Omicidio colposo e Responsabilità degli infermieri

Vese Donato 27/09/13
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Omicidio colposo – Omicidio colposo e Responsabilità degli infermieri – (art. 589 c.p.)

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione IV pen., sentenza n. 16260 del 6 marzo 2013 – 10 aprile 2013, Pres. ****** – Rel. ******** – P.M. Conf.

Risponde di omicidio colposo l’infermiere che, pur essendo a conoscenza delle generali cattive condizioni manutentive dell’ospedale, omette di osservare i doveri di attenzione nell’adempiere al compito di trasporto di una paziente, causandone la caduta e successivamente il decesso (1).

RITENUTO IN FATTO

1. L.G. è stato ritenuto responsabile per il delitto di omicidio colposo in danno di B.G. dal Tribunale di Napoli in quanto, essendo incaricato del trasporto a mezzo ambulanza della paziente da un reparto ad un altro dell’ospedale, non si era avveduto della presenza nella pavimentazione del nosocomio di una mattonella divelta e, movimentando la barella, ne aveva determinato l’incastro di una delle ruote nel terreno sconnesso, con il conseguente repentino e violento sbalzo della barella, suo ribaltamento e caduta della paziente, la quale decedeva per il grave trauma cranico encefalico riportato.

2. La Corte d’Appello di Napoli confermava l’impugnata sentenza e concedeva le attenuanti generiche all’imputato.

3. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato;

L. G. con unico motivo deduce l’illogicità delle due argomentazioni circa l’addebito di responsabilità relative alla non adeguata illuminazione e alle modalità di conduzione della lettiga ed in particolare osserva che le condizioni di luce non adeguate erano state contestate un ora dopo l’incidente e, quindi, la circostanza difettava di adeguato supporto probatorio mentre le modalità di conduzione mediante l’atto del tirare, in luogo che di spingere, erano state considerate erroneamente imprudenti giacché le stesse rispondevano piuttosto ad una cautela in relazione alla cronica presenza di un dislivello tra il piano di calpestio e quello dell’ascensore. Sotto altro profilo, rileva che al ricorrente non poteva richiedersi condotta diversa da quella tenuta in concreto, avendo egli agito confidando sul rispetto da parte di altri soggetti, garanti della sicurezza, dell’obbligo di rendere privo di rischi l’ambiente di lavoro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo è inammissibile poiché manifestamente infondato. Con riferimento al primo profilo si rileva che gli argomenti addotti sono privi di decisività poiché, prescindendo dalla fondatezza delle argomentazioni motivazionali censurate, la decisione è adeguatamente sorretta dalla fondamentale argomentazione giustificativa concernente la grave inosservanza

atta ad integrare di per sé la colpa, del dovere di attenzione nell’adempiere al compito di trasporto della paziente, pur risultando da parte dell’agente la conoscenza delle generali cattive condizioni manutentive dell’ospedale. Quanto al secondo profilo, la manifesta infondatezza si evidenzia ove si consideri che non può l’agente ritenersi esonerato dalla particolare attenzione richiestagli in relazione ai compiti affidatigli, in ragione dell’obbligo di manutenzione strutturale dell’immobile gravante su altri soggetti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore della parte civile.

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(1) Un infermiere incaricato del trasferimento di una paziente da un reparto ad un altro dello stesso ospedale cagionava – mediante una condotta colposa – il decesso della medesima facendola de facto rovinare al suolo durante il trasporto in barella perché non si avvedeva di una sconnessione presente nella pavimentazione. Questo, in estrema sintesi, il fatto materiale su cui era chiamata a pronunciarsi la Corte di cassazione affrontando così la tematica della responsabilità penale degli infermieri-barellieri che svolgono le loro mansioni in ambito sanitario.

Il tema della responsabilità professionale dell’infermiere sta attraversando un momento di vivo interesse, sia per le recenti modifiche legislative (si veda in tal senso la L. 43/2006, Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche […] concernente la delega al governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali; la L. 251/2000 rubricata Disciplina delle professioni infermieristiche […] con cui si conclude il cammino verso l’autonomia delle professioni sanitarie c.d. ausiliarie e si legittima la responsabilità infermieristica anche a livello gestionale-organizzativo; la L. 42/1999 recante Disposizioni in materia di professioni sanitarie e il D. M. 14 settembre 1994, n. 739, che contiene il Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere con cui si abroga il profilo di mansionario e ausiliario) sia per i sempre più ampi scenari professionali verso i quali si affaccia la professione stessa, oggi più che un tempo oggetto di esame anche da parte della giurisprudenza tanto nell’ambito delle responsabilità civile quanto nell’ambito della responsabilità penale. È tutto sommato abbastanza evidente che, in caso di danni provocati al paziente per un comportamento colposo, al di là del generico riferimento ai noti principi dell’imprudenza, della negligenza e dell’imperizia, si possa ravvisare in capo all’infermiere una specifica violazione di una norma regolamentare che gli impone obblighi ben precisi.

Nella vicenda in commento occorre anzitutto qualificare la posizione dell’infermiere – addetto al trasporto dei pazienti – come posizione di garanzia così come pacificamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione per la quale «gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex art. 2 e 32 Cost, nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità» (Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2000, n. 9638, in Cass. pen., 2002, p. 576; Cass. pen., sez. IV, 2 marzo 2004, in CED n. 24036; Cass. pen., IV sez., 12 luglio 2006, in CED n. 33619). Il succitato D.lgs n. 42/1999 evidenzia in tal senso che «la responsabilità dell’infermiere è pari a quella del medico, perché anch’egli è garante della salute del paziente affidato alle sue cure» (così anche Cass. pen., sez. IV, 1 dicembre 2004, n. 9739, in D&G – Dir. e giust. 2005, 15, p. 72, con nota di ***********, Il medico è sempre garante della salute e in questa Rivista, 2005, p. 195; ID., La responsabilità penale del medico tra posizione di garanzia e rispetto della volontà del paziente, in Cass. pen., 1998, p. 956; nonché App. Milano, sez. II, 16 dicembre 2005, in Riv. dir. prof. san., 2006, p. 122, con nota di L. Papi, L’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente; Cass. pen., sez. IV, 2 marzo 2005, in CED n. 231356, riguardante il caso di un operatore sanitario in servizio presso una casa circondariale; Cass. pen., Sez. VI, 27 agosto 1986, in CED n. 174340 e Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2004, n. 21709, in Riv. dir. prof. san., 2004, pp. 181 ss., entrambe in relazione alla condotta di un’ostetrica).

In particolare, questa posizione di garanzia – che va sotto il nome di posizione di protezione – è contrassegnata dal dovere giuridico incombente su ogni operatore sanitario, di provvedere alla tutela dell’incolumità dei pazienti contro qualsivoglia pericolo (così C. Parodi-V. Nizza, La responsabilità penale del personale medico e paramedico, Utet, Torino, 1996, pp. 211 ss.; per un inquadramento generale sul concetto di posizione di garanzia si veda il recente contributo di ************, La posizione di garanzia del medico, Giuffrè, Milano, 2013; cfr. anche F. Mantovani, L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di libertà e di responsabilità personale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, pp. 337 ss.; I. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, ************, Torino, 1999, p. 119 ss; nonché il contributo di A. *****-************, Medicina legale della responsabilità medica: nuovi profili, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 318 ss.; per quanto concerne il tema della posizione di garanzia degli operatori sanitari, E. Sborra, La posizione di garanzia del medico, in AA.VV., Medicina e diritto penale, ETS, Firenze, 2009, pp. 115 ss.; per quanto riguarda la posizione del sanitario avuto riguardo delle generali norme di diligenza, prudenza e perizia si veda *********, La posizione di garanzia degli operatori psichiatrici. Giurisprudenza e clinica a confronto, *************, Milano, 2011, pp. 47 ss.;

Nel caso di specie si appurava che l’operatore sanitario, incaricato del trasporto della degente, non prestando tutte le cautele del caso teneva una condotta negligente sia perché ometteva di illuminare il corridoio ove avveniva il trasporto stesso sia perché sceglieva, in modo parimenti imprudente, modalità di conduzione della barella scorrette in quanto tirava questa da dietro anziché sospingerla in avanti come di regola prescritto. I due profili di responsabilità appena richiamati venivano confutati dalle tesi difensive e utilizzati per sostenere l’illogicità della motivazione della sentenza in quanto da una parte si lamentava che l’assenza di illuminazione era stata accertata un ora dopo il fatto e dall’altra che le particolari modalità di conduzione della lettiga erano dovute ad un accorgimento circa la presenza di un dislivello tra il piano di calpestio e quello dell’ascensore ove stava avvenendo il trasporto. La difesa, inoltre, concludeva eccependo che il comportamento tenuto in concreto non fosse qualificabile come colposo stante il generale obbligo gravante su altri soggetti – recte la struttura ospedaliera – di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro. Analizzando i primi due profili richiamati dalla difesa bisogna soffermare l’attenzione sui requisiti di accertamento della colpa. Occorre anzitutto premettere che in base all’art. 43 c.p., elemento qualificante il delitto colposo è, oltre alla mancata volizione del fatto di reato (M. ROMANO, sub art. 43, in Commentario sistematico del codice penale, vol. I, III ed., Giuffrè, Milano, 2004, p. 454; T. PADOVANI, Diritto penale, IX ed., Milano, 2008, p. 206), l’inosservanza delle regole cautelari di condotta volte a prevenire il verificarsi di eventi rischiosi o dannosi determinate sulla base della migliore scienza ed esperienza del momento storico nello specifico settore. Si avrà pertanto la colpa generica nell’ipotesi di inosservanza delle comuni regole di condotta non scritte quali quelle di diligenza, prudenza e perizia e la colpa specifica nel caso di inosservanza delle regole scritte cristallizzate in leggi, regolamenti, ordini o discipline (************, La colpa per inosservanza di leggi, Giuffrè, Milano, 1965, spec. p. 194). Oltre alla violazione della norma cautelare di condotta è necessario altresì che all’agente possa muoversi il rimprovero della loro mancata osservanza sulla base di un criterio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento (tra gli altri, ************, op. cit, p. 177 ss; F. MANTOVANI, Diritto penale – parte generale, V ed., Padova, 2007, p. 328; ***********-********, Diritto penale – parte generale, VI ed., **********, Bologna, p. 539; **********Ò, Diritto penale, IV ed., Torino, 2011, p. 351; per ulteriori riferimenti, ***********, Commento all’art. 43, in E. DOLCINI-************ (a cura di), ************************, vol. I, II ed., Milano, 2006 n. 73 ss.). Per ritenere integrata la fattispecie criminale va tuttavia tenuto fermo che il comportamento, posto in essere dal soggetto, deve risultare stricto sensu colpevole (cfr. *********, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Giuffrè, Milano, 1991; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2006; ********, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1990, p.167; F. GIUNTA, Illicietà e colpevolezza nella responsabilità colposa, Cedam, Padova, 1993, p. 35 ss.; F. GIUNTA, La normatività della colpa colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 86 ss; A. CANEPA, Imputazione soggettiva della colpa. Il reato colposo come punto cruciale nel rapporto fra illecito e colpevolezza, Torino, 2011, spec. 69-70). Onde per cui ogni operatore sanitario sarà tenuto all’osservanza delle norme cautelari delle rispettive attività nell’ambito del principio di auto-responsabilità, per il quale ciascuno risponde dell’inosservanza delle relative regole e in virtù di ciò «ogni sanitario non potrà esimersi dal conoscere e valutare le situazioni fattuali che vi si presentano ponendo, se del caso, rimedio a errori altrui che siano evidenti, come tali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio» (Cass. pen., sez. IV, 26 gennaio 2005 in CED n. 231538; Cass. pen., sez. IV, del 12 luglio 2006, n.33619, in Cass. pen., 2007, p.796 che sottolinea la necessità per cui ogni sanitario è responsabile del rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche mansioni svolte; dello stesso tenore, Cass. pen., sez. IV 6 ottobre 2006, in CED n. 33619).

Sul punto vale la pena di accennare alla responsabilità penale della struttura ospedaliera. Anzitutto la normativa è stata notevolmente modificata con la emanazione del D. lgs. n. 502/1992 e succ. mod, che ha trasformato la U.S.L. in una azienda dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e tecnica, e ha individuato quale responsabile della azienda, dotato di notevole autonomia, il direttore generale, coadiuvato dal direttore sanitario e dal direttore amministrativo. In altri termini, l’individuazione di questi tre soggetti può permettere di attribuire responsabilità penali anche nel caso in cui, in presenza di danni ai pazienti, vi siano state – indipendentemente dalla correttezza comportamentale dei medici e degli infermieri – carenze strutturali od organizzative chiaramente attribuibili a queste figure. Rilevante sul punto la giurisprudenza della Corte secondo la quale «va ascritta alla penale responsabilità del direttore amministrativo della struttura ospedaliera, a titolo di colpa, la morte della paziente in seguito a intervento chirurgico, nel caso che questi non predisponga una organizzazione almeno sufficiente e tale comunque da rendere possibile almeno quel minimo d’assistenza notturna post-operatoria, ferme le più specifiche competenze del direttore sanitario, che tutti gli interventi chirurgici eseguiti in anestesia impongono» (così Cass. pen. Sez. IV, 20 settembre -3 ottobre 1995, in CED n. 10093, fattispecie questa in cui la Suprema Corte ha qualificato un caso di morte in clinica realizzatasi a seguito di decorso post-operatorio problematico in ambiente privo di assistenza e qualificata vigilanza, in assenza di ogni struttura di intervento immediato). Sempre sul punto è utile menzionare la Suprema Corte secondo la quale «il dirigente medico ospedaliero è titolare di una posizione di garanzia a tutela della salute dei pazienti affidati alla struttura, perché i decreti legislativi n. 502 del 1992 e n. 229 del 1999 di modifica dell’ordinamento interno dei servizi ospedalieri hanno attenuato la forza del vincolo gerarchico con i medici che con lui collaborano, ma non hanno eliminato il potere – dovere in capo al dirigente medico in posizione apicale di dettare direttive generiche e specifiche, di vigilare e di verificare l’attività autonoma e delegata dei medici addetti alla struttura, ed infine il potere residuale di avocare a sé la gestione dei singoli pazienti (così Cass. pen. Sez. IV, 29 settembre 2005, in CED n. 47145 in cui la Corte con specifico riferimento alla disciplina del d.lg. n. 502 del 1992 ha statuito che l’omesso esercizio di siffatte competenze causa il coinvolgimento del dirigente medico nella responsabilità per il fatto omicidiario, conseguente all’omissione colposa del trattamento terapeutico, commesso dai medici collaboratori).

Alla luce di quanto sopra, è possibile affermare che solo in questi e consimili casi si potrà accertare la responsabilità penale degli amministratori centrali, mentre per quanto riguarda gli amministratori dell’azienda ospedaliera occorrerà valutare caso per caso la loro autonomia decisionale. Ed infatti vi è chi ha efficacemente osservato come siano molti i casi di «evaporazione della responsabilità penale», quando le scelte tecniche od organizzative sconfinano in quelle discrezionali e politiche (così **********, Individuazione del soggetto penalmente responsabile all’interno delle strutture complesse, con particolare considerazione per le strutture sanitarie, in Cass. pen. 2004, p. 89 e ss.).

Venendo all’analisi dell’ultimo profilo che riguarda il principio di affidamento invocato dall’imputato ad esclusione della sua responsabilità penale, bisogna premettere che questo criterio ha rilievo soprattutto nelle attività c.d. rischiose: in queste le attività concorrenti di più soggetti, con obblighi diversi, il problema della colpa viene risolto mediante il corretto comportamento di altri soggetti, essendo anch’essi tenuti all’osservanza delle rispettive regole di condotta. Ciò al duplice fine di conciliare il principio delle responsabilità personale ex art. 27 Cost. con la specializzazione e la divisione dei compiti, nonché di consentire agli operatori il migliore adempimento – liberi dalla costante preoccupazione di controllare l’altrui operato – delle proprie mansioni, nell’interesse degli stessi destinatari dell’attività (in dottrina sul punto si veda il recente contributo di L. RISICATO, L’attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco, in Itinerari di **************, (collana diretta da) **********-***********-********-T. Padovani-F. Palazzo-F. Sgubbi, ************, 2013; ************-***********, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in èquipe, in Temi, 1968, p. 232; *******, Limiti dell’obbligo di prevedere le imprudenze altrui, in Riv. circ. strad., 1964, p. 330; F. MANTOVANI, voce Colpa, in Dig. disc. pen., Vol. II, Torino, 1988, p. 311; ************, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Giuffrè, Milano, 1997 p. 186; ***********- *******, sub art. 43, in Codice penale, Vol. II, Giuffrè, Milano, 2000, p. 326; in giurisprudenza, sulla responsabilità dell’assistente per omesso controllo sul l’operato del capo- èquipe, Cass. pen., sez. IV, 5 gennaio 1982 n. 1543, in Cass. pen.,1983; Cass. pen., sez IV, 15 febbraio 1982, in CED n. 154656; Cass. pen. Sez IV, 18 gennaio 1995, in CED n. 201553; Cass. pen., sez. IV, 19 gennaio 1999, in Cass. pen., 2000, p. 583; per l’omessa segnalazione e dissenso dell’assistente rispetto rispetto al primario, Cass. pen., 28 giugno 1986, in Cass. pen., 1997, p. 3034; dell’anestesista per omesso controllo sull’operato dell’ausiliario collaboratore, Cass. pen., IV sez., 16 novembre 1990, in CED n. 187989; del medico di turno, succeduto ad altro medico, in caso di mutate condizioni del paziente, Cass. pen., IV sez., 10 novembre 1998, in Cass. pen., 2000, p. 586; del chirurgo per la rilevabile scorrettezza dell’anestesista, App. Genova, 13 gennaio 1991, in Foro it., 1994, II, p. 586; per la non responsabilità dell’anestesista che segnalò al chirurgo l’errore terapeutico, Pret. Verbania, 11 marzo 1998, in Indice pen., 1997, p.1187; dell’anestesista per il tampone lasciato dal chirurgo nell’addome, Cass. pen., 9 agosto 1984, in questa Rivista, 1987, p. 776). Con il principio di affidamento si vuole circoscrivere entro limiti ragionevoli la responsabilità per colpa sul presupposto che, essendo ciascun individuo capace d’intendere e volere dotato di attitudine all’autodeterminazione responsabile, ognuno dovrà evitare solo i pericoli scaturenti dalla propria condotta e non dovrà spingere la diligenza sino a prevedere e prevenire comportamenti pericolosi di altre persone (così Cass. pen. sez. IV, 28 maggio 2008, n. 24360, in Guida al dir. 2008, fasc. n.31, 100, che esclude il principio di affidamento del medico nei confronti dell’infermiere al quale sia stata delegata una funzione meramente esecutiva per la somministrazione di un farmaco poiché l’operazione rientra pur sempre nella sfera di competenza – e quindi di vigilanza – del medico-delegante; anche Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2004, n. 39062, RP, 2005, p. 302; in dottrina, sul punto sul punto F. MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. It. dir. proc. pen., pp. 536 ss; *************, Il fatto di reato, Torino, 2004, p. 140). Si tratta anche di una soluzione che è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti degli operatori sociali (ex plurimis Cass. pen. sez. IV, 26 maggio 2006, n. 31462, in Cass. pen., 2008, p. 556, con nota di **********, Concause antecedenti e principio di affidamento: fra causalità attiva ed omissiva; e spec. Cass. pen. Sez. IV, 11 ottobre 2007, in CED n. 41317, che in materia di attività medico-chirurgica svolta in équipe stabilisce che la divisione del lavoro costituisce un fattore di sicurezza in quanto ciascuno dei sanitari è chiamato a svolgere il lavoro in relazione al quale possiede una specifica competenza e perché, in rapporto ad esso, è posto nelle condizioni di profondere tutta la diligenza, prudenza e perizia richieste, senza essere tenuto a controllare continuamente l’operato dei colleghi; anche Cass. pen., sez. IV, 12 luglio 2006, n. 33619, in Ragiusan, 2007, p. 283).

Dalla ricognizione dei presupposti del principio di affidamento è quindi agevole argomentare a contrariis tre ipotesi, nelle quali, per giurisprudenza e dottrina pacifica, non è invocabile siffatto principio ai fini dell’esonero da responsabilità penale. Ciò avviene nel caso in cui l’errore attenga all’inosservanza di obblighi comuni o indivisi, vale a dire di obblighi parimenti gravanti su più medici o anche medici e personale ausiliario, tutti tenuti ad osservare le medesime regole cautelari di condotta; poi nel caso in cui colui che, per cosi dir, si affida sia in colpa, per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciò nonostante, confidi che altri elimini quella violazione o ponga rimedio a quella omissione; infine tale principio non rileva ove sussista una posizione di garanzia qualificata in capo a soggetti che rivestono una posizione apicale all’interno del gruppo, tale da imporre un obbligo di vigilanza più penetrante ed entro i limiti in cui tale controllo sia esigibile.

Nel caso concreto però la Corte esclude categoricamente che il soggetto agente possa invocare la limitazione della responsabilità penale per colpa professionale sull’assunto che questi sia esonerato dalla particolare attenzione richiestagli in virtù di un obbligo – rectius sul principio di affidamento – gravante su terze persone di manutenzione strutturale dell’immobile ove egli operava. Per l’infermiere, la possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza e prudenza è venuto meno allorché, in relazione alle particolari cattive condizioni del pavimento, non si è avveduto di adottare tutte le precauzioni del caso e ciò tenuto anche conto dell’obbligo di protezione dei pazienti che la legge gli imponeva (ex plurimis Cass. pen., 1 ottobre 1998, in CED n. 212140; Cass. pen., sez. IV, 18 giugno 1999, n.8006, in CED n.214248; Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 1999 n. 8006, in Giust. Pen., 2000, p. 266; nello stesso senso anche Cass. pen., sez. IV, 22 novembre 2002, in CED n.222932, in Riv. Pen., 2003, p. 110; Cass. IV, 13 febbraio 2003, n. 7026, in Riv. pen. 2003, p. 507; Cass. pen., sez. IV, 26 gennaio 2005, in CED n.18568; Cass. pen., sez. IV, 19 giugno 2006 n. 38424, in Guida al dir. 2007, fasc. n.2, 94);

Il principio di per sé resta valido per reati colposi in genere «in quanto coerente applicazione della responsabilità penale, in forza del quale ognuno risponderà delle conseguenze della propria condotta, commissiva e omissiva e nell’ambito delle proprie conoscenze e specializzazioni» (così Cass. sez. IV, 28 maggio 2008, n.24360, in Guida al dir. 2008, fasc. n.31, 100) cosicché ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro sarà responsabile dell’evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi ad errori altrui, riconoscibili ed emendabili, commessi anche in fasi antecedenti il suo specifico operato.

Vese Donato

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