Offerta economicamente più vantaggiosa: è fatto obbligo alle stazioni appaltanti di enunciare nel capitolato d’oneri o nel bando di gara i criteri che intendono applicare per assicurare che i partecipanti alla gara d’appalto conoscano, attraverso la lettu

Lazzini Sonia 16/11/06
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 5323 del 14 settembre 2006, merita di essere segnalato per i seguenti importanti passaggi in essa contenuti:
 
cosa conteneva la lex speciliasi di gara:?
 
<Nel caso di specie la stazione appaltante solo con il disciplinare di gara ha specificato i criteri selettivi dell’aggiudicatario mentre con la lettera d’invito a rimesso alla commissione di gara la graduazione fra alcuni degli stessi criteri. >
 
qual è stato il comportamento della Commissione?
 
La commissione di gara ha graduato le sottovoci previste dal disciplinare di gara, attribuendo, a suo insindacabile giudizio i 25 punti previsti dal bando fra dette sottovoci, che, pur specificate   dal disciplinare, per essere relative all’organizzazione ed alle strutture logistiche e di supporto da utilizzarsi nella gestione dei servizi oggetto del contratto, ovviamente sono direttamente attinenti le caratteristiche aziendali dei partecipanti alla gara.>
 
Quale rischio deriva da un tale comportamento?:
 
< Ne deriva, a giudizio del Collegio, che la importanza relativa delle predette sottovoci avrebbe dovuto essere nota ai potenziali concorrenti già al momento della produzione delle loro offerte al fine di evitare il pericolo che la commissione potesse orientare a proprio piacimento ed a posteriori l’attribuzione di tale determinante punteggio e, quindi l’esito stesso della gara, dopo averne conosciuto gli effettivi concorrenti.>
 
 
Attenzione alla par condicio
 
< Per la Corte di Giustizia, inoltre, nel caso di specie, occorre valutare se tale decisione contenga elementi che, se fossero stati noti al momento della redazione delle offerte avrebbero potuto influenzare detta preparazione: ebbene, a giudizio del Collegio, tale decisione contiene elementi che avrebbero potuto influenzare la preparazione delle offerte, essendo chiaro che le imprese partecipanti alla gara quantomeno andavano sin dall’inizio messe su un piano di parità nella conoscenza del peso relativo da assegnarsi alla disponibilità di immobili nella Provincia di Venezia da destinarsi a depositi o sedi aziendali.>
 
alcuni criteri potrebbero essere discriminatori:
 
< Va inoltre considerato che le sottovoci ponderate dalla Commissione davano rilievo ad elementi quali il possesso dei depositi disponibili nella Provincia ed il numero delle sedi ( diverse dai depositi ) aziendali disponibili nella Provincia di Venezia che, per essere riferite al collegamento con un determinato territorio, dovevano considerarsi aventi potenziale valore discriminatorio fra gli operatori in ragione della localizzazione territoriale delle loro attività e , quindi, dovevano essere rese note, nel loro peso relativo, prima della preparazione delle offerte, se non prima della loro candidatura alla gara.>
 
 
Non tutte le attività vanno demandate alla Commissione di gara:
 
 <In ultimo va considerato che gli elementi che , secondo la lettera di invito, erano da ponderarsi da parte della Commissione di gara, non avevano un vero e proprio carattere tecnico, sicché non sussisteva alcuna effettiva necessità, per la stazione appaltante, in ragione della complessità tecnica delle scelte da effettuarsi in ordine alla valutazione dell’offerta tecnica, per demandare alla commissione di gara la graduazione del punteggio o per definire, come è stato nella specie, solo nella lettera d’invito e non nel bando di gara i criteri selettivi ed i relativi pesi degli stessi, peraltro riservandosi di meglio tararli nel corso della procedura, mediante l’intervento della Commissione di gara.>
 
attenzione all’eventuale discriminazione su base territoriale:
 
     In sostanza dal modus operandi prescelto dall’amministrazione potrebbe derivare una discriminazione a favore delle imprese già localizzate in un determinato ambito territoriale, senza che la stessa sia collegabile ad alcuna apprezzabile necessità di definire in sede tecnica la complessa ponderazione di elementi di valutazione dell’offerta ( gli elementi ponderati dalla commissione sono strettamente correlati ad esigenze amministrative della stazione appaltante definibili compiutamente nella lex specialis sin dal momento della formazione del bando ).>
 
Conclusione:
 
< Di qui l’illegittimità degli atti di gara.>
 
 
appare inoltre significativa la disamina attuata dal Supremo Giudice Amministrativo, relativamente al risarcimento del danno da perdita di chance:
 
<Tale lesione deve consistere nella perdita, definitiva, di un’occasione favorevole di cui il soggetto danneggiato si sarebbe avvalso con ragionevole certezza, ossia nella elisione di un bene, giuridicamente ed economicamente rilevante, già esistente nel patrimonio del soggetto al momento del verificarsi dell’evento dannoso, il cui valore, però, è dato dalle sue utilità future, ovvero dalla sua idoneità strumentale a far sorgere in capo al dominus dello stesso una data e specifica situazione di vantaggio. In particolare la condotta illecita deve concretarsi “nell’interruzione di una successione di eventi potenzialmente idonei a consentire il conseguimento di un vantaggio, generando una situazione che ha carattere di assoluta immodificabilità, consolidata in tutti gli elementi che concorrono a determinarla, in modo tale che risulta impossibile verificare compiutamente se la probabilità di realizzazione del risultato si sarebbe, poi, tradotta o meno nel conseguimento dello stesso”
 
     L’evento dannoso deve essere, inoltre, imputabile alla pubblica amministrazione quantomeno a titolo di colpa, conformemente a quanto previsto in via generale in tema di responsabilità civile e risarcimento del danno. A tale riguardo occorre sottolineare che, secondo oramai consolidata giurisprudenza, l’illegittimità dell’atto attraverso cui si manifesta la condotta illecita non è sufficiente per fondare la responsabilità dell’amministrazione, ma è altresì necessario che l’agire della pubblica amministrazione sia connotato dall’elemento soggettivo della colpa, che non può essere considerato in re ipsa nella violazione della legge o nell’eccesso di potere estrinsecatesi nell’adozione ed esecuzione dell’atto illegittimo.>
 
 
 
a cura di Sonia Lazzini
 
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
sul ricorso in appello proposto da ATI ** SRL e VIAGGI ** SNC in persona del suo legale rappresentante pro tempore, legale rappresentante della ** SRL, quale società capogruppo, quest’ultimo anche come rappresentante della ** SRL che ricorre anche in proprio, nonché la VIAGGI ** SNC in persona del suo legale rappresentante, rappresentati e difesi dall’avv. Lodovico Visone ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma alla via degli Avignonesi n. 5;
 
contro
 
ATCV Venezia spa in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Bianchini di Venezia ed Enrico Romanelli di Roma e domiciliato per legge in Roma presso lo studio dell’avv. Enrico Romanelli Viale Giulio Cesare n. 14 scala A, int. A;
 
PROVINCIA DI VENEZIA,
 
COMUNE DI VENEZIA, entrambi non costituiti in giudizio;
 
e nei confronti di
 
ATI ** SPA, non costituita in giudizio;
 
per l’annullamento
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione I – n. 2399 del 2003;
 
     Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
     Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte intimata;         
 
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
     Visti gli atti tutti della causa;
 
     Alla camera di consiglio del 31 marzo 2006 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro.
 
     Uditi gli avv.ti Visone, Fiore, Bianchini e Pafundi per delega di Romanelli; 
 
     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
F A T T O
 
     L’appellante ha partecipato ad una procedura negoziata, indetta dall’ATCV, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ex art. 24 lett. b) del d.lgs. n. 158/1995, per il sub affidamento dei servizi automobilistici di trasporto persone, dal 16 giugno 2002 al 31 dicembre 2003, lotto n. 1 – servizio urbano di Mestre.
 
     Per il lotto in questione hanno presentato offerte la ricorrente e l’ATI ** che è risultata aggiudicataria con punti 86,53 mentre l’ATI ** ha conseguito punti 83,50.
 
     La ricorrente ha impugnato gli atti ed i provvedimenti in epigrafe indicati, formulando sette censure, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, e chiedendo la reintegrazione in forma specifica ed il risarcimento del danno per equivalente.
 
     L’ACTV, costituendosi in giudizio, in primo grado, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per diverse ragioni e comunque la sua infondatezza nel merito.
 
     Il Tar ha respinto il ricorso.
 
     L’appello critica la sentenza, articolando ben tredici motivi e ripropone integralmente le censure già avanzate in primo grado.
 
     Costituendosi l’appellata rileva l’inammissibilità di nuovi motivi proposti per la prima volta in sede di appello e conclude per il rigetto del ricorso.    
 
     La causa è stata rimessa alla Corte di giustizia delle Comunità europee per la risoluzione di alcune questioni pregiudiziali ed è stata poi riassunta innanzi al Consiglio di Stato per la definizione del giudizio.   
 
D I R I T T O
 
     L’appello è fondato.
 
     Giova ripercorre i tratti salienti del giudizio.
 
     1. Il motivo di ricorso, riproposto in appello, che pone una questione interpretativa di diritto comunitario.
 
     Il Collegio ha ritenuto che per la sua serietà la questione proposta con il terzo motivo del ricorso originario imponesse la rimessione alla Corte di Giustizia CE.
 
     Con esso si lamenta violazione di legge ( art. 36 dir. 92/50 CE; art. 24 1 comma lett. b) del d.lgs. n. 158/1995) ed eccesso di potere,sotto il profilo della violazione del giusto procedimento, dello sviamento, della disparità di trattamento, dello straripamento di potere, violazione dei principi di segretezza e par condicio, ed ancora si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 1 e 21 della legge n. 109/1994 e reg. n. 554/1999.
 
     Con il terzo motivo citato, si censura l’aggiudicazione avvenuta in quanto la lettera d’invito prevedeva l’attribuzione di 25 punti, genericamente, per modalità organizzative e strutture di supporto, mandando all’arbitrio della Commissione la specificazione e, dunque , l’aggiudicazione della gara.
 
     Svolgendo tale illecita delega – nota l’appellante – con il verbale n. 1, note le imprese partecipanti, ha suddiviso il punteggio in sottogruppi, attribuendo per le attrezzature ( e depositi e sedi ) 10 punti.
 
     Ciò non sarebbe consentito – secondo l’assunto del ricorrente – in quanto la Commissione europea, con il parere 10 agosto 1998, reso nell’esame del c.d. decreto Karrer ( che, all’art, 3 legittimava tale prassi, ritenendola illegittima per contrasto con l’art. 36 dir. 92/50 ) ha già chiarito l’illegittimità dell’affidamento alla Commissione aggiudicatrice – successivamente alla presentazione delle offerte, di disporre l’ulteriore suddivisione dei criteri di valutazione delle offerte in sottogruppi, ancorché questo avvenga prima dell’apertura dei plichi.
 
     Tanto perché l’art. 36 dir. cit. così come l’art. 24 lett. b) del d.lgs. n. 158/1995, obbligano le stazioni appaltanti ad enunciare nel capitolato d’oneri o nel bando di gara i criteri che intendono applicare per assicurare che i partecipanti alla gara d’appalto conoscano, attraverso la lettura del bando di gara in base a quali criteri verrà effettuata la valutazione ( vengono in proposito richiamati il punto 9 parere della Commissione citato; Corte di Giustizia CE , in causa n. 31/1987, decisione 20 settembre 1988 , Cons. Stato, Sez. V, n. 3187/2001 ). 
 
     Nella specie, si sostiene, già nella fase della prequalificazione ( che per l’insegnamento del Consiglio di Stato va distinta dalla fase di valutazione delle offerte ) erano note le attrezzature di cui disponevano le imprese richiedenti l’invito alla gara.
 
     O, comunque, una volta note le imprese tali caratteristiche delle stesse sarebbero state agevolmente conoscibili.
 
     Tali principi avrebbero trovato espressa previsione legislativa per gli appalti di lavori.
 
     Infatti – si rileva – ad ulteriore specificazione del principio di trasparenza, con l’art. 91 del d.p.r. n. 554 del 1999 si è chiarito che la Commissione di gara non ha alcuna autonomia nella ricerca dei criteri per la valutazione delle offerte tecniche, essendo a questa riconosciuta solo la potestà di scegliere tra i criteri e le formule di cui all’allegato B quelle indicate nel bando.
 
     Precisandosi altresì che lo stesso bando di gara per tutti gli elementi di valutazione qualitativa prevede i sub –elementi ed i sub-pesi o i sub-punteggi in base ai quali è determinata la valutazione.
 
     Principi che, per espressa previsione dell’art. 1 comma 2 della legge n. 109/1994, costituiscono norme fondamentali di riforma economico –sociale e principi della legislazione dello Stato anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato.
 
     In nessun caso, pertanto – assume l’appellante – alla Commissione di una gara di evidenza pubblica tesa all’aggiudicazione di un contratto di appalto, sarebbe consentito di indicare i sub-elementi ed i sub-punteggi.
 
     Sicché la stazione appaltante giammai avrebbe potuto tener conto di tali sub-elementi o sub-punteggi in sede di valutazione.
 
     Da ciò deriva l’illegittimità dell’eventuale aggiudicazione definitiva, nonché l’illegittimità della lettera d’invito che tanto consentiva.
 
     Si assume che solo la fissazione dei sub-punteggi postumi ( fissati quando erano note le imprese e quindi le loro caratteristiche organizzative ) avrebbe consentito all’impresa controinteressata ATI ** di divenire aggiudicataria.
 
     2. La difesa della stazione appaltante
 
     La stazione appaltante – nelle difese di primo grado – ha richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale nel procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto ( nella specie si trattava di un appalto-concorso ) la commissione di gara può introdurre elementi di specificazione ed integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte già indicati nel bando di gara o nella lettera di invito, ovvero dei sotto-criteri di adattamento dei criteri generali o regole specifiche sulle modalità di valutazione, solo quando vi provveda prima dell’apertura delle buste recanti le offerte dei partecipanti, dopo tale momento non è possibile introdurre nuovi elementi di valutazione delle offerte ( CdS V, 26 gennaio 2001 n. 264) ( memoria del 28/10/2002).
 
     Ulteriori decisioni erano poi richiamate nella memoria del 21 marzo 2003: CdS, V, 25 novembre 2002 n. 6478 e CdS , V, 17 ottobre 2002 n. 5675, secondo le quali : “nelle procedure di gara, in via generale ed anche quando si tratti di appalti di servizi, la Commissione può operare, ove ritenuto necessario, ulteriori specificazioni dei criteri di valutazione delle offerte, ma alla inderogabile condizione che tale attività si svolga prima della conoscenza del contenuto delle offerte stesse ( fatto incontestato nella specie ove si mette in rilievo la circostanza che tale fissazione dei criteri è avvenuta dopo la presentazione delle offerte, quindi quando erano note le imprese partecipanti e le loro caratteristiche non il contenuto delle loro offerte ).
 
     3. La sentenza impugnata 
 
     La sentenza impugnata ha rilevato che i criteri di aggiudicazione ed i relativi punteggi da applicare vanno indicati nella lex specialis di gara, e che, nel caso in esame, il disciplinare di gara ( pagine 4 e 5 ) ha indicato gli elementi di valutazione da considerare ai fini dell’aggiudicazione del servizio .
 
     Ha poi continuato la sintetica motivazione rilevando che la Commissione di gara, prima dell’apertura delle buste con le offerte, ha legittimamente specificato ed integrato l’elemento di valutazione indicato nel disciplinare e riguardante le modalità organizzative e le strutture di supporto, attribuendo sub-punteggi ad alcune voci indicate, appunto, nel verbale del 29 maggio 2002, a pag. 2 ( v . allegato 4 fasc. ATVC ), tra le quali vi sono la proprietà o la disponibilità di depositi e sedi.
 
     Ha, in ultimo, concluso, rilevando che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ( e viene citata CdS, V, 25 novembre 2002 n. 6478 ) in materia di appalti di servizi, qualora la scelta della migliore offerta discenda dalla valutazione di una pluralità di elementi di natura tecnica ed economica, riconosce alla commissione di gara la facoltà di specificare ed integrare i criteri generali di valutazione delle offerte già indicati nella lex specialis, individuando sotto-voci e stabilendo sub-punteggi, in maniera tale da rendere la scelta dell’Amministrazione maggiormente aderente alle effettive esigenze della stazione appaltante, purché tale specificazione ed integrazione avvenga prima dell’apertura delle buste recanti le offerte ( sul punto si richiama inoltre CdS, V, n. 264/2001; CdS , n. 1614/2000; CdS VI, n. 2117/1999; CdS VI, n. 370/1999 ).
 
     La sentenza ha poi , quanto all’art. 91 del d.p.r. n. 554/1999 ritenuto che esso non è applicabile agli appalti nei settori ex esclusi, disciplinati dalla normativa interna della direttiva CE sugli ex settori esclusi ossia dal d.lgs. n. 158/1995 ed ha rimarcato che nella specie la specificazione dei criteri è avvenuta prima dell’apertura delle buste e che ciò basta, indipendentemente da ulteriori considerazioni circa l’estrema opinabilità dell’affermazione della ricorrente secondo cui era di immediata conoscenza, o comunque era agevolmente conoscibile, da parte della stazione appaltante, la (mera) disponibilità di depositi o aree per il parcheggio degli autobus.
 
     La sentenza ha concluso quindi per la conformità della condotta della stazione appaltante al disposto di cui all’art. 24 lett. b) del d.lgs. n. 158/1995.
 
     4. L’appello.
 
     L’atto di appello, con ampia motivazione, ripercorre la motivazione della sentenza, censurandola , e ripropone la censura già avanzata in primo grado e sintetizzata sub 1 della parte motiva di questa ordinanza. Ciò determina la rilevanza della questione nel presente giudizio.
 
     5. Le operazioni di gara.
 
     Va rilevato, sul piano dello svolgimento dei fatti, che la stazione appaltante ha fissato i criteri di aggiudicazione nel disciplinare di gara.
 
     Il punto 5 del disciplinare di gara, allegato alla lettera di invito, stabilisce che l’aggiudicazione dell’appalto avverrà sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa previsto dall’art. 24 lett. b) del d.lgs. n. 158/1995 relativamente ai seguenti elementi di valutazione:
 
     1. prezzo al chilometro per i servizi indicati negli allegati A,B, e C del capitolato:
 
     max 60 punti attribuiti mediante la relazione:
 
     prezzo minimo tra le offerte : prezzo dell’offerta considerata x 60
 
     2. prezzo al chilometro per servizi aggiuntivi a quelli degli allegati A, B, e C del capitolato :
 
     max 10 punti attribuiti mediante la relazione :
 
     prezzo minimo fra le offerte: prezzo dell’offerta considerata x 10
 
     Nel calcolo dei punteggi si terrà conto fino alla seconda cifra decimale mediante troncatura delle eventuali cifre successive.
 
     3. modalità organizzative e strutture di supporto utilizzate per l’esecuzione del servizio desumibili dal documento di cui al punto 3.10 n. 6 del presente disciplinare:
 
     max 25 punti attribuiti da ACTV a suo insindacabile giudizio.
 
     4. possesso di certificazione di qualità conforme alle norme EN9000: 5 punti.
 
     Il punto 3.10 n. 6 prevede che il plico d’offerta debba contenere una “relazione descrittiva dell’organizzazione e delle strutture logistiche e di supporto che saranno utilizzate nella gestione dei servizi oggetto del contratto in caso di aggiudicazione, che dovrà contenere obbligatoriamente almeno le seguenti indicazioni :
 
      – depositi e/o aree per il parcheggio degli autobus, di proprietà o in disponibilità dell’impresa, nel territorio della provincia di Venezia ( n°, ubicazione, superficie indicativa, breve descrizione )
 
     – modalità di controllo del servizio erogato e n° di addetti al controllo del servizio stesso
 
     – n° conducenti di linea e tipo di patente posseduta
 
     – n° sedi di proprietà o in disponibilità dell’impresa ( diverse dai depositi ) nel territorio della provincia di Venezia ( n°, ubicazione, superficie indicativa, breve descrizione )
 
     – n° addetti all’organizzazione dei turni del personale di guida.
 
     La Commissione, prima di procedere all’apertura dei plichi, preso atto dell’elenco delle ditte invitate e di quelle che avevano presentato offerte nei termini, ha preso atto dei punteggi massimi da attribuire agli elementi di valutazione delle offerte così come fissati dal disciplinare di gara, ed ha poi fissato, circa il punto 3, modalità organizzative e strutture di supporto, per il quale erano , a tenore del disciplinare di gara , attribuibili max 25 punti , di ripartirli tra varie voci nel seguente modo:
 
     – depositi e/o aree per il parcheggio degli autobus, di proprietà o in disponibilità dell’impresa, nel territorio della provincia di Venezia ( n°, ubicazione, superficie indicativa, breve descrizione ): punti 8
 
     – modalità di controllo del servizio erogato e n° di addetti al controllo del servizio stesso : punti 7
 
     – n° conducenti di linea e tipo di patente posseduta: punti 6 
 
     – n° sedi di proprietà o in disponibilità dell’impresa ( diverse dai depositi ) nel territorio della provincia di Venezia ( n°, ubicazione, superficie indicativa, breve descrizione ): punti 2
 
     – n° addetti all’organizzazione dei turni del personale di guida: punti 2.
 
     La Commissione ha anche stabilito di attribuire i punteggi per modalità organizzative e strutture di supporto sulla base della documentazione prodotta al riguardo dalle concorrenti.
 
     In sostanza la Commissione ha predeterminato il valore da attribuire agli elementi già indicati in sede di disciplinare di gara, attribuendo ad essi un peso relativo, nell’ambito del punteggio massimo attribuibile , ma non ha introdotto delle sotto-voci non previste dalla lex specialis.
 
     6. Le norme di diritto comunitario rilevanti.
 
     In materia di appalto di servizi si incontra la norma di cui all’art. 36 paragrafo 2, della direttiva CE n. 50/1992, che stabilisce: “qualora l’appalto sia aggiudicato all’offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico, le amministrazioni enunciano, nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, i criteri di aggiudicazione di cui esse prevedono l’applicazione, possibilmente nell’ordine decrescente dell’importanza che è loro attribuita.”
 
     In materia di appalti negli ex settori esclusi, l’art. 34 paragrafo 2 della direttiva CE n. 38/1993 recita , in modo analogo: nel caso di cui al paragrafo 1 , lettera a) ( aggiudicazione secondo il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa ), gli enti aggiudicatori menzionano nel capitolato d’oneri o nel bando di gara tutti i criteri di aggiudicazione di cui prevedono l’applicazione, possibilmente nell’ordine decrescente dell’importanza che è loro attribuita.
 
     La Commissione CE ha ritenuto, valutando della legittimità comunitaria del c.d. decreto Karrer , che esso violasse l’art. 36 paragrafo 2 della direttiva 92/50 in quanto l’art. 3 comma 2 del decreto 116/1997, consentiva alla commissione giudicatrice di suddividere gli elementi di valutazione in sub elementi, e, pertanto, in contrasto con il principio di trasparenza.
 
     La Corte di Giustizia della Ce con sentenza del 20 settembre 1988, nella causa 31/1987 ha affermato che quando le amministrazioni aggiudicatrici non adottano come unico criterio di aggiudicazione dell’appalto quello del prezzo più basso, ma si basano su vari criteri al fine di procedere all’aggiudicazione dell’appalto a chi abbia effettuato l’offerta economicamente più vantaggiosa sono tenute a menzionare questi criteri nel bando di gara ( punto 38 della decisione predetta ).
 
     7. L’orientamento del Consiglio di Stato e la sua contestazione nella tesi dell’appellante.
 
     L’orientamento tradizionale ed assolutamente pacifico nella giurisprudenza del Consiglio di Stato è nel senso di legittimare un’antica prassi, ispirata a ragionevolezza sostanziale ( quando tale modus procedendi non comporta alcun reale vulnus alla legittimità del procedimento) tesa a riconoscere un certo spazio di intervento integrativo delle Commissioni di gara: si considera in questa chiave legittimo che la commissione giudicatrice possa introdurre elementi di specificazione, nell’ambito dei criteri generali prefissati dal bando e prevedere sottovoci delle categorie principali già definite per una più esatta valutazione delle offerte stesse ( ex multis CdS IV 21 luglio 1997 n. 737;CdS VI 16 aprile 1999 n. 370 ; CdS V, 13 aprile 1999 n. 412 ; CdS V, 26 giugno 2000 n. 3622 ; CdS, V, 23 marzo 2000, n. 1614; CdS VI 31 ottobre 2001 n. 5691;CdS VI 22-10-2002 n. 5808; CdS V 28 dicembre n. 6459; CdS IV 21 giugno 2001 n. 3348 – quest’ultima ha ritenuto ragionevole la disciplina del decreto Karrer ).
 
     Tale orientamento è ritenuto – dall’appellante – in contrasto con le indicazioni ricavabili dal diritto comunitario, in relazione al parere della Commissione CE sul c.d. decreto Karrer espresso in data 10 agosto 1988.
 
     L’appello richiama anche il tenore dell’art. 36 della dir. n. 92/50 CE, che è analogo al disposto dell’art. 34 della direttiva n. 93/38 CE, applicabile al caso in esame, anche se non espressamente e testualmente richiamato dall’appellante, che ha comunque dedotto in relazione al principio regolatore espresso da tale norma, ricavando da essa l’obbligo per le amministrazioni di enunciare al più tardi nel capitolato d’oneri i criteri di aggiudicazione, in modo da evitare che essi vengano formulati quando sono note esperienze o caratteristiche delle imprese.
 
     In sostanza secondo la prospettazione dell’appellante la possibilità di specificare i criteri da parte della Commissione potrebbe determinare un vulnus ai valori di trasparenza espressi dalla disciplina comunitaria, a fronte dei quali non sarebbero sufficienti le condizioni particolari di cautela poste dalla giurisprudenza nazionale, quali condizioni di legittimità dell’operato delle Commissione, ossia la necessità di precisare i criteri prima dell’apertura delle offerte e di determinarli nell’ambito dei criteri prefissati, poiché rileverebbe invece la prequalificazione, quale momento nel quale già divengono note le imprese ed diverrebbe astrattamente possibile quindi “orientare” la predeterminazione dei criteri secondo valutazioni mirate a favorirne una in luogo di altra.
 
     Ciò in relazione alla norma dell’art. 34 della direttiva n. 93/38 CE (ed all’analoga norma di cui all’art. 36 della dir. n. 92/50) pone il seguente serio problema interpretativo:
 
     “se sia legittimo interpretare tali disposizioni ( l’art. 36 della direttiva 92/50 e l’art. 34 della direttiva 93/38), come contenenti norme elastiche che permettono alla stazione appaltante, in caso di aggiudicazione con il metodo dell’offerta economica più vantaggiosa, di fissare i criteri in via generale nel bando o nel capitolato d’oneri, consentendo poi alla Commissione di gara, l’eventuale specificazione e/o integrazione di tali criteri, ove necessaria, e sempre che tale specificazione e/o integrazione avvenga prima della apertura dei plichi contenenti le offerte e non risulti innovativa dei criteri predeterminati dal bando o se, invece, detta norma debba essere interpretata come norma rigida, che impone alla stazione appaltante di determinare analiticamente i criteri di aggiudicazione nel bando o nel capitolato d’oneri, prima della prequalificazione o dell’invito ed esclude che la Commissione di gara possa in qualsiasi modo intervenire successivamente specificando e/o integrando i predetti criteri, o costruendo sotto-voci o sub-punteggi, in quanto ogni indicazione dei criteri di aggiudicazione , per ragioni di trasparenza, deve essere contenuta nel bando o nel capitolato d’oneri e, quindi, se sia legittimo, in definitiva, alla luce del diritto comunitario l’orientamento interpretativo tradizionale maturato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato volto ad ammettere l’intervento della Commissione di gara.”            
 
     Riteneva il Collegio che l’interpretazione data tradizionalmente dal Consiglio di Stato potesse trovare conferma alla luce dell’avverbio “possibilmente” contenuto nella disposizione che, riferito alla indicazione dei criteri in ordine decrescente, può anche significare che il bando può rimandare ogni specificazione dell’ordine di importanza dei criteri alla Commissione di gara purché si tratti di criteri desumibili e/o ricavabili dallo stesso bando, implicitamente od esplicitamente, ma rileva altresì che, trattandosi di questione nuova , per la quale non si rinvengono precedenti, essa, per la sua serietà, debba obbligatoriamente essere rimessa alla Corte di Giustizia CE.
 
     Ancora: “ se sia legittimo, alla luce di tale norma interpretata elasticamente alla luce dell’avverbio “possibilmente”, per la stazione appaltante emanare un disciplinare di gara che in relazione ad un criterio di aggiudicazione ( nella specie modalità organizzative e di supporto ) preveda l’assegnazione di punti ad insindacabile giudizio della stazione appaltante, con riferimento una serie di complessa di criteri di cui il bando non prevede la graduazione risultando in tal senso, in parte, indeterminato o se comunque la norma imponga una tassatività di massima nella formulazione dei criteri non compatibile con la mancata graduazione degli stessi, e se, in caso di legittimità della previsione, per effetto della ritenuta elasticità della norma e della non obbligatorietà della graduazione di tutti gli elementi, a fronte di essa, in mancanza di un espresso conferimento di poteri alla Commissione da parte del bando possa ammettersi l’intervento integrativo –specificativo della Commissione ( risoltosi semplicemente nel attribuire rilevanza autonoma e peso relativo ad ogni singolo elemento che il bando voleva valutare attribuendo complessivamente massimo 25 punti ) o, se, invece, a fronte di tale previsione, debba invece farsi applicazione letterale del disciplinare di gara, attribuendo il punteggio con valutazione unitaria dei vari e complessi elementi considerati dalla lex specialis ”.
 
     Ed ancora: “ se comunque sia legittimo alla luce di tale disposizione, riconoscere in via generale alla Commissione di gara che deve valutare le offerte, indipendentemente dalle modalità di formulazione del bando, nel procedimento di aggiudicazione mediante offerta economicamente più vantaggiosa, ma solo a fronte della complessità degli elementi da valutare, un potere di autolimitare, in via generale, la propria azione , specificando i parametri di applicazione dei criteri prefissati dal bando, e se tale potere della Commissione possa essere esercitato costruendo sotto voci, sub-punteggi, o semplicemente dettando criteri più specifici di applicazione dei criteri indicati in via generale dal bando o dal capitolato d’oneri naturalmente sempre prima di procedere all’apertura delle buste.”
 
     Ogni altra questione è stata riservata, compresa la pronuncia sulle spese.
 
     La pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee
 
     La Corte di Giustizia delle Comunità europee si è pronunciata con sentenza del 24 novembre 2005.
 
     Il giudice europeo ha notato che la commissione aggiudicatrice ha semplicemente determinato il modo in cui i 25 punti previsti per il terzo criterio di aggiudicazione dovessero essere ripartiti tra i cinque sottocriteri già definiti nel disciplinare di gara.
 
     In sostanza, alla luce dei fatti di causa, ha ritenuto di essere investita della questione se gli artt. 36 della direttiva 92/50 e 34 della direttiva 93/38 debbano essere interpretati nel senso che il diritto comunitario osta a che una commissione aggiudicatrice attribuisca un peso relativo ai sub-elementi di un criterio di aggiudicazione stabilito precedentemente, effettuando una ripartizione tra questi ultimi dei punti previsti dall’amministrazione aggiudicatrice al momento della redazione del capitolato di gara.
 
     La Corte ha ricordato che i criteri di aggiudicazione definiti da un’amministrazione aggiudicatrice devono essere collegati all’oggetto dell’appalto, non devono conferire alla detta amministrazione una libertà incondizionata di scelta, devono essere espressamente menzionati nel capitolato d’oneri o nel bando di gara e devono rispettare i principi fondamentali di parità di trattamento e trasparenza ( in tal senso sentenza 17 settembre 2002, causa C 13/99, Concordia Bus Finland Racc. pag. I- 7213, punto 64).
 
     In particolare, la Corte ha ricordato, nel contesto della causa in esame, che il dovere di rispettare il principio di parità di trattamento corrisponde all’essenza stessa delle direttive in materia di appalti pubblici (v. sentenza Concordia Bus Finland punto 81 ) e che i concorrenti devono trovarsi su un piano di parità sia nel momento in cui essi preparano le loro offerte sia nel momento in cui queste sono valutate ( v. sentenza 18 ottobre 2001 causa 19/00 SIAC Construction Racc. pag. I-7725, punto 34 ).
 
     Conformemente agli artt. 36 della direttiva 92/50 e 34 della direttiva 93/38, tutti i criteri presi in considerazione devono essere espressamente menzionati nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, se possibile nell’ordine decrescente di importanza che è loro attribuita, affinché gli imprenditori siano posti in grado di conoscere la loro esistenza e la loro portata ( sentenza Concordia Bus Finland , citata, punto 62 ).
 
     Parimenti, per garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, occorre che tutti gli elementi presi in considerazione dall’amministrazione aggiudicatrice per identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa, e, se possibile, la loro importanza relativa siano noti ai potenziali concorrenti al momento della preparazione delle loro offerte ( v. in tal senso, sentenze 25 aprile 1996, causa C 87/94, Commissione / Belgio ; racc. I – 2043, punto 88, e 12 dicembre 2002 , causa C- 470/99 Universale Bau ed a., Racc. pag. I -11617, punto 98 ).
 
     Spetta al giudice nazionale secondo la Corte valutare se, alla luce di tali norme e principi, nella causa principale, sia stato violato il diritto comunitario, prevedendo una ponderazione dei vari sub-elementi del terzo criterio indicato nell’appalto.
 
     La Corte ha poi indicato un iter logico che deve essere seguito dal giudice nazionale.
 
     In primo luogo, secondo la Corte, occorre verificare se, tenuto conto di tutti gli elementi pertinenti della causa principale, la decisione che prevede tale ponderazione modifichi i criteri di aggiudicazione definiti nel capitolato d’oneri o nel bando di gara.
 
     Se così fosse la detta decisione sarebbe incompatibile con il diritto comunitario.
 
     In secondo luogo occorre valutare se tale decisione contenga elementi che, se fossero stati noti al momento della redazione delle offerte avrebbero potuto influenzare detta preparazione.
 
     Se così fosse la detta decisione sarebbe incompatibile con il diritto comunitario.
 
     In terzo luogo occorre verificare se la commissione aggiudicatrice abbia adottato la decisione che prevede una ponderazione tenendo conto di elementi che possono avere un effetto discriminatorio nei confronti di uno dei concorrenti.
 
     Se così fosse la detta decisione sarebbe incompatibile con il diritto comunitario.
 
     Il caso di specie.
 
     Nel caso di specie la stazione appaltante solo con il disciplinare di gara ha specificato i criteri selettivi dell’aggiudicatario mentre con la lettera d’invito a rimesso alla commissione di gara la graduazione fra alcuni degli stessi criteri.
 
     La commissione di gara ha graduato le sottovoci previste dal disciplinare di gara, attribuendo, a suo insindacabile giudizio i 25 punti previsti dal bando fra dette sottovoci, che, pur specificate   dal disciplinare, per essere relative all’organizzazione ed alle strutture logistiche e di supporto da utilizzarsi nella gestione dei servizi oggetto del contratto, ovviamente sono direttamente attinenti le caratteristiche aziendali dei partecipanti alla gara.
 
     Ne deriva, a giudizio del Collegio, che la importanza relativa delle predette sottovoci avrebbe dovuto essere nota ai potenziali concorrenti già al momento della produzione delle loro offerte al fine di evitare il pericolo che la commissione potesse orientare a proprio piacimento ed a posteriori l’attribuzione di tale determinante punteggio e, quindi l’esito stesso della gara, dopo averne conosciuto gli effettivi concorrenti.
 
     Per la Corte di Giustizia, inoltre, nel caso di specie, occorre valutare se tale decisione contenga elementi che, se fossero stati noti al momento della redazione delle offerte avrebbero potuto influenzare detta preparazione: ebbene, a giudizio del Collegio, tale decisione contiene elementi che avrebbero potuto influenzare la preparazione delle offerte, essendo chiaro che le imprese partecipanti alla gara quantomeno andavano sin dall’inizio messe su un piano di parità nella conoscenza del peso relativo da assegnarsi alla disponibilità di immobili nella Provincia di Venezia da destinarsi a depositi o sedi aziendali.
 
     Va inoltre considerato che le sottovoci ponderate dalla Commissione davano rilievo ad elementi quali il possesso dei depositi disponibili nella Provincia ed il numero delle sedi ( diverse dai depositi ) aziendali disponibili nella Provincia di Venezia che, per essere riferite al collegamento con un determinato territorio, dovevano considerarsi aventi potenziale valore discriminatorio fra gli operatori in ragione della localizzazione territoriale delle loro attività e , quindi, dovevano essere rese note, nel loro peso relativo, prima della preparazione delle offerte, se non prima della loro candidatura alla gara.
 
     In ultimo va considerato che gli elementi che , secondo la lettera di invito, erano da ponderarsi da parte della Commissione di gara, non avevano un vero e proprio carattere tecnico, sicché non sussisteva alcuna effettiva necessità, per la stazione appaltante, in ragione della complessità tecnica delle scelte da effettuarsi in ordine alla valutazione dell’offerta tecnica, per demandare alla commissione di gara la graduazione del punteggio o per definire, come è stato nella specie, solo nella lettera d’invito e non nel bando di gara i criteri selettivi ed i relativi pesi degli stessi, peraltro riservandosi di meglio tararli nel corso della procedura, mediante l’intervento della Commissione di gara.
 
     In sostanza dal modus operandi prescelto dall’amministrazione potrebbe derivare una discriminazione a favore delle imprese già localizzate in un determinato ambito territoriale, senza che la stessa sia collegabile ad alcuna apprezzabile necessità di definire in sede tecnica la complessa ponderazione di elementi di valutazione dell’offerta ( gli elementi ponderati dalla commissione sono strettamente correlati ad esigenze amministrative della stazione appaltante definibili compiutamente nella lex specialis sin dal momento della formazione del bando ).
 
     Di qui l’illegittimità degli atti di gara.
 
     Ne deriva quindi l’accoglimento dell’appello ( ed in particolare del primo e terzo motivo del ricorso originario da leggersi in stretta connessione logico-giuridica ) e l’annullamento della gara.
 
     Dall’accoglimento dell’appello deriva, per giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, la caducazione del contratto già stipulato, ma , alla luce della discrezionalità del metodo di aggiudicazione prescelto dall’amministrazione, non può disporsi alcuna reintegrazione in forma specifica dell’impresa ricorrente mediante aggiudicazione dello stesso appalto alla ditta ricorrente o mediante nuova assegnazione di un analogo contratto.
 
     L’amministrazione dovrà, quindi, rinnovare la procedura di gara e, nelle more di tale rinnovo, valuterà le modalità più idonee per garantire l’espletamento del servizio.
 
     Va poi accolta anche la domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla ditta ricorrente, che, stante la discrezionalità del metodo di aggiudicazione, devono valutarsi come danni da perdita di chance e possono liquidarsi in via equitativa.
 
     Il danno sofferto dall’impresa appellante è stato stimato in complessivi euro 1.148.978, 20 dalla consulenza tecnica di parte prodotta in giudizio dalla ATI **.
 
     La consulenza tecnica stima i danni patiti dalla ATI ** basandosi quali parametri di liquidazione del danno sull’utile conseguibile prima delle imposte e su una valutazione indennitaria della perdita di chance intesa solo come perdita di quote di mercato relativa al mancato incremento economico-finanziario e tecnico operativo capace di abilitare l’impresa alla partecipazione a gare di maggiore valore economico, ma si muove da presupposto ( erroneo ) della spettanza del contratto all’ATI ricorrente.
 
     Non essendovi prova possibile dell’aggiudicabilità della gara all’ATI ricorrente, in ragione del metodo discrezionale di aggiudicazione, l’interesse pretensivo violato – secondo il Collegio – deve essere invece stimato come una perdita di chance di aggiudicazione, parametrabile non solo alla perdita di quote di mercato, ma anche alla probabilità di aggiudicazione concretamente raggiunta nella specie.
 
     Va tuttavia precisato il rapporto tra perdita di chance e violazione dell’interesse pretensivo nelle ipotesi nelle quali l’amministrazione sia titolare di un potere discrezionale , in tali ipotesi – secondo gli insegnamenti ritraibili da Corte di Cassazione n. 500/1999 – solo dal nuovo esercizio del potere possono – a rigore – derivare certezze in ordine alla spettanza del bene cui il privato aspira.
 
     In tali ipotesi il risarcimento dei danni dovrebbe essere negato fino alla rinnovazione degli atti di gara, che , tuttavia, avvenendo in un altro momento e contesto storico, non è detto che possa coinvolgere nuovamente le parti in causa nello stesso modo e sulla base dei medesimi presupposti che erano a base dell’azione amministrativa giudicata illegittima.
 
     Il giudizio sulla spettanza ossifica eccessivamente, in tali casi, l’azione amministrativa e posticipa irragionevolmente le possibilità di ottenere il risarcimento, costringendo il giudice a pronunciare una sentenza di inammissibilità dell’azione risarcitoria per difetto di presupposti e rimettendo in moto l’azione amministrativa, che, nel riesercizio del potere, si presenta paradossalmente scissa fra necessità di ottemperare al giudicato e timore di ingenerare i presupposti per l’esperimento dell’azione di danni.
 
     E’ evidente che in tali casi, ove, a giudizio del giudice amministrativo, non vi sia agevole rinnovabilità delle attività amministrative o delle operazioni di gara, come nei casi di appalti ad aggiudicazione non automatica, il danno vantabile nei confronti dell’amministrazione deve essere visto unicamente nella prospettiva della perdita di chance.
 
      La chance, secondo questa prospettiva ricostruttiva, si pone quale bene patrimoniale a se stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, e deve essere distinta, sul piano ontologico, dagli obiettivi rispetto ai quali risulti teleologicamente orientata e di cui possa costituire la condizione o il presupposto in potentia.
 
     Ne consegue che la lesione della “entità patrimoniale chance” formerà oggetto di valutazione ai fini del riconoscimento di un risarcimento del danno, in termini di probabilità, definitivamente perduta, a causa di una condotta illecita altrui, senza dovere fare alcun riferimento al risultato auspicato e non più realizzabile ed alla consistenza del suo assetto potenziale.
 
     Non ignora il Collegio che in altra prospettiva qualificatoria, coltivata in dottrina, la perdita della chance o, rectius, dell’utilità potenziale è configurata come lucro cessante, ossia “la lesione diverrebbe risarcibile soltanto in una prospettiva condizionata: quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, la chance persa aveva notevoli possibilità di giungere a buon fine” .
 
     La chance, allora, non ha una propria consistenza intrinseca ed autonoma, ma presenta piuttosto una natura ontologicamente strumentale e teleologicamente orientata, concretizzandosi in un mero supporto verso un obiettivo finale di cui costituisce un semplice presupposto causale, privo di rilevanza giuridica quale autonomo bene patrimoniale.
 
     La dicotomia in parola, apparentemente, ingenera rilevanti ripercussioni sotto il profilo del sistema probatorio applicabile. In particolare con riguardo alla prima configurazione ontologica della fattispecie in esame, quanto alla consistenza dell’onere probatorio da raggiungere per conseguire il riconoscimento della pretesa risarcitoria per perdita di chance, sembra sufficiente dimostrare la semplice probabilità della chance, accompagnata dalla constatazione che il bene anelato è oramai irrimediabilmente perso e dall’accertamento del nesso eziologico fra la condotta e l’evento lesivo, consistente nell’elisione di quell’entità patrimoniale, avente autonoma rilevanza giuridica ed economica, rappresentata dall’utilità potenziale che si assume lesa.
 
     Nell’ambito della seconda ricostruzione interpretativa, invece, pare necessario provare che la chance, irrimediabilmente persa, avrebbe assunto la consistenza o, rectius, avrebbe condotto al sorgere, ex novo, di un bene giuridico o di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio, avente quest’ultima, e non la mera utilità potenziale da cui scaturisce, una propria rilevanza patrimoniale e giuridica, e ciò con un grado di verosimiglianza vicino alla certezza. In altri termini, nell’orientamento in parola, coltivato dalla dottrina civilistica, non basta dimostrare il nesso di causalità tra l’attività lesiva e la perdita della chance, già presupposta come esistente e giuridicamente rilevante, ove avente la consistenza di un’utilità potenziale, ma occorre anche provare che “un evento positivo per il danneggiato vi sarebbe comunque stato con rilevante probabilità, ove lo stesso non avesse subito il pregiudizio cagionato dalla condotta contra legem” .
 
     In realtà la contrapposizione fra le due posizione dottrinali e giurisprudenziali suesposte, sia sotto il profilo ontologico sia sotto il profilo dei conseguenti oneri probatori, deriva esclusivamente da una visione parziale della fattispecie risarcitoria in esame, che contrappone erroneamente, come blocchi distinti e reciprocamente incompatibili, i vari elementi costitutivi il danno da perdita di chance. E’ necessario, invece, procedere ad un’attività esegetica, che, dopo avere individuato gli elementi costitutivi della fattispecie in parola, li riconduca ad unità, in guisa da determinare una ricostruzione ontologica complessiva, uniforme e coerente.
 
     In primo luogo si deve esattamente individuare l’ambito semantico-giuridico del termine chance, che costituisce la chiave di volta dell’ipotesi risarcitoria in esame. La parola chance deriva, etimologicamente, dall’espressione latina cadentia, che sta ad indicare il cadere dei dadi, e significa “buona probabilità di riuscita” . Si tratta, dunque, di una situazione, teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza. In particolare, trasponendo tale definizione in ambito giuridico, si può rilevare che, affinché un’occasione possa acquisire rilevanza giuridica, ossia ricevere tutela da parte dell’ordinamento, è necessario che sussista “una consistente possibilità di successo, onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente non significative” (Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686) .
 
     In altri termini la chance, ove si configuri quale mera possibilità di ottenere un risultato favorevole non è idonea ad assumere rilevanza per il mondo del diritto e dà vita ad un interesse di fatto, insuscettibile di ricevere tutela per la propria esigua consistenza.
 
     Tale esito definitorio consente proficuamente ed agevolmente di riunificare i due orientamenti interpretativi esposti in precedenza, in quanto da un lato riconosce alla chance la qualità di bene giuridico autonomo, indipendente dalla situazione di vantaggio verso cui tende, dotato di per sé di rilevanza giuridica ed economica, in quanto elemento facente attivamente parte del patrimonio del soggetto che ne ha la titolarità; dall’altro lato, invece, attribuisce un rilievo decisivo all’elemento prognostico o, rectius, probabilistico, il quale è posto quale fattore strutturale e costitutivo, da accertare indefettibilmente al fine di riconoscere ad una mera possibilità la consistenza necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per ricevere protezione da parte dell’ordinamento.
 
     E’ decisivo, allora, distinguere fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile). A tal fine bisogna ricorrere alla teoria probabilistica, che, nell’analizzare il grado di successione tra azione ed evento, per stabilire se esso avrebbe costituito o meno conseguenza dell’azione, scandaglia, fra il livello della certezza e quello della mera possibilità, l’ambito della c.d. probabilità relativa, consistente in un rilevante grado di possibilità. Nello specifico occorre affidarsi al metodo scientifico, che si sostanzia in un procedimento di sussunzione del caso concreto che si voglia di volta in volta analizzare sotto un sapere scientifico; ossia, quanto ai sistemi giuridici, sotto un sapere probabilistico, non sorretto da leggi statisticamente universali, ma pur sempre scientifico perché razionalmente fondato sulle conoscenze di una specifica scienza (quella giuridica) e, quindi, anch’esso attendibile.
 
     Secondo tale metodo scientifico la verificazione dell’azione o della situazione fattuale esaminata quale condicio, certa o probabile, di un evento favorevole, va effettuata “secondo la migliore scienza ed esperienza”, ragion per cui si rende opportuno precisare l’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato, per cui “la concretezza della probabilità deve essere statisticamente valutabile con un giudizio sintetico che ammetta, con giudizio ex ante, secondo l’id quod plerumque accidit, sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato, che il pericolo di non verificazione dell’evento favorevole, indipendentemente dalla condotta illecita, sarebbe stato inferiore al 50%” (Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686).
 
     Infatti, oltre a ricorrere al criterio dell’id quod plerumque accidit utilizzabile nelle fattispecie nelle quali la realtà sia comprensibile sulla base di nozioni di comune esperienza, è possibile fare riferimento alla migliore scienza, ossia al più esauriente assetto gnoseologico in grado di fornire un giudizio il più possibile corretto e compiuto in ordine alla prognosi probabilistica circa il verificarsi o meno dell’evento vantaggioso preso in considerazione.
 
     Occorre, poi, osservare che il parametro del 50%, non ha valore assoluto anche perché secondo la scienza statistica il grado di possibilità qualificabile come probabilità presenta una soglia costitutiva variabile da determinare caso per caso sulla base del concreto assetto della situazione esaminata.
 
     Quanto finora enunciato deve, però, necessariamente, essere esaminato alla luce della peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu, requisito indispensabile per la configurabilità di una chance risarcibile, va verificata alla stregua della consistenza dei poteri attribuiti dall’ordinamento alla pubblica amministrazione.
 
     In altri termini, bisogna chiedersi se ed in che misura la discrezionalità amministrativa incida in ordine all’esito del giudizio prognostico in parola, ovvero con riguardo alla determinazione della consistenza e della rilevanza dell’utilità potenziale e, dunque, della sua concreta tutelabilità. Gli esiti di tale prognosi, infatti, si diversificano a seconda che il conseguimento della posizione di vantaggio, verso cui è teleologicamente orientata la chance, sia correlato ad un’attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura.
 
     Nelle prime due ipotesi il giudice può, essendo la valutazione dell’amministrazione ancorata a parametri precisi e vincolanti, “sostituirsi” alla stessa, sia pure in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria e giungere così ad individuare il grado di possibilità di ottenimento, da parte del privato asseriamento leso, del bene della vita, irrimediabilmente perso che poteva scaturire dalla chance, senza che la natura dei poteri attribuiti alla pubblica amministrazione possano in alcun modo alterare l’esito prognostico.
 
     Contrariamente, ove sia riconosciuta, in capo all’amministrazione, una potestà di natura discrezionale, tanto maggiori saranno i margini di valutazione rimessi alla pubblica amministrazione, tanto maggiore sarà l’alterazione del giudizio probabilistico, il quale in presenza di parametri valutativi elastici ed insindacabili, se non nei termini ristretti ed estrinseci della logicità e ragionevolezza, dovrà inevitabilmente rinunciare a riconoscere la sussistenza di un’apprezzabile probabilità di esito positivo e, dunque, di una chance risarcibile, onde evitare un’inammissibile e problematica surrogazione dell’autorità giudiziaria nei poteri dell’amministrazione. In altri termini la discrezionalità amministrativa elide, nella maggior parte dei casi, la possibilità di compiere il giudizio prognostico in parola in termini di preciso calcolo percentuale ma non esclude di poter riconoscere una perdita di chance, nella base del grado di approssimazione al bene della vita raggiunto dal ricorrente.
 
     A completamento dell’analisi degli elementi costitutivi dell’istituto in parola, occorre rilevare che è necessaria una lesione, concreta ed attuale, di una chance, individuata nella sua consistenza e rilevanza giuridica conformemente ai parametri in precedenza enunciati.
 
     Tale lesione deve consistere nella perdita, definitiva, di un’occasione favorevole di cui il soggetto danneggiato si sarebbe avvalso con ragionevole certezza, ossia nella elisione di un bene, giuridicamente ed economicamente rilevante, già esistente nel patrimonio del soggetto al momento del verificarsi dell’evento dannoso, il cui valore, però, è dato dalle sue utilità future, ovvero dalla sua idoneità strumentale a far sorgere in capo al dominus dello stesso una data e specifica situazione di vantaggio. In particolare la condotta illecita deve concretarsi “nell’interruzione di una successione di eventi potenzialmente idonei a consentire il conseguimento di un vantaggio, generando una situazione che ha carattere di assoluta immodificabilità, consolidata in tutti gli elementi che concorrono a determinarla, in modo tale che risulta impossibile verificare compiutamente se la probabilità di realizzazione del risultato si sarebbe, poi, tradotta o meno nel conseguimento dello stesso” ( Consiglio di Stato sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945).
 
     L’evento dannoso deve essere, inoltre, imputabile alla pubblica amministrazione quantomeno a titolo di colpa, conformemente a quanto previsto in via generale in tema di responsabilità civile e risarcimento del danno. A tale riguardo occorre sottolineare che, secondo oramai consolidata giurisprudenza, l’illegittimità dell’atto attraverso cui si manifesta la condotta illecita non è sufficiente per fondare la responsabilità dell’amministrazione, ma è altresì necessario che l’agire della pubblica amministrazione sia connotato dall’elemento soggettivo della colpa, che non può essere considerato in re ipsa nella violazione della legge o nell’eccesso di potere estrinsecatesi nell’adozione ed esecuzione dell’atto illegittimo.
 
     Ciò premesso, va rilevato che , nella specie, l’ATI ** aveva conseguito punti 83,50 a fronte dell’ATI **, aggiudicataria con punti 86,53.
 
     Può pertanto ritenersi che l’ATI appellante, per la esiguità della distanza nei punteggi assegnati, abbia raggiunto una elevata probabilità di aggiudicarsi l’appalto , non concretizzatasi per effetto dell’illegittimità evidenziata.
 
     Quanto all’elemento della colpa dell’amministrazione, trattandosi di applicazione di principi comunitari di trasparenza e parità di trattamento, nonché di cautele poste dalla necessità di evitare pericoli di discriminazione fra le imprese in ragione della loro collocazione territoriale la Sezione ritiene sussistente l’elemento soggettivo e non invocabile alcuna ragione scriminante.
 
     Il danno sofferto va quindi unitariamente ed equitativamente valutato in euro 150.000 oltre spese di partecipazione alla gara che possono liquidarsi in euro 5000.
 
     Ne deriva la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni nei limiti predetti.
 
     Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
 
P. Q. M.
 
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati.
 
     Condanna l’Amministrazione ACTV SPA al risarcimento dei danni in favore dell’appellante pari ad EURO 155.000/00 per le causali specificate in parte motiva.
 
     Condanna l’Amministrazione ACTV SPA al pagamento, in favore dell’appellante, di EURO 20.000 per spese diritti ed onorari del giudizio oltre iva e cassa come per legge.
 
     Compensa le spese del giudizio nei confronti delle altre parti costituite, Provincia di Venezia, Comune di Venezia, ** SPA.
 
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
     Così deciso in Roma, il 31 marzo 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, DEPOSITATA IN SEGRETERIA – il………………14/09/2006……………….

Lazzini Sonia

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