Organismi di diritto pubblico, imprese pubbliche e soggetti privati titolari di un diritto di esclusiva. Configurabilità ed effetti del principio di autovincolo per soggetti pubblici o privati.

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Organismo di diritto pubblico: i requisiti

La nozione di organismo di diritto pubblico, prevista a livello nazionale dall’art. 3, co. 1, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016, si ricava da quella delineata dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

Ai sensi dell’art. 3 del Codice Appalti, per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi organismo che sia dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico), istituito al fine di soddisfare specificamente bisogni di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico) e di influenza pubblica dominante.

Tale ultima caratteristica si desume dall’attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico[1], ovvero nel caso in cui la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi.

Secondo il costante insegnamento della Corte di Giustizia (tra tutte, Corte giust. UE, 15 gennaio 1998, C-44/96, Mannesmann[2]; 10 aprile 2008, C-393/06, Aigner/Fernwarme Wien GmbH[3], nonché delle Sezioni Unite della Cassazione e della giurisprudenza amministrativa, i tre requisiti caratterizzanti l’organismo di diritto pubblico devono essere contestualmente presenti.

Come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione SS.UU. n. 97/2000 e 2637/06, gli interessi tutelati dall’organismo di diritto pubblico si definiscono generali qualora siano riferibili alla collettività di soggetti.

Quanto, nello specifico, al profilo funzionale è necessario compiere un duplice accertamento.

Si deve innanzitutto verificare se l’attività esercitata dall’organismo sia volta al perseguimento di bisogni di interesse generale ed in secondo luogo, laddove tale accertamento abbia esito positivo, è necessario accertarne la natura non industriale o commerciale.

Ulteriore profilo da esaminare è il rapporto intercorrente tra l’organismo ed un pubblico potere e, più precisamente, l’esistenza di una relazione organizzativa in virtù della quale l’autorità pubblica esercita un controllo finanziario e amministrativo sull’organismo.

Spetta al giudice la valutazione in ordine all’esistenza o meno di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale, tenendo conto delle specificità proprie di ciascun ente, degli elementi di fatto e di diritto appartenenti al caso di specie, quali, a titolo esemplificativo, i fatti che hanno presieduto alla creazione dell’organismo e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la propria attività.

Tale valutazione, tuttavia, comporta delle criticità.

“La tendenza della giurisprudenza a identificare il requisito teleologico attraverso indici presuntivi, porta di volta in volta a semplificare l’attività interpretativa. Nondimeno comporta il rischio ultimo della progressiva creazione giurisprudenziale di una figura che in realtà finisce per risultare diversa da quella direttamente emergente dal dato normativo”.[4]

La qualificazione di un ente in termini di organismo di diritto pubblico comporta il suo assoggettamento alla disciplina pubblicistica.

L’organismo di diritto pubblico rappresenta, in altre parole, un’amministrazione aggiudicatrice.

Conseguenza immediata è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quanto al contenzioso afferente la procedura pubblicistica e non già il rapporto contrattuale.

Al riguardo, le Sezioni unite hanno chiarito che «nelle procedure ad evidenza pubblica, aventi ad oggetto l’affidamento di servizi pubblici, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula dei singoli contratti, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre nella successiva fase contrattuale riguardante l’esecuzione del rapporto la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario» (Cass. Sez. U, 23/07/2013, n. 17858; conf.: Cass. Sez. U, 09/11/2012, n. 1939; 08/07/2015, n. 14188; 13/03/2009, n. 6068; 05/04/2012, n. 5446).

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Casistica

Un esempio di organismo di diritto pubblico è rappresentato da Autostrade per l’Italia S.p.a.

Il Tar Lazio, III Sezione, con la sentenza n. 5737/2016 ne ha riconosciuto la natura di organismo pubblico, considerata la realizzazione e la gestione delle autostrade quale attività idonea a soddisfare bisogni ed interessi pubblici generali, l’istituzione al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, il possesso di personalità giuridica e il prevalente finanziamento o controllo da parte dello Stato.

Per quanto, invece, attiene alla vicenda Poste Italiane S.p.a., la questione è stata oggetto di un acceso dibattito a livello dottrinale e giurisprudenziale.

La natura giuridica di Poste Italiane è divenuta controversa specialmente a seguito dell’apertura del settore postale alla concorrenza, della liberalizzazione dei servizi postali nonché della quotazione della Società medesima.

Si tratta, in sostanza, della complessa e dibattuta tematica della qualificazione giuridica di soggetti istituiti per l’espletamento di servizi pubblici, progressivamente trasformati in vere e proprie

imprese, le quali svolgono attività, a volte in modo preponderante, in regime di libera concorrenza.

Secondo la Corte di Cassazione, Poste Italiane non può essere considerata alla stregua di un organismo di diritto pubblico, trattandosi di un’impresa che opera in condizioni di libera accessibilità ai mercati, con conseguente venir meno dell’assoggettamento dell’attività svolta dalla medesima alle regole dell’evidenza pubblica.

Tale orientamento è stato ribadito dalle stesse Sezioni Unite nell’ordinanza n. 4899/2018, in cui è dato leggere come “la questione della qualificazione o meno delle Poste Italiane come“organismo di diritto pubblico” non sia in alcun modo dirimente ai fini della soluzione del regolamento di giurisdizione”, richiamando in tal senso le argomentazioni già addotte nella sopracitata ordinanza.

Diversa è stata la posizione del Consiglio di Stato, il quale ha affermato di poter ricondurre Poste Italiane alla categoria degli organismi di diritto pubblico, con soggezione della stessa alle norme sul diritto di accesso agli atti con riferimento al servizio pubblico di cui è affidataria e con conseguente affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.

Del medesimo avviso è stato il Tar Lazio che, con l’ordinanza n. 7778/2018, ha qualificato Poste Italiane s.p.a. come organismo di diritto pubblico, in virtù del rinvenirsi di tutti e tre i requisiti di cui al sopra citato art. 3.

Il Tar ha ritenuto Poste Italiane società dotata di personalità giuridica, istituita per soddisfare interessi generali, a carattere non industriale o commerciale, direttamente riconducibili alla libertà di corrispondenza e ad ogni altra forma di comunicazione.

La Società Poste Italiane, infatti, pur operando, oltre che nel settore dei servizi postali, anche in ambito finanziario, assicurativo e di telefonia mobile, in regime di concorrenza, è in ogni caso tuttora concessionaria del cosiddetto servizio postale universale che implica la fornitura obbligatoria  con correlativi esborsi statali a parziale copertura degli oneri.

Per quanto attiene, infine, il terzo requisito, la Società in questione, oltre all’assetto proprietario di maggioranza, che fa capo al Ministero dell’Economia, che nomina il Consiglio di Amministrazione, è soggetta al controllo e la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico e della Corte dei Conti.

Alla luce di tali stringenti considerazioni, il TAR Lazio ha ritenuto sussistenti elementi per qualificare Poste Italiane S.p.a. alla stregua di un organismo di diritto pubblico.

Organismo pubblico e impresa pubblica: rapporti

Accanto alle “amministrazioni aggiudicatrici” di cui all’art. 3, co. 1, lett. a) del Codice dei contratti pubblici, nel novero dei soggetti tenuti al rispetto della disciplina di evidenza pubblica nei settori speciali ex art. 207 d.lgs. n. 163/2006 (quali acqua, trasporti, energia, telecomunicazioni, poste) rientrano le cosiddette imprese pubbliche.

Per impresa pubblica si intende un’articolazione organizzativa volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi, avente responsabilità gestoria di un soggetto pubblico o di una società in mano pubblica[5] e qualificabile quale amministrazione aggiudicatrice nei settori speciali.

Il principale elemento di differenziazione tra gli organismi di diritto pubblico e le  imprese pubbliche, affrontato peraltro nella sentenza della Corte di Giustizia 15 maggio 2003, C-214/2000, Commissione C. Regno di Spagna[6], risiede nel fatto che mentre i primi operano per il perseguimento di bisogni di carattere generale, secondo logiche che esulano da quelle del mercato, le seconde, invece, agiscono tramite l’offerta sul mercato dei propri beni e servizi, con conseguente assunzione del rischio economico connesso all’esercizio dell’attività.

L’impresa pubblica è esposta alla concorrenza, gestisce servizi rinunciabili per l’ente di riferimento e può subire delle perdite commerciali, mentre l’organismo di diritto pubblico è caratterizzato dalla mancata esposizione alla concorrenza, dall’irrinunciabilità del servizio e dal conseguente obbligo di ripianamento in caso di perdite da parte dell’ente di riferimento[7].

 

Soggetti privati titolari di diritti di esclusiva

Accanto alle tradizionali amministrazioni pubbliche, agli organismi di diritto pubblico e alle imprese pubbliche, sono altresì contemplati i soggetti privati che godono di diritti di esclusiva.

Il regime previsto dall’art. 106 del TFUE  per le imprese pubbliche si estende anche alle imprese titolari di diritti esclusivi e di diritti speciali, le quali si trovano anch’esse in una posizione di subordinazione rispetto allo Stato.

Lo Stato, infatti, esercita su di essi un controllo indiretto, essendo in grado di  influenzarne la condotta, ben potendo ritirare i diritti di cui esse sono titolari.

Tali imprese, dunque, pur essendo strutturalmente autonome rispetto all’amministrazione statale, rappresentano, in virtù della concessione dei predetti diritti, uno strumento attraverso cui lo Stato attua un controllo su determinate attività.

Si parla di diritto di esclusiva tutte le volte in cui la misura pubblica attribuisce esclusivamente ad una sola impresa la facoltà di prestare un determinato servizio.

D’altro canto, invece, i diritti speciali sono concessi ad un numero ristretto di imprese e conferiscono alle stesse un vantaggio concorrenziale sul mercato.

Tali diritti speciali possono consistere sia in diritti d’impresa, che di fatto limitano l’accesso al mercato ai concorrenti, sia in vantaggi legali attribuiti ex lege.

Diritti speciali ed esclusivi hanno degli elementi costitutivi comuni: entrambi presuppongono una concessione da parte dello Stato o di un altro ente pubblico, che può assumere la forma di atto legislativo, regolamentare o amministrativo.

Ulteriore elemento comune risiede nel fatto che il diritto conferito deve essere idoneo ad impedire ad altri operatori lo svolgimento della medesima attività economica nella stessa area geografica.

Nella vigenza del d.lgs. 163/2006 la giurisprudenza amministrativa si era domandata se la stazione appaltante potesse decidere, in via di autovincolo, di applicare ulteriori disposizioni del previgente Codice.

Al riguardo era stato chiarito che la stazione appaltante potesse prevedere, negli atti di gara, l’applicazione di disposizioni del Codice ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 20.

La stazione appaltante, quindi, nell’ambito del Capitolato speciale di gara può inserire tutti quegli elementi di valutazione che ritenga necessari e che discrezionalmente si autoimpone, i quali diventano dei veri e propri nuovi vincoli.

In virtù dei principi di autovincolo e dell’affidamento non può essere disposta l’esclusione dalla procedura per cause diverse da quelle espressamente previste nella speciale disciplina di gara fissata dalla stazione appaltante.

In tal senso, dunque, le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolano tanto i concorrenti quanto la stessa amministrazione appaltante.

Qualora il bando preveda l’esclusione dalla gara in conseguenza di talune violazioni, l’Amministrazione è tenuta a darne esecuzione, senza possibilità alcuna di operare valutazioni in ordine all’incidenza dell’inadempimento sulla procedura.

Deve, dunque, disporsi l’esclusione di un concorrente da una gara di appalto per inadempimento delle prescrizioni formali di gara laddove queste risultino indicate nel bando o nella lettera di invito o nel capitolato speciale di appalto in modo chiaro e non equivoco.

 

Considerazioni conclusive

Si può concludere affermando che il formalismo caratterizzante la disciplina della procedura di gara risponde ad esigenze di certezza della disciplina applicabile e celerità della procedura, nonché alla necessità di assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa e la tutela dell’affidamento in buona fede dei concorrenti.

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Note

[1] Cfr. G. Franco Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Egea editore, 2020.

[2] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:61996CJ0044&from=LV.

[3] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A62006CA0393.

[4] Consiglio di Stato, sent. n. 964 del 7 febbraio 2020, disponibile qui:

https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=201905588&nomeFile=202000964_11.html&subDir=Provvedimenti.

[5] Cfr. M. Nevoli – L. d’Attilia, Diritto commerciale, Key editore, 2020.

[6] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62000CJ0214&from=IT.

[7] In termini analoghi, sul punto: Tar Lazio-Roma, sez II ter, sent. n. 1778/2013, Tar Sicilia, Catania, sez. II, sent. n. 772/2015.

Giulia De Paolis

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