Particolari forme di tutela della lavoratrice madre nell’ambito dei diritti civili e sociali

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Il  Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, oltre a dettare disposizioni in ordine alle assenze legittime dal lavoro, retribuite o meno, in capo alla lavoratrice ed al lavoratore aventi diritto, prevede una serie di ulteriori disposizioni poste a tutela dei soggetti medesimi, specialmente con riferimento al rapporto ed  alle condizioni di lavoro, nonché al mantenimento del relativo posto.

Per approfondire leggi anche “Decreto Dignità: nuove regole per il contrasto al precariato” di Luigi Andrea Cosattini.

Divieto di licenziamento

Il più significativo intervento del legislatore in materia, può senz’altro considerarsi il divieto di cui all’art. 54 del Decreto Legislativo n. 151/2001, il quale sancisce la non licenzianbilità della lavoratrice dal momento dell’accertamento della gravidanza fino al compimento di un anno di vita del figlio.

L’ordinamento, tuttavia, cristallizza alcune deroghe all’applicabilità di tale divieto, in quanto esso non rileva in caso di colpa grave della lavoratrice legittimante la cessazione del rapporto di lavoro, ovvero in caso di cessazione dell’attività dell’azienda provata in cui la lavoratrice è stata assunta, ossia nel caso in cui il rapporto di lavoro si sia risolto per scadenza del termine di durata, ovvero qualora la lavoratrice abbia posto a totale compimento la prestazione di lavoro per la quale è stata assunta, o, infine, a seguito del completamento non positivo del periodo di prova.

Pertanto, qualora la lavoratrice sia stata licenziata per cause diverse da quelle summenzionate, la risoluzione del rapporto di lavoro deve considerarsi nulla ad ogni effetto di legge, con contestuale comminazione della sanzione amministrativa da euro 1032,91 ad euro 2582,28 cui è esclusa la possibilità di effettuare il pagamento in misura ridotta in caso di ravvedimento del datore di lavoro.

Parimenti, analoga nullità del licenziamento è comminata qualora lo stesso sia dipeso dalla richiesta o dalla fruizione del congedo parentale o per malattia del figlio da parte dei genitori lavoratori. A tale proposito, giova evidenziare che l’eventuale domanda di dimissioni volontarie da parte della lavoratrice durante la gravidanza, ovvero da parte dei genitori lavoratori dalla nascita e fino al primo anno di vita del figlio, è assoggettata obbligatoriamente alla convalida da parte dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio.

Nel settore pubblico, invece, il licenziamento si configura altresì come massima sanzione disciplinare comminantesi per grave violazione degli obblighi spettanti in capo al lavoratore, e sanciti dal Codice Disciplinare e/o dal Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e/o dagli eventuali codici di condotta adottati a livello di singola amministrazione o di comparto ex C.C.N.L

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Divieto di discriminazione

Principio sancito dall’art. 3 del Testo Unico, si fonda sul divieto previsto verso il datore di lavoro di perpetrare qualsiasi discriminazione nei confronti dei lavoratori fondato sul sesso, sullo status matrimoniale e su quello del nucleo familiare con riferimento all’accesso al lavoro, alla formazione ed all’aggiornamento e perfezionamento professionale, nonché alla retribuzione, alle qualifiche, alle mansioni ed alla progressione di carriera, giuridica ed economica.

Ciò comporta, pertanto, che il rapporto di lavoro, che si perfeziona con la stipulazione del contratto di lavoro e non con l’immissione in servizio, non può essere condizionato dalla sussistenza di uno dei superiori eventi, i quali, pertanto, non possono differirne o limitarne o vietarne l’assunzione.

Divieto di lavoro notturno

Tale ulteriore divieto, previsto dall’art. 53 del prefato D.Lgs., impedisce il datore di lavoro di adibire la lavoratrice ad attività ricomprese nella fascia di lavoro c.d. notturno, ossia tra la mezzanotte e le ore 6 del mattino, dall’inizio della gravidanza e fino al primo anno di vita del figlio.

A tale divieto, definito dalla normativa in parola come “assoluto”, si aggiunge la facoltà, per la lavoratrice, di ottenere, a richiesta con accoglimento automatico, l’esonero dal lavoro notturno se madre di bambino di età non superiore a tre anni, ovvero se unica affidataria di minore convivente di anni 12 o, infine, se reca a proprio carico un qualsiasi familiare portatore di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992. Anche in tal caso, la violazione del menzionato divieto da parte del lavoratore, lo espone alla comminazione della sanzione dell’arresto da due a quattro mesi ovvero dell’ammenda da 516 a 2582 euro.

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Permessi per controlli prenatali

Il Testo Unico in argomento prevede inoltre, in favore della lavoratrice madre, il diritto ad assentarsi legittimamente dal lavoro usufruendo di permessi orari retribuiti, utili per l’effettuazione di esami clinici prenatali e visite mediche specialistiche, a condizione che gli stessi debbano essere eseguiti esclusivamente durante l’orario di lavoro.

Di conseguenza, la lavoratrice dovrà produrre, all’esito della fruizione del permesso breve, apposita documentazione o attestazione da cui risulti l’espletamento dell’esame prenatale e la data oraria dello stesso.

In ogni caso, detti permessi retribuiti devono ricomprendere, oltre il tempo necessario per detti controlli medici, anche il tempo occorrente per il viaggio di andata e di ritorno dalla sede di lavoro alla struttura sanitaria e viceversa.

Assegnazione temporanea presso altra sede di lavoro

L’istituto in parola è disciplinato dall’art. 42-bis del D.Lgs. n. 151/2001 e si applica esclusivamente ai lavoratori del pubblico impiego i quali, se aventi figli di età inferiore a tre anni, possono chiedere l’assegnazione temporanea, per un periodo di tempo non superiore a tre anni, ad una sede di servizio sita nella stessa provincia o regione in cui l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, a condizione che esista un posto vacante e di pari livello retributivo nella sede di destinazione, e vi sia il preventivo assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione.

L’eventuale diniego all’assegnazione dovrà essere adeguatamente motivato e comunicato al richiedente entro trenta giorni dalla presentazione della domanda.

 

In ogni caso, il posto di lavoro del dipendente presso l’amministrazione di provenienza, rimane indisponibile verso i terzi e vincola l’amministrazione a riassegnare il dipendente alla scadenza della fruizione di tale assegnazione temporanea.

A tale ultimo proposito, la durata del triennio di assegnazione non è assorbita dal raggiungimento del terzo anno di vita del bambino, in quanto esso si completa per intero con dies a quo dalla data di accoglimento della domanda, quindi anche oltre il terzo anno di vita del figlio, purché l’istanza sia stata presentata entro il raggiungimento del terzo anno di età del bambino.

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Riposi giornalieri post partum, c.d. “per allattamento”

L’articolo 39 del D. Lgs. n. 151/2001 riconosce alla madre lavoratrice, entro il primo anni di vita del figlio, il diritto di poter beneficiare di due periodi quotidiani di astensione dal lavoro di un’ora ciascuno, al fine di provvedere all’assistenza ed elle necessità del bambino (c.d. riposi per allattamento, quale motivazione prevalente – ma non necessaria o assoluta – che determina la richiesta di tale beneficio).

La concessione di tali periodi, che possono essere fruiti anche cumulativamente, ma esclusivamente pro die, presuppone comunque, una durata della giornata lavorativa non inferiore alle sei ore; viceversa, è riconosciuta solamente un’ora quotidiana di riposo dal lavoro.

Il successivo articolo 40 riconosce il diritto a richiedere tali riposi anche al padre lavoratore, a condizione che la madre sia deceduta o sia affetta da grave infermità, oppure in caso di affidamento esclusivo del figlio (ad esempio giusto provvedimento giudiziale), ossia qualora la madre non sia una lavoratrice dipendente (ovvero anche nel caso in cui la madre sia casalinga, giusta sentenza del Consiglio di Stato n. 293 del 9 settembre 2008), ovvero nel caso in cui la madre lavoratrice dipendente non se ne avvalga, previa rinuncia espressa con contestuale prosecuzione della sua attività lavorativa.

Per l’effetto, il padre lavoratore non può fruire di tali periodi di riposo quotidiano qualora la madre sia stata collocata in congedo di maternità o parentale, né in tutti quei casi in cui la madre risulti temporaneamente assente dal lavoro per il verificarsi di situazioni che determinano la sospensione del rapporto di lavoro, quali aspettative, permessi non retribuiti, etc. Per contro, la madre lavoratrice può beneficiare dei riposi giornalieri anche in concomitanza di fruizione di congedo parentale da parte dell’altro genitore.

In caso di parto plurimo, invece, detti periodi di riposo giornaliero sono raddoppiati (anche se indipendentemente dal numero dei nati), e le ore aggiuntive possono essere fruite dal padre lavoratore, anche contemporaneamente alla madre nonché nel caso in cui la madre si trovi in congedo parentale.

Anche per i riposi orari giornalieri è previsto l’istituto del c.d. prolungamento degli stessi (ed in tal caso sono definiti non riposi orari bensì permessi orari giornalieri), ma esclusivamente in alternativa al prolungamento dell’antescritto congedo parentale, nel caso in cui il minore sia portatore di handicap con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992.

In tale specifico caso, i genitori possono fruire, sempre alternativamente, di due ore di permesso giornaliero interamente retribuito fino al terzo anno di vita del bambino.

Tuttavia, poiché entro il primo anno di vita del bambino sono riconoscibili anche i riposi orari giornalieri c.d. per allattamento, nella medesima misura di due ore pro die, i due istituti – riposi orari giornalieri e permessi orari giornalieri in alternativa al prolungamento del congedo parentale – non sono cumulabili, salvo situazioni eccezionali di particolare gravità dell’handicap di cui è portatore il minore, per le quali l’amministrazione pubblica o l’INPS, a seconda che si tratti di dipendente pubblico o privato, autorizzino il cumulo delle ore, nella misura di quattro al giorno, da fruire cumulativamente o frazionatamente, sempre entro il primo anni di vita del bambino.

E’ invece consentita la fruizione, da parte di un genitore e ricorrendone le condizioni, sia dei riposi giornalieri per allattamento per un figlio, che dei permessi orari giornalieri per l’altro figlio.

Per ciò che concerne l’aspetto retributivo, i riposi giornalieri in argomento sono considerati ore lavorative, e pertanto concorrono al completamento dell’orario quotidiano di lavoro; conseguentemente, non incidono sulla retribuzione e sono computati nell’anzianità di servizio. Tuttavia, la fruizione di detti riposi incide  – riducendoli proporzionalmente – sulle ferie e sulla tredicesima mensilità.

Per i lavoratori del settore privato, l’indennità per riposo giornaliero è anticipata dal datore di lavoro, il quale successivamente la porta in conguaglio con i contributi da versare all’Istituto di Previdenza obbligatoria. Nel settore pubblico, invece, gli emolumenti sono a carico dell’Amministrazione datrice di lavoro.

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