Ogni azione a fondamento del diritto di proprietà richiede la prova rigorosa

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Quando, oltre all’accertamento della proprietà, la domanda giudiziale tende a conseguire anche il pieno utilizzo del bene, occorre fornire la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica della proprietà ex art. 948 Cc.

 

Parte della giurisprudenza, viceversa, ritiene che tale severa prova, cd. probatio diabolica, non sia necessaria allorquando la domanda sia limitata al mero accertamento della proprietà, senza alcuna pretesa restitutoria, dovendo in questo caso semplicemente dimostrare il titolo d’acquisto del bene.

 

Con la sentenza n. 1210, pubblicata in data 18 gennaio 2017, la Corte di Cassazione (relatore dott. A. Scarpa, Pubblico Ministero dott. A. Celeste) torna sulla questione, dando atto dell’esistenza di un ulteriore orientamento che la stessa sembrerebbe sposare.

 

In altri termini, secondo questa ulteriore corrente di pensiero, anche nel caso di domanda volta al solo accertamento della proprietà, non esisterebbe alcuna attenuazione dell’onere probatorio, tesi più rigorosa che parrebbe sostenuta, in motivazione, anche dalle sezioni unite (Sent. n. 7305/2014), in virtù del fatto che, qualunque azione fondata sul preteso diritto di proprietà, andrebbe pienamente dimostrata.

 

L’occasione per l’affermazione di siffatto principio viene fornita dal giudizio intrapreso da due condòmini che assumevano essere comproprietari, assieme al condomino convenuto, di un terrazzo ubicato tra le rispettive unità immobiliari site nell’edificio in condominio. Gli stessi lamentavano che sul terrazzo l’altro comproprietario avesse illecitamente edificato un lucernaio che ne comprometteva l’utilizzo comune, conseguentemente, chiedevano la rimozione dello stesso, previo accertamento del loro diritto di proprietà sul terrazzo indiviso.

 

Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto della domanda in virtù della proprietà esclusiva del bene giusto titolo di acquisto, in virtù del quale avanzava anche domanda riconvenzionale al fine di accertare la sua proprietà esclusiva. Ad ogni modo, chiamava in giudizio i propri danti causa al fine di essere garantito in caso di evizione. Rimaneva contumace il condominio.

 

La domanda principale veniva rigettata in primo grado, con l’accoglimento di quella riconvenzionale, ma la sentenza, impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, veniva riformata e la terrazza dichiarata in comproprietà indivisa e in misura paritaria tra i proprietari di entrambi gli immobili che ad essa avevano accesso, con condanna del convenuto alla rimozione del lucernaio.

 

A fondamento della propria decisione il giudice del gravame ha ritenuto decisiva la menzione del terrazzo nell’atto di acquisto dell’immobile da parte degli attori, circostanza dalla quale ha fatto discendere la comproprietà del bene.

 

Di contrario avviso, tuttavia, la Corte di Cassazione che, infatti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

 

Premette la stessa che “secondo l’orientamento di questa Corte, erroneamente ritenuto non applicabile nel caso di specie dalla Corte d’Appello di Milano, gli attori dovevano soggiacere all’onere di offrire la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica della proprietà ex art. 948 c.c., avendo agito per ottenere – previo accertamento della comunione – il recupero della piena utilizzazione della terrazza, mediante demolizione del lucernaio costruito dal convenuto che pregiudicava il loro utilizzo del bene comune e ripristino della situazione dei luoghi, ovvero allo scopo di conseguire un provvedimento che consentisse loro l’esercizio dei poteri spettanti ai comunisti nell’uso del bene e quindi disponesse la modifica dello stato di fatto (cfr. da ultimo Cass. 11 maggio 2016, n. 9656, non massimata; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3648). E’ stato effettivamente affermato in passato da questa Corte che legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito (Cass. 14 aprile 2005, n. 7777; Cass. 9 giugno 2000, n. 7894; Cass. 4 dicembre 1997, n. 12300). In altre pronunce, viceversa, si è negata ogni attenuazione dell’onere probatorio del titolo del preteso dominio della proprietà, rispetto all’azione di rivendica, per chi proponga un’azione di accertamento della proprietà di un bene (Cass. 22 gennaio 2000, n. 696). Quest’ultima più rigorosa interpretazione potrebbe ora trovare corroborazione pure negli argomenti posti da Cass. sez. un. 28 marzo 2014, n. 7305, nel senso di non ammettere alcuna elusione dall’onere della probatio diabolica ogni qual volta sia proposta un’azione, quale appare pure quella di accertamento, che trovi il proprio fondamento comunque nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione”.

 

Ad ogni modo, nel caso concreto, posto che la domanda era rivolta sia all’accertamento della (com)proprietà che alla modifica della situazione di fatto creatasi, occorreva la prova della proprietà del bene, anche verificando la sequela degli atti di acquisto fino a chi abbia acquistato in via originaria ovvero dimostrando l’avvenuta usucapione del bene.

 

Al contrario, “la Corte d’appello di Milano ha ritenuto decisiva per provare la comproprietà del terrazzo in capo a …. omissis …. soltanto la menzione nell’atto di acquisto dell’immobile in loro favore, del confine “ad est enti comuni”, mentre ha privato di significatività la circostanza che lo stesso terrazzo, contiguo ed accessibile da entrambi gli appartamenti, avesse formato oggetto di esplicito riferimento prima nel decreto di trasferimento emesso con l’aggiudicazione a …. omissis …., e poi nel titolo di acquisto del 28 ottobre 1999 in capo al … omissis …, senza risalire a quella che in sentenza viene individuata quale comune dante causa rispetto alle successive vicende derivative”, con violazione del disposto di cui all’art. 948 Cc, in merito alla la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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