52].

Sentenze risalenti sul punto seguono orientamenti contrastanti: alcune Corti hanno confermato pronunce assolutorie di merito sulla base della involontaria memorizzazione di dati nella cache memory[53] mentre diversi orientamenti hanno evidenziato la rilevanza penale della detenzione dei files temporanei di Internet giacché «potevano essere in qualsiasi momento richiamati in visione, anche da parte di un utente non particolarmente esperto»[54].

Richiamando la risalente giurisprudenza consolidata sul punto, il possesso di materiale pedopornografico dovrebbe rilevare come detenzione punibile soltanto qualora i dati illeciti siano stati trasferiti su supporti permanenti e siano stati consapevolmente detenuti dall’agente[55].

Per contro, non potrebbero ritenersi penalmente rilevanti i contenuti automaticamente allocati nella cache memory in seguito alla mera consultazione di siti Web.

Ciò posto, tutte le decisioni che desumono la consapevolezza della detenzione dalla mera presenza di files temporanei di natura pedopornografica dovrebbero essere censurate.

Invero, secondo parte della dottrina, la presunzione della detenzione dell’agente costituirebbe di per sé una forzatura in grado di comportare la reviviscenza di una responsabilità di tipo oggettiva[56]. Tuttavia, la sentenza in commento mostra come la giurisprudenza, confrontandosi con l’interazione delle nuove tecnologie sul nostro modus vivendi, stia cercando di arginare la progressione di tutte le condotte di sfruttamento sessuale minorile, tentando di sopperire anche ai diversi deficit di tipizzazione delle norme penali che si manifestano, inevitabilmente, con l’avvento dei progressi tecnologici.

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 Note

[1] La decisione della Corte di Cassazione segue al ricorso presentato dall’imputato avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova emessa in data 7 luglio 2015, la quale aveva confermato la pronuncia di condanna emessa dal Giudice dell’udienza preliminare presso il locale Tribunale per il delitto di cui all’art. 600 quater, 1° co. c.p. in quanto l’imputato si sarebbe procurato e avrebbe detenuto consapevolmente materiale pornografico realizzato da altri utilizzando minori: Cass. Pen. sez. III, 11 gennaio 2017 (dep. 3 maggio 2017), n. 20890, in DeJure

[2] Cass. sez. III, 11 gennaio 2017, cit.

[3] L’articolo 600 quater c.p. è stato inserito dall’art. 4 L. 3 agosto 1998, n. 269 recante «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù» (c.d. legge sulla pedofilia pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998) e, successivamente, modificato dall’art.3 L. 6 febbraio 2006 che ha sostituito il verbo “dispone” con il termine “detiene”.

[4] Le norme in materia di sfruttamento sessuale sono state emanate in esecuzione agli accordi raggiunti su base internazionale: Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo N.Y. del 1989  ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176 e Conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali del 1996.

[5] La giustizia penale minorile. Formazione, devianza, diritto e processo, a cura di A. Pennisi, Milano, 2012, 274 e ss.

[6] F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale I. Delitti contro la persona, ed. VII, Padova, 2019, 546 ss.

[7] S. MARANI, P. FRANCESCHETTI, I reati in materia sessuale, Torino, 2006, 226 ss.

[8] Cass. Pen., Sez. U, sent. n. 13 del 31/05/2000, in De jure.

[9] Camera dei deputati – disegno di legge n. 4599, Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo INTERNET, presentato il 13 gennaio 2004, in legxiv.camera.it

[10] R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Torino, 2019, 402 ss.

[11] I precedenti orientamenti giurisprudenziali, ai fini dell’integrazione del reato ex art. 600 ter c.p., richiedevano l’accertamento del pericolo di diffusione del materiale prodotto: Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 13 del 5 luglio 2000 (orientamento confermato anche dopo la modifica normativa del 2006). In senso contrario e minoritario, Cass., pen., Sez. III, sent. n. 16340 del 12 marzo 2015.

[12] Cass. Pen., Sez.Un., sent. n. 51815 del 31 maggio 2018, in De Jure.

[13] R.GIOVAGNOLI, op.cit., 408 ss.

[14] R. GIOVAGNOLI, op.cit., 408 ss.

[15] Secondo la Cassazione «Devono escludersi dal novero dei soggetti attivi del reato di cui all’articolo 600-quater c.p. coloro che hanno prodotto il materiale pedopornografico, in relazione ai quali la detenzione costituisce un post factum non punibile. Il rapporto tra il reato di pornografia minorile e quello d detenzione di materiale pornografico è regolato infatti dalla espressa clausola di riserva di cui all’articolo 600-quater, comma 1, c.p., la quale risolve il conflitto apparente di norme in favore dell’applicazione della fattispecie più grave»: Cass. Pen., Sez., III, sent. n. 1814 del 14 gennaio 2008, in Codice pen. com., sub. art. 600 quater c.p., a cura di L. Tramontano, Padova, 2020, 2544.

[16] S. SCOTTI, G. SIMEONE, A. SPINA, L’evoluzione del reato di pornografia minorile, Luglio 19, 2019, in Iusitinere

[17] R. GIOVAGNOLI, op.cit., 412-413.

[18] E. MENGONI, Delitti sessuali e pedofilia, Milano, 2008, 291; Cass. Pen., Sez., III, sent. n. 1814 cit.

[19] Art. 1, L. 3 agosto 1998, n. 269, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998

[20] S. FARINI, M. ANNETTA, V. VENTURA, R. ROSSI, I delitti contro la libertà sessuale: Aggiornato al d.lgs. 4 marzo 2014, n. 39, Torino, 2014, 22.

[21] S. FARINI, M. ANNETTA, V. VENTURA, R. ROSSI, op.cit., 23.

[22] C. MARINO, Pornografia minorile e irrilevanza penale della cessione di selfie pedo-pornografici, in Dir. e gius. min., 2018, 36 ss.

[23] Prima dell’introduzione di una definizione espressa, una parte della dottrina identificava il concetto di pedopornografia in maniera corrispondente alla concezione di “oscenità”. Vedi, S.MARANI – P. FRANCESCHETTI, op.cit.,193-194

[24] Dopo varie tesi in dottrina e giurisprudenza, tale concetto è stato introdotto dall’art. 4, 1° co, lett. h), n. 2), L. 1 ottobre 2012, n. 172 con il fine di recepire quanto previsto dall’art. 20, comma 2, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale, adottata dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 luglio 2007 ed aperta alla firma il 25 ottobre 2007 a Lanzarote (nota come Convenzione di Lanzarote).

[25] Il materiale pornografico minorile deve essere, poi, distinto dal materiale pedopornografico di tipo virtuale, definito dall’art. 600 quater1 c.p. trattandosi, in quest’ultimo caso, di «immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associata in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».

[26] F. MANTOVANI, op.cit.,  516.

[27] Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 10981 del 4 marzo 2010, in DeJure. Un’ulteriore descrizione del concetto in questione si desume dalla Decisone – quadro n. 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione Europea del 22 dicembre 2003 che definisce all’art. 1 lett. b) il concetto di pornografia infantile come «[…] materiale pornografico che ritrae o rappresenta  visivamente: i) un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o dell’area pubica; o ii) una persona reale che sembra essere un bambino implicata o coinvolta nella suddetta condotta di cui al punto i); o iii) immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta».

[28] M. BIANCHI, I confini della repressione penale della pornografia minorile, Torino, 2019, 93 e ss.; S.D. MESSINA, S. MESSINA, G. SPINNATO, Diritto penale: manuale breve, Milano, 2010, 559 e ss.

[29] D. PULITANÒ, Diritto penale: Parte speciale. Vol.1, Torino, 2014, 342 ss.

[30] L’art. 600 quater c.p. è stato modificato dall’art. 3, L. 6 febbraio 2006 n. 38. Prima di tale modifica, il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a euro 1.549».

[31] Sul punto, occorre segnalare l’importanza del discrimen tra la disponibilità materiale e quella virtuale dei contenuti incriminati. La prima condotta, infatti, implica l’incorporazione o il trasferimento su un supporto informatico mentre la disponibilità virtuale consiste nell’utilizzo di programmi di file sharing o di download dal Web che permettono di “scaricare” i contenuti illeciti e  memorizzarli nel personal computer. F. MANTOVANI, op. cit., 569; G. COCCO, Può costituire reato la detenzione di materiale pornografico minorile?, in Riv. it. dir. proc. pen., Milano, 2006, 863.

[32] A. CADOPPI, Commento art. 600-quater c.p., Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, 4a ed., Padova, 2006, 233.

[33] D. PULITANÒ, op.cit., p. 343.

[34] Cybercrime, a cura di A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Milano, 2019, 520.

[35] Cass.,pen. sez. III, sent. n. 39282, 21 settembre 2005, in DeJure

[36] Cass., pen. sez. III, sent. n. 5143, 29 novembre 2012, in DeJure

[37] Cass.pen. sez. III, sent. n. 43189, 09 ottobre 2008, in DeJure

[38] Trib. Reggio Emilia 10 ottobre 2006 in S. DELSIGNORE, La detenzione di materiale pedopornografico e le problematiche del web: i reati dell’art. 600-quater c.p., op.cit., 518 e ss.

[39] F. MANTOVANI, op. cit., 568.

[40] Si evidenzia che il termine “procacciamento” consiste nell’attività di ricerca e di acquisizione del materiale pedofilo e, pertanto, presuppone la consapevolezza del soggetto agente sull’azione di iniziativa della condotta. F. MANTOVANI, op. cit., 522

[41] P. PITTARO, Le norme contro la pedofilia. Le norme di diritto penale sostanziale, in Dir. Pen. Proc., 1998, 1227

[42] F. MANTOVANI, op.cit.  569.

[43] V., nello stesso senso, Cass. sez. III, 21 aprile 2010, n. 22043, in DeJure; Cass. sez. III, 26 giugno 2012, n. 36024, in www.dirittoegiustizia.it

[44] S. DELSIGNORE, La detenzione di materiale pedopornografico e le problematiche del web: i reati dell’art. 600-quater c.p., op.cit., 518.

[45]  Cass., sez. III, 25 maggio 2017, n. 38221, in CED Cass. pen. 2017; Nel caso di specie era stata contestata la detenzione di immagini procurate con accesso ad Internet, ed altre ottenute con diversi sistemi.

[46] D. PULITANÒ, op.cit.,  343.

[47] A. Trinci, La rilevanza penale della detenzione di file temporanei di natura pedopornografica, 8 settembre 2016, in Il penalista

[48] Cass. sez. III, 11 gennaio 2017, cit.

[49] Cass. sez. III, 11 gennaio 2017, cit. Si evidenzia che l’eliminazione dei files dal personal computer deve essere definitiva. Sul punto, i Giudici di legittimità hanno ritenuto integrato il reato di detenzione di materiale pedopornografico anche quando i files siano stati allocati nel “cestino” del sistema operativo, in quanto rimangono comunque nella disponibilità dell’utente mediante la semplice riattivazione dell’accesso ai dati: Cass. sez. III, 17 maggio 2017, n. 39458, in www.dirittoegiustizia.it

[50] P. POLIFEMO, Reati di adescamento e di pornografia in danno di minori commessi con il WEB e fattispecie connesse, Incontro di formazione del 10 febbraio 2016. Corte di appello di Roma – Aula Europa, in www.giustizia.lazio.it

[51] Cass. sez. III, ud. 7 aprile 2016 dep. 8 marzo 2017, n. 11044, in DeJure

[52] A. TRINCI, La rilevanza penale della detenzione di file temporanei di natura pedopornografica, 8 settembre 2016, in Il penalista, p. 4

[53] Cass. sez. III, 16 ottobre 2008, n. 3194 in www.iusexplorer.it: i Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica contro una decisione di non luogo a procedere emessa all’esito di un’udienza preliminare in quanto «l’imputato non aveva compiuto alcuna attività di archiviazione di materiale pedopornografico. Era stata, infatti, rilevata solo la presenza di un collegamento ad una pagina verosimilmente pedopornografica. Era stato inoltre accertato che la detenzione dell’immagine era sicuramente involontaria dato che si trovava nella cache (download involontario durante la navigazione) e non in cartelle riempite con tale materiale coscientemente».

[54] Cass. sez. III, 6 dicembre 2010, n. 43246, in www.iusexplorer.it

[55] Vedi, I delitti contro la libertà sessuale, a cura di S. Tovani e A. Trinci, Torino, 2014, 687 e ss.

[56] A. TRINCI, op. cit., 6.

Dott.ssa Tanya Terranova

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