Ordini professionali: avviata dall’Antitrust un’istruttoria nei confronti del CNF per due possibili intese restrittive della concorrenza

Redazione 26/07/13
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Anna Costagliola

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria per verificare se il Consiglio Nazionale Forense (CNF) abbia messo in atto due distinte intese finalizzate a limitare l’autonomia dei singoli avvocati nella determinazione dei compensi e nella ricerca di nuova clientela.

Alla base della decisione dell’Antitrust due distinti comportamenti messi in atto dal CNF:

1) la pubblicazione, sul sito istituzionale del Consiglio, delle tariffe ministeriali, ormai abrogate, accompagnate da una circolare emanata nel 2006 in cui si afferma che, a prescindere dagli interventi di liberalizzazione del 2006, l’avvocato che richiede un compenso inferiore al minimo tariffario può comunque essere sanzionato in base al codice deontologico. Nella circolare si precisa infatti che, ancorché le tariffe minime non possano più ritenersi obbligatorie per legge, nulla osta a che gli avvocati si accordino con le parti contraenti per l’utilizzo delle previste tariffe ministeriali. In ogni caso, il comportamento dell’avvocato che richiede un compenso inferiore al minimo tariffario può comunque essere sindacato ai sensi degli artt. 5 e 43, punto II, del codice deontologico forense, in quanto «il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.»;

2) il parere n. 48/2012 reso dal Consiglio in base al quale l’utilizzo, da parte degli avvocati, di siti internet che propongono ai consumatori associati sconti sulle prestazioni professionali, confligge con il divieto di accaparramento della clientela sancito dall’art. 19 del codice deontologico forense.

Quanto al primo dei suddetti comportamenti, l’Antitrust osserva come il contenuto della circolare del 2006 in materia di determinazione del compenso professionale appare idoneo a limitare non solo la portata liberalizzatrice del cd. Decreto Bersani, che esplicitamente aveva eliminato l’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime, ma anche quella introdotta ad opera dell’art. 3 del D.L. 138/2011 e dell’art. 9 del D.L. 1/2012, che hanno abrogato la tariffa professionale tout court. Detta circolare, pertanto, appare volta a mantenere un riferimento tariffario per gli iscritti all’Ordine forense, al fine di evitare, anche mediante la minaccia di applicazione della sanzione disciplinare, lo sviluppo di una concorrenza di prezzo tra i professionisti. Le restrizioni ai comportamenti di prezzo ostacolano gravemente la concorrenza in quanto precludono ai professionisti di gestire la più importante variabile del proprio comportamento economico sul mercato, privando in tal modo i consumatori dei benefici derivanti da una riduzione dei prezzi dei servizi professionali.

Secondo l’Autorità il comportamento del CNF non troverebbe giustificazione neanche nei «parametri» citati dall’art. 13 della riforma forense del 2012, visto che tali parametri non possono comunque trasformarsi in tariffe minime obbligatorie.

Conclude, pertanto, l’Antitrust che alla luce di quanto sopra, la pubblicazione sul sito web del CNF della circolare in oggetto, unitamente e quale premessa interpretativa ai parametri di cui ai D.M. 127/2004 e 140/2012, essendo idonea a limitare l’autonomia degli avvocati sul mercato in merito alla richiesta dei compensi professionali, appare costituire una restrizione della concorrenza in violazione dell’art. 101 del TFUE.

Quanto al secondo dei comportamenti incriminati, secondo l’Autorità il parere n. 48/2012 del CNF limita l’impiego da parte degli avvocati di un importante canale di distribuzione dei servizi professionali messo a disposizione dalle nuove tecnologie, potenzialmente in grado di raggiungere un ampio numero di consumatori sul territorio nazionale. Si tratta di un mezzo idoneo a fornire agli avvocati nuove opportunità professionali offrendo loro una maggiore capacità di attrazione di clientela rispetto alle tradizionali forme di comunicazione e permettendo altresì di mettere in concorrenza servizi offerti da professionisti anche geograficamente distanti. Nella fattispecie concreta, il parere era stato rilasciato a proposito della piattaforma «Amica Card», circuito a disposizione di aziende e professionisti (tra cui avvocati) che intendono promuovere i propri servizi tramite internet, a fronte del pagamento di un canone mensile; i consumatori-utenti, sottoscrivendo (gratuitamente o a pagamento) la tessera Amica Card, possono acquistare, a condizioni agevolate, i servizi reclamizzati sul circuito direttamente dai professionisti ad esso aderenti.

Va evidenziato come l’impiego di tali innovative forme di distribuzione dei servizi professionali consente ai consumatori di avere accesso ad una più ampia offerta a condizioni vantaggiose; in particolare, la piattaforma «Amica Card» è caratterizzata dal proporre ai consumatori servizi a prezzi scontati. Ne deriva che la censura del CNF verso siffatti strumenti di commercializzazione dei servizi è idonea a limitare politiche di prezzo competitive, ostacolando l’instaurarsi di una maggiore concorrenza tra professionisti anche sotto tale profilo.

Rileva peraltro l’Antitrust che la libertà dei professionisti di diffondere informazioni circa la loro attività professionale con «qualunque mezzo, anche informatico» è stata riconosciuta sin dal 2006 con la riforma Bersani e ribadita da ultimo dall’art. 10, co. 2, della L. 247/12. Inoltre, il richiamato articolo 10, al comma 1, consente «all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale», di cui la componente economica rappresenta parte integrante.

Sulla base di quanto precede, l’Antitrust conclude nel senso che il citato parere, inibendo l’impiego di un nuovo canale distribuzione e stigmatizzando l’offerta di servizi incentrata sulla convenienza economica appare idoneo a limitare la concorrenza tra professionisti in violazione dell’art. 101 del TFUE.

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