Parte civile ammessa al gratuito patrocinio: necessaria coincidenza tra la liquidazione del compenso al difensore e condanna alle spese di lite

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Premessa

Il tenore letterale, per il vero non chiarissimo, dell’art.110 del D.P.R. n.115 del 2002 (c.d. Testo Unico in materia di spese di giustizia) stabilisce, brevemente, che qualora il giudice penale riconosca ad un soggetto processuale ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato il diritto al rimborso delle spese processuali ad opera di altra parte processuale, detto pagamento dovrà necessariamente essere disposto in favore dello Stato.

Ciò perché, indubbiamente, il titolare del beneficio non può godere di alcun titolo per potere ottenere una duplicazione del rimborso delle spese processuali (una prima volta dallo Stato e una seconda dalla controparte).

Tuttavia, ciò che ha destato i maggiori problemi interpretativi in dottrina e giurisprudenza concerne le modalità concrete di liquidazione delle competenze spettanti al difensore della parte civile ammessa al patrocinio gratuito (espressamente previsto dall’art.74 del T.U.), nei casi di condanna dell’imputato anche alla rifusione dei danni civili derivanti dal reato in favore della costituita parte civile (cfr.art.541 del Cpp).

Ciò perché, a ben vedere, ci si troverebbe in presenza di un rapporto tra due provvedimenti potenzialmente divergenti, in quanto da un lato vi sarebbe la statuizione di condanna alle spese e competenze di lite tenute dalla parte civile, che il giudice pronuncia nel dispositivo procedendo eventualmente alla relativa liquidazione ex art.541, co.1, Cpp (anche qualora decida di compensarle totalmente o parzialmente, ricorrendo giusti motivi). Mediante tale decisione inoltre, il magistrato procedente ne dovrà disporre il versamento in favore dello Stato ai sensi dell’art.110 del D.P.R. 115 del 2002.

Dall’altro lato invece, vi sarebbe il provvedimento di liquidazione emesso dal giudice a seguito di istanza avanzata dal difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio, ai sensi degli articoli 82 e 83 del medesimo D.P.R. n.115 del 2002.

Non possono che evidenziarsi in tale evenienza due provvedimenti dissonanti che, come si è detto più sopra, sono potenzialmente contrastanti tra loro, atteso che gli stessi potrebbero anche determinare una quantificazione di somme diverse, tenuto soprattutto conto del fatto che la regola espressamente sancita dall’art.82 del T.U. impone il non superamento dei valori tariffari medi* (anche se ad oggi, con l’abrogazione delle tariffe forensi, tale criterio dovrebbe essere sostituito da altri parametri peraltro ancora in corso di emanazione).

Il legislatore, tuttavia, pare in tali casi non aver proceduto ad un coordinamento tra queste due differenti decisioni, tanto che dottrina e giurisprudenza si sono occupate a più riprese del problema tentando di fornire soluzioni plausibili, nessuna delle quali, ad oggi, si è peraltro mostrata pienamente appagante sotto un profilo strettamente esegetico.1

Raccogliendo le indicazioni fornite da tutta una serie di precedenti decisioni, la Suprema Corte, con la sentenze che qui si commenta, pare avere fornito un valido criterio per la risoluzione della indubbia e stringente problematica evidenziata.

 

Il caso

Avverso una pronuncia di condanna alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio, l’imputato presentava ricorso chiedendo l’annullamento della statuizione di condanna, in quanto detto provvedimento di liquidazione, così come disposto dal giudicante, realizzava un indebito arricchimento in favore della stessa parte civile e un correlativo pregiudizio per il condannato, potendo la parte civile conseguire una duplicazione della liquidazione dei compensi dovuti al proprio difensore.

Il giudice si sarebbe invece dovuto limitare ad affermare il diritto della parte civile al rimborso delle spese legali, con successivo rinvio per la concreta quantificazione alla procedura stabilita dalla normativa in materia patrocinio a spese dello Stato, così come del resto riconosciuto da buona parte della giurisprudenza di legittimità, opportunamente annotata dallo stesso ricorrente nel proprio atto.

 

La decisione

 

La sesta sezione della Corte, investita della decisione, ha invero ricordato che sul punto esistono effettivamente due discipline formalmente in conflitto: quella prevista dall’art.541 Cpp e quella di cui agli artt.82 e 110 del TU. 2

Detto conflitto, secondo la Corte, realizzerebbe “un intreccio di tre relazioni: quella tra l’imputato e la parte civile, quella tra l’imputato e lo Stato e quella tra lo Stato e la parte civile”.

La problematica che ha sollecitato la Corte ad una precisa risposta è quindi quella afferente il quesito se la somma che il giudice pone in sentenza a carico dell’imputato per la rifusione delle spese tenute dalla parte civile vittoriosa (somme che, è bene ricordare, hanno come destinatario lo Stato e non la parte processuale), debba ineluttabilmente corrispondere alla somma liquidata dal giudice in favore del difensore della parte civile e posta a carico dello Stato.

Nel sostenere positivamente quest’ultimo assunto, la Corte ha inteso ribadire il generale divieto di ingiustificato arricchimento già oggetto di svariate precedenti pronunce3 (lo Stato infatti, non potrebbe ricevere per la prestazione del difensore di parte civile più di quanto poi sarebbe tenuto a versare allo stesso professionista per la propria prestazione difensiva), sia la regola generale volta ad evitare danni erariari (che potrebbero riscontrarsi allorchè lo Stato riscuotesse dall’imputato soccombente sulle statuizioni civili una somma inferiore a quella corrisposta, per la medesima vicenda, al difensore della parte civile).

In tale evenienza infatti, l’imputato potrebbe giovarsi della situazione di non abbienza della parte danneggiata, rifondendo spese legali che, in virtù di quanto disposto dall’art.82 del TU (limite dei valori medi tariffari), sarebbero di gran lunga inferiori a quelle che potrebbe ottenere un danneggiato abbiente.

Secondo il portato della Corte peraltro, il rapporto tra imputato e parte civile conserva in ogni caso una virtuale indipendenza, atteso che il giudice, oltre che assolvere e nulla devolvere alla parte civile in punto danni, anche in caso di condanna potrebbe comunque decidere di compensare le spese tra le parti per giusti motivi e quindi ancora nulla sarebbe dovuto alla parte civile, mentre il difensore di parte civile ammessa al gratuito patrocinio conserverà sempre e in ogni caso il diritto alla liquidazione da parte dell’erario dei propri compensi professionali, alla stregua di quanto previsto dal T.U. in materia di spese di giustizia, con il solo limite dell’impugnazione dichiarata inammissibile di cui all’art.106, co.1 del D.P.R. 115 del 2002.

La Corte dunque, giunge all’ulteriore precisazione che unicamente nei casi di assoluzione e compensazione delle spese, le disposizioni di cui agli artt.541 Cpp e 82, 110 D.P.R. n.115/2002 conservano autosufficienza e indipendenza tra loro.

Quando invece la statuizione del giudice dispone la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese legali sostenute dalla parte civile, detta autonomia perde consistenza e trova esclusiva attuazione quanto previsto dall’art.110 del T.U., che deve dunque essere considerata quale normativa “speciale, successiva e specifica rispetto all’art.541 Cpp”. “Ciò significa – sempre secondo la Corte – che non vi è effettiva sovrapposizione di norme non coordinate…bensì l’operare in concreto del generale principio di specialità tra diverse discipline che riguardano la medesima fattispecie”.

La decisione in commento dunque, nel sorreggere quella soluzione esegetica che teorizza la convergenza tra le somme, ha glossato il seguente principio di diritto: “Quando il giudice del processo penale condanna l’imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, la somma che l’imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore. Essa va, pertanto, subito determinata secondo i parametri di cui all’art.82 d.P.R. n.115 del 2002”.

Questa indispensabile coincidenza tra le somme dovute nell’ambito dei rapporti imputato-parte civile, si conseguirà comodamente, secondo la Corte, procedendo alla liquidazione direttamente in sentenza delle spese dovute al difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio. Nello stesso dispositivo il giudice dovrà anche individuare lo Stato come effettivo creditore del pagamento a carico dell’imputato, quantificandolo alla stregua dei criteri di cui all’art.82 del T.U. e, contemporaneamente, provvedendo alla liquidazione della medesima somma in favore del difensore della parte civile.

Il difensore della parte civile ammessa al beneficio dovrà pertanto presentare la propria nota spese, parametrata ai criteri di cui all’art.82 del T.U., già al momento delle conclusioni, terminata la discussione finale, posto che il rapporto dell’avvocato della parte ammessa al beneficio, quanto ai propri onorari, sussiste solamente nei confronti dello Stato.

 

1 Per maggiori approfondimenti sul punto si veda il manuale dello scrivente autore: A.BUZZONI, “Il gratuito patrocinio”, seconda edizione, Fag.ed. Milano, 2010, pag.123 e segg.

2 L’art.541 del Cpp prevede che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o risarcimento del danno, il giudice condanna l’imputato[…] al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale. La quantificazione di tali spese avviene secondo le norme e i criteri generali della tariffa professionale penale* e costituisce uno dei capi della sentenza, suscettibile di autonoma impugnazione.

L’art.82 del D.P.R. n.115 del 2002 stabilisce peraltro che il compenso dovuto al difensore della parte ammessa al patrocinio gratuito, deve essere liquidato dal giudice procedente con apposito decreto di pagamento, con il limite indefettibile del valore tariffario medio*.

Quando la parte ammessa al beneficio è la parte civile, l’art.110, co.3 del D.P.R. n.115/2002 stabilisce che con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o risarcimento del danno il magistrato, se condanna l’imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa, ne dispone il versamento in favore dello Stato.

3 Tra le ultime maggiormente significative Cfr.Cass.pen.sez.IV, 16 luglio 2009, S.F.; Cass.pen.sez.VI, 9 ottobre 2008, A.F.M.; Cass.pen.sez.IV, 10 aprile 2008, A.F.M. inedita.

Avv. Buzzoni Alessandro

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