Ordine pubblico e funzione personalista

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Con la nascita della Costituzione e la creazione dell’organo giurisdizionale posto al controllo della legalità ordinamentale, concetti elastici come l’ordine pubblico, si formano nella loro sostanza attraverso l’interpretazione della Corte Costituzionale ed attraverso l’apporto della dottrina più autorevole. Tale contributo ripercorre l’evoluzione del concetto di ordine pubblico avvenuta attraverso il lavoro interpretativo della Corte Costituzionale in chiave personalistica.

Indice

1. Premessa

Dalle ceneri della seconda guerra mondiale e la fine del regime fascista, nasce la Costituzione, un documento ordinatore figlio dell’incontro delle ideologie politiche connaturate alla storia dello Stato italiano. In essa l’ordine pubblico viene rappresentato in chiave materiale perchè connaturato all’essenza dell’area amministrativa e penale. Successivamente è la Corte Costituzionale attraverso l’interpretazione delle norme in chiave costituzionalizzata a generare una versione idealista dell’ordine pubblico come secondo volto dell’ordine pubblico interno e cioè: il complesso dei principi supremi-fondamentali (l’utilizzo del primo termine, supremi, richiama la prima accezione, data al concetto di ordine pubblico in relazione ai principi fondanti lo Stato italiano, la seconda accezione, fondamentali, sostituisce la prima, nell’ottica di essere maggiormente fedele allo sviluppo e alla protezione dei diritti fondamentali dell’uomo), del sistema giuridico italiano. L’evoluzione del concetto di ordine pubblico, trova la sua ragione giuridica, nell’evoluzione del sistema giuridico stesso, che come si è già detto, a sua volta trova fondamento giuridico nei principi fondamentali tutelati dalla Costituzione. Per verificare come sia avvenuto e come ancora è in corso di evoluzione, l’apertura della tutela verso i diritti fondamentali della persona, si è scelto di utilizzare, il riferimento all’articolo 5 del codice civile. E’ proprio da norme come questa, che l’utilizzo del concetto positivizzato di ordine pubblico, si sgancia dalla macchia negativa e repressiva per divenire, strumento di bilanciamento tra i valori fondanti l’ordinamento e la persona.

2. L’interpretazione dell’art. 5 c.c.

Per valutare il percorso evolutivo dell’interpretazione dell’articolo 5, è necessario focalizzare l’attenzione sulla locuzione, atti di disposizione del corpo, perché solo attraverso la definizione di cosa siano o meglio cosa possono intendersi quest’ultimi in senso giuridico, che si può arrivare ad una reale comprensione dell’importanza valoriale insita nella norma e nel processo evolutivo interpretativo della stessa. Come emerge dai lavori preparatori, gli atti di disposizione del corpo a cui si riferisce l’art. 5 c.c. nel suo significato originario, sono solo quelli di consenso all’offesa dell’integrità fisica, a dimostrazione di ciò, si pensi al legame di tale norma con l’articolo 50 del codice penale che disciplina il consenso dell’avente diritto. Il limite speciale contenuto nella prima parte della norma in esame, è certamente espressione del momento storico in cui fu approvato il nostro codice e si inserisce nel programma di tutela della sanità della stirpe tipico del regime fascista. In quest’ottica, l’approccio al corpo è di tipo materialista e di conseguenza, le parti del corpo di cui è possibile disporre in base alla legge, divengono oggetto autonomo e separato dalla persona e l’utilizzo delle medesime [1], deve essere improntato a realizzare un fine utile alla collettività. E’ del tutto evidente, di come sia inadeguato, alla luce della Costituzione, un simile approccio alla persona, perchè i limiti che il legislatore del ’42  ha posto al potere di disposizione del proprio corpo, risultano palesemente in contrasto con i principi solidaristici e personalistici consacrati nella Carta costituzionale.
Il diritto all’integrità fisica, tutelato dalla norma e concernente in primo luogo, la tutela del corpo [2], evolve anch’esso e diviene parte di un insieme di diritti fondamentali posti alla tutela della persona, la quale diviene un unicum e di conseguenza il corpo assume la funzione di esteriorizzare la persona stessa. Il diritto all’integrità fisica [3] quindi, si relazione ad altri diritti posti a tutela della persona, come il diritto alla salute (articolo 32 Cost.), che a sua volta richiama il diritto alla dignità (articolo 1-3 Carta di Nizza). Attraverso la protezione della dignità umana, garantendo il diritto alla salute, la persona è posta al centro della tutela, non in funzione di qualcos’altro, ma in funzione della sua evoluzione (articolo 2 Cost.). La diminuzione permanente, limite invalicabile nella disposizione del corpo, infatti, non sempre comporta una lesione della dignità umana, al contrario, spesso si rende necessaria al fine di realizzare lo sviluppo della persona e la tutela della salute stessa, così gli interventi medici compiuti nell’interesse del soggetto e gli atti di disposizione in cui la perdita dell’integrità fisica, trovano causa adeguata nell’adempimento del dovere morale di solidarietà sociale che la nostra Costituzione privilegia. Ad esempio, la L. 19 settembre 2012, n. 167 ha disposto (con l’art. 1, comma 1) che “In deroga al divieto di cui all’articolo 5 del codice civile, e’ ammesso disporre a titolo gratuito di parti di polmone, pancreas e intestino al fine esclusivo del trapianto tra persone viventi“. Viene così privilegiata una rilettura delle disposizioni del codice, alla luce delle indicazioni costituzionali, che pongono la persona al centro della tutela ordinamentale, la quale diviene da oggetto, a soggetto capace di autodeterminarsi. Questo vuol dire che, il riconoscimento al singolo di una certa sfera di libertà di disporre del proprio corpo, perde il riferimento di natura patrimoniale e non ha come fine principale la garanzia di un ambito di libera contrattazione delle utilità economiche riconducibili all’uso del corpo, ma è volto alla promozione della personalità umana, cui è funzionale il riconoscimento della libertà personale, la quale deve essere coordinata, tra l’altro, con l’uguaglianza, la dignità umana, l’identità, la salute e l’integrità fisica.
La Costituzione e il principio personalista, in particolare, impongono un’impostazione del problema in termini di libertà di decidere e di autodeterminarsi in ordine a comportamenti che riguardano il corpo, sul presupposto del valore unitario e inscindibile della persona come tale. Il nesso tra la tutela dell’integrità fisica ed il potere di autodeterminazione dei privati, trova il suo punto di confluenza non più nel limite della diminuzione permanente, ma in quello del pieno sviluppo della personalità. Di conseguenza, viene abbandonata l’idea del corpo umano visto come oggetto separato dalla persona, su cui il soggetto esercita i propri poteri di disposizione e il relativo atto deve essere ricostruito come espressione della libertà di decidere sulla propria persona in applicazione dell’art. 13 della Costituzione.
Il valore della inviolabilità della persona è costruito nella Costituzione «come “libertà” nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo» [4]. In tale quadro giuridico, l’ordine pubblico, diviene parametro per valutare la legittimità di determinati atti, non più in funzione dello Stato, ma in funzione della persona. Nello specifico, la tutela dell’integrità personale, viene garantita attraverso la tutela della dignità [5] della persona, che a sua volta diviene principio di ordine pubblico. L’ottica evolutiva del lavoro giurisprudenziale della Corte Costituzionale, nell’interpretare il concetto di ordine pubblico, segue proprio questo iter del sistema normativo aperto alla tutela della persona, al fine di divenire garante della democraticità. Sebbene, le prime pronunce della stessa in materia di ordine pubblico, riflettono le tante difficoltà riscontrate nel tentativo di plasmare il concetto come fonte di tutela dei valori fondanti il sistema e di conseguenza dei diritti fondamentali della persona, a causa dell’impatto forte e negativo con cui tale concetto è stato strumentalizzato a seconda delle esigenze politiche-finalistiche, è proprio attraverso la Costituzione, che la Corte Costituzionale, costruisce il volto dell’ordine pubblico ideale.

3. L’ordine pubblico in chiave personalistica

Questo lavoro di costituzionalizzazione del concetto di ordine pubblico, ad opera della Corte Costituzionale, comincia con la riscoperta dei principii supremi, avvenuta agli inizi degli anni ’70. Con la sentenza n. 30/1971 [6] riguardante il sollevamento della questione di legittimità costituzionale della legge n. 810/1929, mediante la quale era stato reso esecutivo il Concordato stipulato tra la Santa sede e l’Italia, la Corte Costituzionale pervenne ad una pronuncia di infondatezza della questione allora sollevata e nella stessa sede, ebbe modo di osservare, a proposito dell’art. 7 Cost., che: “ se esso riconosce allo Stato e alla Chiesa cattolica una posizione reciproca di indipendenza e di sovranità, non può avere la forza di negare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato”. La formula venne ripresa nella sentenza n. 31/1971 [7], che ebbe luogo nella stessa data della precedente, precisando come l’art. 7 Cost. (norma di apertura ad un ordinamento diverso da quello Statale) non precludesse il controllo di costituzionalità delle leggi, (la Corte Costituzionale afferma il suo ruolo di giudice di legittimità e di supremo vigile della Costituzione, intesa in senso lato, comprendente i principi in essa non esplicitati), che avevano immesso nell’ordinamento interno le clausole dei Patti lateranensi, potendosene appunto valutare la conformità o meno ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Ai “principi generali dell’ordinamento statale” fa riferimento altresì la sentenza n. 32/1971 [8], anch’essa in pari data, che pervenne alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 16, della legge n. 847/1929, relativamente all’istituto matrimoniale, nella parte in cui stabiliva che la trascrizione del matrimonio potesse essere impugnata solo per una delle cause menzionate nell’articolo 12 e non anche perché uno degli sposi fosse, al momento in cui si è determinato a contrarre il matrimonio in forma concordataria, in stato di incapacità naturale. Il passaggio giuridico-evolutivo dalla formula “principi supremi” alla formula “ principii fondamentali dell’ordinamento e diritti fondamentali ed inalienabili della persona” avvenne, un anno dopo la triplice pronuncia sui principi supremi, poc’anzi esaminata, attraverso l’emanazione della sentenza n. 183/1973 [9] e precisamente nella parte della motivazione al punto n. 9 in riferimento ai dubbi di compatibilità tra ordinamento comunitario e ordinamento interno posti sotto lo specifico aspetto della presunta carenza di controllo giurisdizionale da parte della Corte costituzionale, a salvaguardia dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione ai cittadini. E’ bene precisare, che l’utilizzo di questa formula evolutiva, (principii e diritti fondamentali) si deve soprattutto ai termini di proposizione della questione, relativa appunto ai diritti fondamentali. Ma l’aspetto più saliente di questa pronuncia della Corte Costituzionale, riguarda la portata e l’estensione dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento Statale, che trova il suo fondamento giuridico nello spirito evolutivo rivolto all’apertura del nostro sistema a sistemi esterni, della Costituzione, che ne sancisce i principii ordinatori nell’articolo 10 e 11 e successivamente con la riforma del titolo V ed il rinnovato articolo 117. In tale pronuncia, la Corte esclude che le limitazioni consentite sulla base dell’articolo 11 Cost. possano comunque comportare, per gli organi della Comunità, il potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana. Questa prima enucleazione di principio, segna la costituzione della teoria dei contro-limiti volta a risolvere le antinomie tra i più fondamentali ed inalienabili diritti dell’ordinamento interno e le fonti comunitarie, consentendone sulla base della suddetta teoria, la sindacabilità costituzionale delle relative leggi di autorizzazione alla ratifica. La Corte costituzionale, nella più recente sentenza n. 238 del 2014 [10], afferma che le norme internazionali da immettere ed applicare nell’ordinamento interno (comprese persino le norme internazionali consuetudinarie) vanno rese compatibili con i «principi qualificanti e irrinunciabili dell’assetto costituzionale e quindi, con i principi che sovraintendono alla tutela dei diritti fondamentali». Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) [11] ed operino quali “contro-limiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea, sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007 [12], oltre che come si è visto poc’anzi, limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato, sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971 [13]. Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale, artt. 138 e 139 Cost., così, nella sentenza n. 1146 del 1988 [14].

4. Considerazioni conclusive

In tale quadro strutturale normativo, in cui la Corte Costituzionale ha delineato la rilevanza dei principi fondamentali interni in relazione ai rapporti esterni, non si dimostra solo ed esclusivamente, il percorso generativo della teoria dei contro-limiti e l’importanza dei principi fondamentali a livello Statale, ma, si esplicita la necessaria instaurazione di criteri guida, per definire i limiti della tutela interna nei confronti dei diritti fondamentali e con essi dei principi fondamentali, proclamati dalla Costituzione e da Istituzioni ed Organizzazioni extra-statali, che in virtù del dettato Costituzionale esaminato, esplicano effetti giuridici all’interno del nostro ordinamento. E’ proprio dalla formazione di questi rapporti inter-statali che si procede verso la tutela dei diritti fondamentali della persona, al di sopra delle parti, affermandosi in ottica evolutiva, la natura di principi universali generalmente riconosciuti, i quali obbligano le parti stesse ad una continua collaborazione e rispetto reciproco. E’ dall’instaurazione di questi rapporti, che si sviluppa il nuovo volto dell’ordine pubblico come tutore dei diritti fondamentali.

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Note

  1. [1]

    R. Romboli, Sub art. 5, cit., 229; Sull’art. 5 v. tra gli altri: M. Pesante, op. cit., 653 ss.; M.C. Cherubini, op. cit., 73 ss.; G. Anzani, Gli “atti di disposizione della persona” nel prisma dell’identità personale (tra regole e principi), in Nuova giur. civ. comm., 2/2009;  Sul rapporto tra la clausola dell’ordine pubblico e quella del buon costume, per verificarne l’evoluzione comparativa tra codice civile francese ed italiano, rimando al testo di: Terlizzi Giulia, Dal buon costume alla dignità della persona. Percorsi di una clausola generale, Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino nuova serie, 26,Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2013;                                                                                                                               

  2. [2]

    S. Rodota’, Che cos’è il corpo?, Luca Sossella editore, Auditorium, 2010, p. 5.

  3. [3]

    M. Dogliotti, op. cit., 241 ss.; C.M. D’Arrigo, Autonomia privata e integrità fisica, cit., passim; ID., voce Integrità fisica, in Enc. dir., (Aggiornamento), Milano, 4/2000, 712 ss.; ID., Il contratto e il corpo: meritevolezza e liceità degli atti di disposizione dell’integrità fisica, in Familia,2005, 777 ss.;
                V. Rizzo, Atti di “disposizione” del corpo e tecniche legislative, in Rass. dir. civ., 1989, 618 ss.;
                G. Alpa, A. Ansaldo, Le persone fisiche. Artt 1-10, in Comm. cod. civ., a cura di P. Schlesinger, Milano, 1996, 247 ss.;
                D. Carusi, voce Atti di disposizione del corpo, in Enc. giur. Treccani, Roma, (III) 1998, 1 ss.;
                P. D’Addino Serravalle, Atti di disposizione del corpo e tutela della persona umana, Napoli, 1983, passim, e di recente ID., Corpo (atti di disposizione del corpo), cit., 525 ss.

  4. [4]

    Così si esprime la Corte cost. 22 ottobre 1990, n. 471, in Foro it., 1/1991, 14;

  5. [5]

    Sul concetto di dignità così G. Cricenti, “Indisponibilità” del bene vita e disposizione di sé, in Nuova giur. civ. comm., 2/2009, 20: “ può essere intesa come un diritto che l’umanità può opporre al singolo oppure come un diritto che il singolo può opporre agli altri. Per impedire all’individuo di disporre di sé, si privilegia la prima accezione secondo cui la dignità non viene intesa come un diritto, bensì come un obbligo.
                 Si tratta di «un diritto che i terzi, anzi l’umanità, oppongono all’interessato, nel suo stesso interesse, ma soprattutto nell’interesse dell’umanità stessa. In questa accezione la dignità serve a limitare certe libertà individuali, in nome del fatto che l’esercizio di quelle libertà lede ciò che di umano c’è nell’uomo». La libertà di autodeterminarsi subisce limitazioni quando le attività, gli atti ed i comportamenti dell’individuo ne ledono la dignità, che non viene considerata un diritto dell’uomo, bensì che l’umanità vanta nei confronti del singolo. Il soggetto non può obbligarsi a subire trattamenti sul corpo perché ciò implicherebbe una lesione della dignità della persona. Non è possibile parlare di un diritto di proprietà sul proprio corpo, bensì di «un diritto fondamentale all’integrità psico – fisica che tutela il corpo come espressione della persona umana»e la disponibilità di tale diritto «trova oggi la sua giustificazione nel libero e sano sviluppo della personalità»
                M. Dogliotti, Atti di disposizione del corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., 1990, 254 ss.;
                M.C. Cherubini, Tutela della salute e cc.dd. atti di disposizione del corpo.

  6. [6]

    Sentenza Corte Cost. n. 30/1971, in Consulta on line, giurcost.org;

  7. [7]

    Sentenza Corte Cost. n. 31/1971, in Consulta on line, giurcost.org;

  8. [8]

    Sentenza Corte Cost. n. 32/1971, in Consulta on line, giurcost.org.

  9. [9]

    Sentenza Corte Cost. n. 183/1973, in Consulta on line, giurcost.org;

  10. [10]

    Sentenza Corte Cost.n. 238 del 2014, in Consulta on line, giurcost.org;
                Sulla sentenza, Cassazione Penale 2016, 11, 4253: “ Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., sia l’art. 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 5, di adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno, sia l’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848, di esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona” e ancora: “L’obbligo del giudice italiano, stabilito dall’art. 3 l. 14 gennaio 2013 n. 5, di adeguarsi alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione nelle cause civili per il risarcimento dei danni per crimini contro l’umanità, commessi jure imperii da uno Stato estero nel territorio italiano, senza che sia prevista alcuna altra forma di riparazione giudiziaria dei diritti fondamentali violati, è in contrasto con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dagli art. 2 e 24 cost.”, Rivista di Diritto Internazionale 2015, 1, 237;

  11. [11]

    Sentenze Corte Cost. n. n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001, in Consulta on line, giurcost.org;

  12. [12]

    Sentenze Corte Cost. n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007, in Consulta on line, giurcost.org.

  13. [13]

    Sentenze Corte Cost. n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971, in Consulta on line, giurcost.org;

  14. [14]

    Sentenza Corte Cost. n. 1146 del 1988, in Consulta on line, giurcost.org.

Francesca Fuscaldo

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