Nuove efficaci strategie per combattere la pirateria

Vuosi Riccardo 23/10/12
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Capitolo primo

Limiti dell’azione difensiva finora condotta ed iniziative per superarli

Tutte (1) le misure di difesa passive fin qui poste in essere, aldilà del cospicuo impegno finanziario richiesto, per la complessità della indispensabile organizzazione in dimensione globale e gli aspetti giuridici di diritto internazionale che toccano, superano le possibilità di intervento non solo dei singoli armatori e delle loro organizzazioni di categoria ma esigono la convinta, coordinata ed attiva partecipazione non solo di di tutti gli stati interessati alla repressione da questo odioso crimine, (perchè direttamente colpiti nei loro interessi politici ed economici) ma della intera comunità mondiale a difesa della libertà dei mari e del traffico marittimi.

Siffatta auspicata ed indispensabile cooperazione per essere utilmente efficace deve svilupparsi su più piani operativi..

In primo luogo è, infatti, indispensabile che siano poste in essere una costante, attenta e documentata attività investigativa, informativa2, di monitoraggio, di pianificazione e di early-warning, di adeguamento delle strategie difensive che individui le specifiche zone – ed in queste di singole rotte a rischio e sia in grado di segnalare tempestivamente a tutte compagnie marittime ed, ovviamente, alle autorità di polizia locale ed alla guardia costiera competente gli attacchi pirateschi.

Per provvedere a tale esigenza dal 1992 è positivamente operativo a Kuala Lampur (Malesia) il già citato Piracy Reporting Center creato dall’ International Maritime Boreau ad iniziativa dell’ International Transport Workers’ Federation che costituisce, infatti, un efficiente centro investigativo in grado di acquisire immediate notizie in caso di attacchi di pirati, fornire assistenza ai marittimi, collaborare con le polizie e guardie costiere locali e trasmettere bollettini sulle effettive condizioni delle tradizionali rotte a rischio, e sull’insorgere di nuove situazioni di pericolo, a tutte le compagnie marittime associate e all’ I.M.O. ( International Maritime Organization)3

Sulla base di quanto è emerso, ed emergerà, dall’attività di questo centro andrà programmata, sarà organizzata ed attuata al meglio l’ attività di pattugliamento da parte di naviglio militare4 e di aerei.

A rendere più complessa questa attività di prevenzione è la maggiore estensione delle aree di operatività della pirateria e delle zone raggiungibili dai mezzi di assalto dagli stessi adoperati.

I pirati somali, ad esempio, che inizialmente limitavano il loro raggio di azione ad un’area estesa a circa 50 miglia dalla costa (per cui bastava che i mercanti navigassero più al largo per sfuggire all’assalto), attualmente si spingono oltre le 150 miglia dalla costa, grazie all’ utilizzo delle “navi madre”, interessando la zona delle isole Seychelles fino a coprire la gran parte dell’ oceano indiano.

Ciò rende ancor più oneroso il non facile, ma necessario, compito della sorveglianza e del pattugliamento se si considera, ad esempio, che per il solo Golfo di Aden occorre assicurarne la effettiva continuità su di un’area di 600 miglia marine e che ai mezzi della CTF 151 compete un’area di quasi tre milioni di chilometri quadrati.

Per ridurre il campo di azione, già la task force internazionale a guida USA -CTF150- nell’agosto del 2008 creò una Maritime Patriol Security Area, cioè una sorta di corridoio di sicurezza, costantemente sorvegliata anche con mezzi aerei5

Questa iniziativa dovrebbe essere resa permanente in modo da offrire ai mercantili di transitare in questi corridoio con una relativa sicurezza di non subire attacchi o comunque di ricevere aiuto in tempi più rapidi

Risultati maggiormente positivi potranno essere conseguiti se alle iniziative attualmente in corso, che vedono impegnato un numero sempre maggiore di nazioni farà riscontro anche una intensificazione di quelle degli organismi multinazionali.

Importanti segnali positivi in tal senso non mancano

Il motivo prevalente al quale si deve collegare l’inizio di un comportamento di maggiore attenzione ed impegno è stata appunto la intollerabile situazione creata dal gigantismo assunto dal fenomeno pirateria al largo delle coste somale, in merito al quale si può dire che si registra senz’altro il maggior numero di risoluzioni, iniziative ed interventi da parte di stati ed organismi sovranazionali che hanno coinvolto paesi, anche lontani,i di tutti i continenti.

In primo luogo l’ ONU il quale attraverso i suoi organi più rappresentativi – Assemblea Generale, Consiglio di Sicurezza, Segretariato Generale – ha tenuto una considerazione costante, attenta ed attiva su quanto accadeva in quelle zone.

Innumerevoli, infatti, sono state le risoluzioni6, le delibere, le sollecitazioni e le iniziative assunte da quando il fenomeno pirateria si è manifestato in tutta la sua gravità.

Proprio sul fondamento della autorevolezza delle pronunzie dell’Onu, hanno avuto luogo, infatti, le operazioni militari portate avanti da singoli stati e da organismi plurinazionali e sovranazionali.

 

Le iniziative e le azioni militari svolte ed attualmente in corso

 

Particolarmente attivo è stato il ruolo della NATO e della Unione Europea. nel contrasto alla pirateria marittima.

Proprio alla forza navale della NATO si deve la prima operazione di pattugliamento, da parte dello Standig NATO maritime Group 2, della zona rischio nello scacchiere intorno alla Somalia

L’operazione, denominata Allied Provider, venne decisa dai Ministri della Difesa della NATO il 9 ottobre 2008, in accoglimento dell’appello dell’ONU al Segretario Generale della NATO e venne iniziata il 23 dello stesso mese ed ha visto per otto settimane – fino al 12 dicembre – l’attiva partecipazione di mezzi navali di sette paesi, tra i quali l’Italia 7, per garantire, attraverso una intensa attività di scorta la sicurezza delle navi del World Found Programme (Programma mondiale delle Nazioni Unite per l’alimentazione ) che recavano indispensabili aiuti alimentari al popolo somalo e che, nonostante l’alto fine umanitario della loro missione erano esposti al rischio di attacchi pirateschi e contemporaneamente per svolgere comunque attività antipirateria davanti alle coste somale.

Tale attività da parte della NATO è poi ulteriormente proseguita con l’operazione Ocean Shield, iniziata il 17 agosto 2009 con l’obbiettivo di “ impedire e neutralizzare la pirateria “ e che si basa su regole di ingaggio (Rulesof Engagment ) simili a quelle già adottate nella missione Atalanta

A sua volta l’Unione Europea, con delibera adottata dal Consiglio il 19 settembre 2008, ha istituito l’azione comune 2008/749 PESC di coordinamento militare e di sostegno che faciliti “ la disponibilità e le azioni operative 8 denominata EUNAVCO9, che ha cessato di esistere il 10 novembre dello stesso anno.

Successivamente, infatti sulla base delle risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ( sempre più preoccupate degli effetti determinati a seguito al progressivo aggravarsi del problema della pirateria nel Golfo di Aden ) 10 il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato, in data 10 novembre 2008, nel quadro della propria Politica di Sicurezza e Difesa Comune ( Common Security and Defence Policy -CSDP) l’azione comune 2008/851/PESC 11per dare il via ad una missione militare dell’EUNAVFOR Somalia “ volta a contribuire alla dissuasione,alla prevenzione ed alla repressione degli atti di pirateria ed alla rapine a mano armata lungo le coste del Corno d’Africa ” ed “alla protezione, ove occorra mediante servizio di scorta, delle navi più vulnerabili”, denominata “ ATALANTA”

Lo stesso Consiglio dell’Unione Europea con decisione 2008/918 PESC,dell’8 dicembre 2008 approvando il piano operativo e le regole di ingaggio relativi all’operazione ha ufficialmente fissato l’inizio delle operazioni per il successivo giorno 9 dicembre, data in cui esse hanno avuto effettivamente inizio.

. Con decisione Atalanta 3/2009 del Comitato politico di Sicurezza è stata deliberata la costituzione del Comitato politico dei contributori per l’operazione militare della Unione europea.

L’operazione, a seguito della decisione del Comitato politico Atalanta 5/2011 del 16 dicembre 2011 (che ha modificato la precedente decisione Atalanta 2/2009 dello stesso Comitato) relativa all’accettazione dei contributi degli Stati terzi all’operazione militare dell’Unione Europea diretta alla prevenzione ed alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia ha visto la partecipazione anche della Norvegia e della Croazia , e la presenza attiva di alcune unità appartenenti a Russia, Cina, India, Giappone, Malaysia Iran ed Arabia Saudita stata ulteriormente rafforzata con la creazione di un comitato dei contributori (C d C) composto dai rappresentanti degli stati membri e degli stati terzi.

L’operazione Eunavfor Atalanta, prorogata una prima volta dal Consiglio Affari Esteri (Foreign Affairs Council ) della Unione Europea con delibera del 14 giugno 2010 fino al dicembre 2012, è stata, nel marzo 2012, per la seconda volta ulteriormente prorogata fino alla fine dell’anno 2014

Proficuo e militarmente consistente va parimenti giudicato il contributo proveniente dagli Stati Uniti impegnati fin dal 2002 in operazioni di continuo pattugliamento nel golfo di Aden prima con l’operazione CTF 12 150 nell’ambito delle operazioni Iraq Freedom ed Enduring Freedom – Horn of Africa e successivamente, dal gennaio del 2009, con la più incisiva operazione CTF 151.appositamente organizzata per contrastare il dilagante fenomeno la pirateria che nel golfo di Aden ed al largo delle coste somale aveva ormai raggiunto dimensioni estremamente preoccupanti.

Entrambe le missioni, hanno avuto carattere multinazionale avendo fatto registrare la partecipazione ed il contributo di uomini e mezzi di numerosissime nazioni 13

Va detto che è stata proprio la forza multinazionale della CTF 150 14originariamente destinata ad altre finalità si trovò a dover contrastare ed affrontare fin dall’inizio il progressivo incremento del crimine pirateria

La contemporanea attività delle varie missioni, ciascuna con la sua catena di comando (mono o internazionale) indipendente dal punto di vista operativo, ha imposto la necessità di creare un meccanismo di coordinamento delle loro azioni – lo SHADE15– che vi provveduto attraverso incontri semestrali16 organizzati in Bhrain dal comando di coalizione a guida statunitense CMF ( Coalition Maritime Forces ) nel corso dei quali vengono definite le procedure comuni di intervento e la suddivisione e rotazione delle aree di pattugliamento.

Sempre nell’intento di ottenere una più ordinata presenza di unità navali nelle zone interessate alle varie operazioni, e di assicurare loro le migliori condizioni di operatività, appare opportuna l’iniziativa di invitare ogni unità mercantile intenzionata a transitare nel golfo di Aden ad effettuare la registrazione sul sito istituzionale del Maritime Security Center Horn of Africa.

Purtroppo tale apprezzabile iniziativa non ha trovato generale applicazione, con conseguente aumento del rischio di assalti.

 

Il contributo dell’IMO

Va sottolineato il meritorio contributo di collaborazione che, anche a sostegno ed integrazione delle descritte missioni ed operazioni militari, svolto sul piano organizzativo, informativo, culturale scientifico e giuridico dall’IMO (International Maritime Organization).

Questo organismo è di diretta provenienza UNU, del quale costituisce una delle agenzie specializzate ma con totale autonoma giuridica e funzionale.

Fondata nel 1959, persegue con ottimi risultati lo scopo ’espressamente affidatole di tutelare la promozione e lo sviluppo delle attività marittime e di renderle piu sicure sia sotto l’aspetto strettamente tecnico-operativo, sia sotto quello della prevenzione degli abbordi in mare, attraverso una costante attività di rilevazione delle azioni di pirateria, dei loro mutamenti di localizzazione e di tecniche operative, ed una diffusa e sollecita attività informativa degli armatori ed operatori commerciali, attraverso rapporti periodici.

Importanza notevole assumono quelli relativi alla individuazione degli “spazi marittimi internazionali” nei quali è maggiore e più attuale e concreto il pericolo di attacchi pirateschi, rapporti dei quali, come vedremo, deve” tener conto” il il Ministro della difesa italiano nella determinazione delle zone “ a rischio” che legittimano la presenza a bordo delle navi dei Nuclei militari di protezione17

Pur non potendo adottare atti e decisioni giuridicamente vincolanti nei confronti degli stati aderenti, tuttavia la sua azione si sviluppa attraverso raccomandazioni, circolari, suggerimenti e predisposizione di progetti di convenzioni che vengono sottoposti a conferenze internazionali ed adottati, se si coagula intorno ad essi il necessario consenso.

Purtroppo non sempre le delibere dell’IMO trovano convinta ed effettiva applicazione18 da parte di stati di nevralgica importanza strategica nella lotta alla pirateria.

La scelta politica dell’IMO (e per essa dal suo Comitato sulla Sicurezza Marittima – Maritime Safety Commitee -) è quella di sconsigliare l’uso della forza nel contrasto alla pirateria nel legittimo timore del rischio di una escalation delle violenze con conseguente maggior pregiudizio della sicurezza della navigazione, consigliando agli armatori il ricorso a misure di difesa passiva.

All’ IMO si deve anche la promozione di riunioni degli stati delle regioni più infestate dalla pirateria – Golfo di Aden, Corno d’Africa, Africa Orientale- come quella tenutasi il 29 gennaio 2009 a Gibuti nella quale venne approvato un codice di condotta per la repressione deli atti di pirateria e di rapina a mano armata ( piracy and armed robbery)19

L’IMO ha sede a Londra e ad essa aderiscono attualmente 168 stati, tra i quali l’Italia il cui rappresentante è stato per la seconda volta eletto nel Comitato Esecutivo quale membro della categoria A

 

Il positivo mutamento di strategia in atto

Indubbiamente più efficaci sono le misure di difesa attiva alle quali, di fronte all’aggravarsi del fenomeno, appare ormai a tutti indispensabile dover far ricorso.

Da più parti, infatti, constatata per un verso la limitata efficacia dei risultati conseguiti, a fronte dei costi altissimi sostenuti e per altro verso l’intensificarsi della offensiva dei pirati che sta mettendo letteralmente in ginocchio il traffico marittimo mondiale- si è chiesto un rafforzamento della missione, attraverso un inasprimento delle regole di ingaggio.

Ci si è infatti resi conto che la Strategia politically correct seguita da oltre quattro anni (considerando quanto avvenuto dall’inizio delle operazioni militari di contrasto dell’Eunanavfor, con l’operazione Atalanta, e con quelle degli altri paesi tra cui gli Usa con le missioni Combined Task Force 150 e 151) per contrastare i pirati somali senza far uso delle armi contro di loro, senza affondare i loro veloci barchini e senza distruggere le loro basi sulla costa non si è dimostrata sufficiente a conseguire risultati incisivi nella lotta alla pirateria ed in concreto ha costituito un limite alle azioni di contrasto della pirateria.

Sotto questo aspetto qualcosa di nuovo si comincia a registrare in quanto la strategia delle operazioni militari ha operato un deciso salto di qualità attraverso un rilevante mutamento, consistito nel passare i da una condotta di mera difesa passiva ad una azione offensiva, non solo di alto valore simbolico ma praticamente di concreta efficacia, perchè riduttiva del potenziale operativo dei pirati, quale imbarcazioni e basi da essi usate per compiere le loro criminali scorrerie

In primo luogo va richiamata l’iniziativa assunta da parte dell’Assemblea plenaria del Parlamento Europeo che, riunita a Bruxelles il 10 maggio 2012, ha approvato una risoluzione chiedendo sia il rinforzo della missione navale sia l’istituzione nella regione del Corno d’Africa i tribunali speciali per i pirati.

Anche il Comitato di Sicurezza Marittima dell’ IIMO, discostandosi dall’atteggiamento sempre particolarmente prudente tenuto dall’Organizzazione in relazione alle iniziative da adottare per contrastare la criminalità piratesca, su pressione degli armatori aderenti all’IPTA 20 ha adottato due circolari nelle quali viene operata una prudente apertura all’impiego di personale armato a bordo delle navi.

Effetto di tale nuova, realistica considerazione della gravità raggiunta dal fenomeno si è concretizzata nella decisione assunta dal Consiglio della Comunità Europea di allargare le zone delle operazioni alle acque territoriali, alle acque interne al territorio costiero della Somalia ed al suo spazio aereo21

A tale decisione ha fatto seguito in concreto una operazione frutto di approfondite valutazioni nel corso di due vertici dell’Onu, il primo sulla Somalia, tenutosi a Nairobi il 9 e 10 febbraio 2012 ed il secondo svoltosi a Londra il 20 febbraio ed è stata decisa dalla Unione Europea il 23 marzo 2012. .

L’azione, ha avuto luogo nella notte tra lunedì e martedì del 15 maggio 2012, è stata condotta dalla flotta europea Eunavfor ed è stata preceduta per più settimane, e seguita nel suo svolgimento da una costante ricognizione aerea da parte di uno dei cinque pattugliatori Atlanti ed Orion (aerei da ricognizione navale stabilmente destinati alla operazione Atalanta) durata settimane.

L’attacco è consistito nel bombardamento di cinque imbarcazioni22e di alcuni depositi di carburante che si trovavano sulle spiagge di Harardere, un villaggio situato a 400 chilometri da Mogadiscio, considerato una importante ed agguerrita“Tortuga”23 dei pirati somali

Strategicamente utile è stata la partecipazione di un elicottero da combattimento, decollato da una delle nove navi schierate nell’Oceano indiano, che ha sorvolato a bassa quota la zona dell’operazione. e del quale opportunamente il comando dell’operazione navale in Gran Bretagna non svelato la nazionalità per prevenire prevedibili ritorsioni ai danni dell’ equipaggio del paese interessato che poteva trovarsi tra i tanti ostaggi nelle mani dei pirati.

Nessun pirata è stato colpito, ferito o fatto prigioniero, ma ciò non ridimensiona l’importanza dell’operazione che costituisce un significativo salto di qualità nella lotta ai pirati, attaccati per prima volta nei loro covi e basi logistiche e colpiti nei loro equipaggiamenti

Il comando della missione Atalanta ha tenuto a precisare (dando prova di uno scrupolo che per alcuni aspetti appare eccessiva di fronte alla gravità del fenomeno che occorre combattere) che l’attacco alle basi somale è avvenuto nel pieno rispetto della risoluzione.1851 del Consiglio di Sicurezza dal momento che nessun militare è sceso sulla spiaggia24

 

 

Le iniziative del governo italiano

 

A sua volta l’Italia, particolarmente sensibile al problema della pirateria, anche perchè pesantemente colpita dalla esasperante vicenda della petroliera Savina Cyilyn, catturata con il suo equipaggio (composto da cinque italiani e diciotto indiani) dai pirati somali il 3 febbraio del 2011.25

ha condiviso in pieno l’iniziativa internazionale di imprimere una svolta diretta a rendere più incisiva l’azione di contrasto attraverso un cambio di strategia, che contemplasse anche la possibilità di ricorrere a forme di autodifesa a bordo dei natanti privati destinati a percorrere rotte a rischio.

Invero in un primo momento le rappresentanze dell’armamento nazionale, Cofitarma e Federpesca, avevano un orientamento negativo, ma a seguito dei ripetuti sequestri di navi26 si sono trovati di fronte all’alternativa o di cambiare bandiera, come avvenuto per peschereccio oceanico Torre Giulis passato sotto bandiera francese, o accettare la presenza bordo di militari armati o guardie giurate armate.

Il governo italiano è intervenuto inserendo, come consentiva la omogeneità della materia, uno specifico articolo – il numero 5 – nell’ambito delle norme del decreto legge relative al rifinanziamento delle missioni militari all’estero il cui testo è stato approvato, in data 12 luglio 2011 con il n. 107.

L’ articolo 5 – sotto la rubrica “Ulteriori misure di contrasto alla pirateria” prevede la possibilità per il Ministero della difesa“nell’ambito delle attività internazionali di contrasto alla pirateria al fine di garantire la libertà di navigazione del naviglio commerciale nazionale” di stipulare con gli organi rappresentativi dell’armatoria privata italiana “convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana in transito per gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria” mediante l’imbarco sulle stesse navi private di militari, ovviamente adeguatamente armati, costituenti Nuclei militari di protezione (NMP) del natante e del suo equipaggio.

Lo stesso articolo al quarto comma prevede la possibilità che, in caso in cui non sono previsti i servizi di protezione da parte dei NMP tale funzione può essere svolta da guardie particolari giurate armate.

Va rilevato che per quanto attiene all’imbarco di armi il nostro codice della navigazione è molto restrittivo,in ossequio alle norme internazionali dirette ad impedire che navi mercantili possono trasformarsi in navi da guerra come si deduce dall’articolo 193, secondo il quale “ il carico di armi e munizioni da guerra ………è disciplinato da leggi e regolamenti speciali e non può essere effettuato senza l’autorizzazione del comandante del porto o “ se avviene in acque esterne a quelle territoriali “ dall’autorità consolare “ e principalmente dall’articolo 1136 che considera” nave sospetta di pirateria “ quella fornita abusivamente di armi non riportate nei documenti di bordo

Il decreto legge n.107 è stato sollecitamente convertito con la legge n.130 del 2 agosto 201127 che ne ha lasciato sostanzialmente immutato il contenuto, per quanto riguarda i NAP, concentrando la sua attenzione nel regolare più dettagliatamente l’impiego del personale non militare

Le misure adottate dal decreto rappresentano un intervento “ coraggioso e fortemente innovativo capace di raggiungere traguardi di importanza strategica per la security marittima anche alla luce dell’attuale scenario normativo europeo ed internazionale “28 e rispecchiano ampiamente i contenuti della risoluzione del Parlamento Europeo 5 maggio 2010 sugli “ Obbiettivi strategici e le raccomandazioni per la politica UE dei trasporti marittimi fino al 2018” con particolare riferimento all’invito alla applicazione delle misure di “autoprotezione” delle navi adottate dalle organizzazioni del settore, nonchè alla collaborazione degli armatori con le iniziative pubbliche volte alla protezione dei loro navigli”29 A sua volta l’IMO, invertendo la precedente tendenza critica nei confronti del ricorso alla difesa attiva a bordo delle navi aveva emanato sull’impiego di personale armato quali i contractors, (contracte armed security personal) una serie di raccomandazioni agli stati e a questo riguardo sono state approvate, il 23 maggio 2011, in occasione dell’ottantanovesima sessione del Maritime Safety Commitee, la MSC .1/circ 1405 e la MSC. 1 Circ 1406 che costituiscono “interim guidance” sui servizi degli PCASP rispettivamente per armatori, operatori marittimi e comandanti di navi e per gli stati di bandiera.

La emanazione del decreto era stata preceduta,in Italia, da un ampio dibattito che aveva affrontato le varie problematiche di natura internazionale, politica e giuridica, (a partire dalla valutazione della utilità e della opportunità o meno di prevedere la presenza di personale militare o di servizi di vigilanza privata direttamente a bordo della nave da proteggere) e che aveva visto la attiva partecipazioni della Commissione Difesa del Senato, 30dei vertici delle forze armate, e della associazioni degli armatori Confitarma senza che si registrassero particolari riserve.

D’altra parte va osservato che dal punto di vista giuridico l’attività alla quale sono chiamati i militari dei NMP rientra perfettamente tra i compiti” di vigilanza e tutela degli interessi nazionale e delle via di comunicazione marittime, al di là del limite esterno del mare territoriale, ivi compreso il contrasto alla pirateria” assegnati alle Forze Armate dall’articolo 111 del codice dell’Ordinamento militare (D.Lgs. 15 marzo 2010 n.66) come modificato dall’articolo 5 comma 6 della legge 130/2011 di vigilanza a tutela degli interessi nazionali e della via di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale , ivi compreso il contrasto alla pirateria31.

 

Formazione e compiti dei Nuclei Militari di Protezione

L’articolo 5 della legge 130/2011 , dalla rubrica “Ulteriori misure di contrasto alla pirateria”, prevede al primo comma che “il Ministero della difesa, nell’ambito delle attività internazionali di contrasto alla pirateria al fine di garantire la libertà di navigazione del naviglio commerciale nazionale può stipulare con l’armatoria privata italiana……convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana32 in transito per gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria……mediante l’imbarco…….di Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina33 e del relativo armamento previsto per l’espletamento del servizio “

Lo stesso comma specifica che la individuazione delle aree a rischio di pirateria34 compete al Ministro della difesa, sentiti il Ministro degli affari esteri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e tenuto conto dei rapporti periodici dell’IMO

Il Ministro della Difesa vi ha sollecitamente provveduto con il D. M. 1^ settembre 2011 con il quale,35 ha individuato gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria” nella porzione dell’Oceano Indiano delimitata a nord ovest dallo stretto di Baden El Mandeb, a nord dallo stretto di Hormuz a sud dal Parallelo 12”S e ad est dal dal Meridiano78” E (articolo 2 comma 1) ed ha aggiunto (comma 2) che “la medesima protezione è assicurata anche negli spazi marittimi internazionali esterni a quelli di cui al comma 1 per la durata della permanenza di Nuclei militari di protezione a bordo delle navi, resa necessaria da esigenze di natura tecnica od operativa connesse alle zone di possibile imbarco e sbarco sul e dal medesimo naviglio”

Il secondo comma dell’articolo 5 prevede che “il personale militare

componente i NMP opera in conformità alle direttive ed alle regole di ingaggio emanate dal Ministero della Difesa” precisando, altresì che la responsabilita’ della attività di contrasto alla pirateria spetta esclusivamente al comandante di ciascun nucleo e che è a lui attribuita la funzione di ufficiale di polizia giudiziaria riguardo ai reati di cui agli articoli 1135 ( pirateria) e 1136 (sospetto di pirateria )36del codice della navigazione ed a quelli ad essi connessi ai sensi del’articolo 12 C.P.P.,mentre all’altro personale dipendente è attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria.

Sia l’espresso conferimento in via esclusiva della responsabilità delle operazioni di contrasto alla pirateria sia della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria appaiono quanto mai opportuni per prevenire ogni possibile conflitto di competenza tra il comandante del NMP ed il comandante della nave sulla quale il team è imbarcato.

Infatti, l’articolo 1235 n 2 del codice della navigazione attribuisce al comandante della nave analoga qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e le connesse funzioni “riguardo ai reati previsti dal codice della navigazione nonchè ai reati comuni commessi a bordo” pur senza specificare espressamente tra essi il reato di pirateria e quelli ad essa connessi.

Le regole di ingaggio si basano sul principio dell’autodifesa, nel pieno rispetto della finalità non autonomamente offensiva di questa come delle precedenti missioni, anche se viene superato quell’atteggiamento di mera passività che ne ha condizionato e limitato per il passato l’efficacia pratica, sempre rimanendo ,però, nei limiti delle best menagement pratices di autoprotezione del naviglio definite dall’ IMO

I componenti del NMP sono tenuti quindi a limitarsi solo ad azioni che impediscono l’assalto dei pirati con conseguente impossessamento del natante e del carico e cattura e prigionia dei membri dell’equipaggio “ ricorrendo per far allontanare gli assalitori e diffidarli dall’agire a segnali luminosi e radio e ad azioni puramente intimidatorie come raffiche sequenziali dirette in aria ed in acqua e lasciando come “ultima risorsa” il fuoco diretto sugli assalitori37

Si tratta di opportune cautele da usarsi da parte dei militari dirette a contenere gli interventi nell’ambito di una attività di difesa sia pure non meramente passiva ed evitare che si sviluppi in una vera e propria azione di guerra tra le due navi.

E’ del tutto da escludere che i team armati a bordo delle navi mercantili private“ possano” inseguire i natanti dei pirati e dare loro la caccia, compito riservato esclusivamente alle navi da guerra o ad altre navi autorizzate che siano chiaramente contrassegnate ed identificabili come navi in servizio di stato, alle condizioni, con i limiti e le conseguenti responsabilità previste fin dalla Convenzione di Ginevra del 1958 (articoli 20 e 21) e ribadite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay, del 10 dicembre del 1982 (Articoli 105 e 106)

A tutela della azione dei componenti dei NMP ed a garanzia della insindacabilità delle loro specifiche scelte tecniche trova senza dubbio applicazione anche nel loro caso la causa di giustificazione di cui alla legge 29 dicembre 2009 n. 197,- pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.303 del 31 dicembre 2009 – che con alcune modifiche ha convertito il decreto legge 4 novembre 2009 n 192 contenente tra l’altro disposizioni di ordine generale relative alle missioni internazionali delle forze armate e di polizia.

Questa legge al comma 1 sexies dell’articolo 4 prevede una espressa causa di giustificazione così formulata “non è punibile il militare che nel corso delle missioni di cui all’articolo 2 “(appunto quelle internazionali delle Forze armate e di polizia) “ in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio o degli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica per le necessità delle operazioni militari”

Trattasi della opportuna e coerente estensione alla specifica materia di quella causa di giustificazione, prevista dall’articolo 53 del nostro codice penale sotto la rubrica “uso legittimo delle armi”, di generale applicazione, posta a garanzia del pubblico ufficiale che “al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio fa uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica” costrettovi dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità o di impedire la consumazione di un grave reato.

Orbene ai militari dei NAP (della cui qualifica di pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni non può dubitarsi) è appunto affidato il compito di respingere gli assalti dei pirati e di impedire la consumazione di reati in danno della nave, dei suoi beni e dei membri del suo equipaggio. facendo uso, se necessario, delle armi o di altri mezzi di difesa attiva

La stessa legge 207 del 2009 al comma 1 septies dell’articolo 4 stabilisce che “ Quando nel commettere uno dei fatti previsti dal comma 1 seksies si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamente impartiti, ovvero imposti dalla necessità delle operazioni militari, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo”

Anche questa norma trova il suo giusto riscontro nel nostro codice penale che all’articolo 55 che sotto la rubrica “ eccesso colposo” punisce l’ingiustificato superamento dei limiti previsti per giustificare i casi di ricorso a mezzi violenti.

Il decreto 107/2011 regola anche con particolare precisione tutti gli aspetti economici connessi all’attività dei NMP (modalità di retribuzione del personale militare,spese per la stipula della convenzione ed altro), partendo dalla premessa che tutti gli oneri economici devono cadere a carico degli armatori che chiedono la fruizione del servizio di protezione mediante i NMP e sono perciò tenuti al ristoro dei relativi oneri (Articolo 5 secondo e terzo comma)

In concreto trattasi di un consistente onere economico calcolato in circa tremila euro al giorno, che, tenuto conto della durata media dei viaggi, dei “ tempi morti” che precedono l’imbarco e lo sbarco dell’NMP e di tutti gli oneri connessi. rappresenta un improprio costo aggiuntivo del quale, grazie ai pirati, gli armatori devono farsi carico.

Il sesto comma dell’articolo 5 del D.L.107/2011 in esame stabilisce che” si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5 – commi da 2 a 6 – del decreto legge n 209 del 30 dicembre 2008, convertito dalla legge n 12 del 24 febbraio 2009, riferite alle navi ed alle aree in cui si svolgono i servizi di cui ai commi 1 e 4“

Siamo di fronte, in sostanza, non solo di “Disposizioni in materia penale” ,come espressamente, ma restrittivamente, recita la rubrica dell’articolo 5, ma anche a norme di natura e contenuto processuale in quanto il quarto comma stabilisce che” i reati di cui agli articoli 1135 e 1136 del codice della navigazione e quelli connessi ai sensi dell’articolo 12 c.p.p. commessi in alto mare o in acque territoriali altrui ed accertati durante la missione sono puniti ai sensi dell’articolo 7 c.p. e la competenza è attribuita al Tribunale di Roma.
La scelta di attribuire al Tribunale di Roma la competenza in ordine ai reati accertati durante le missioni militari è stata operata dal legislatore, per evidenti motivi di concentrazione , fin dall’approvazione dalla legge 31 gennaio 2002 n. 6 emanata per regolare la partecipazione dei militari italiani alla operazione multinazionale
38,che li vedeva partecipi che al comma 3^ dell’’articolo 9 (sotto la rubrica “ Disposizioni processuali”) stabilisce appunto la competenza centralizzata di detto tribunale.

Le rigide regole di ingaggio, il contesto operativo che legittima il ricorso all’opera dei NMP, la delicatezza e l’importanza dei compiti loro affidati rendono del tutto fuor di luogo l’uso ( che pur si è registrato a loro proposito ) della definizione, dal contenuto e dal significato dispregiativo, di “militari in affitto”

 

I Contractors

Il quarto comma dell’articolo 5, infine, regola una ipotesi, che, nella sua formulazione appare considerata come residuale, consentendo “nei casi in cui non sono previsti i servizi di protezione di cui al comma 1, e nei limiti di cui ai commi 5, 5-bis e 5-ter l’impiego di guardie giurate , autorizzate ai sensi degli articoli 133 e 143 el testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773 a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana protezione delle navi mercantili che transitano negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria”

Trattasi di quelli che vengono chiamati “Contractors”39

Allo stato non è il caso dell’Italia che, come si è visto, per il servizio di protezione in effetti fa ricorso all’utilizzo dei propri militari della marina40 preferendolo alle prestazioni offerte dalle società di security contractor.

Questa scelta fatta dal Parlamento italiano, sulla base di un ampio consenso del Governo dei vertici delle Forze Armate e degli armatori della Confitarma (che si sentivano più tutelati dalla presenza a bordo di team composti da militari) non ha fatto in un primo momento registrare perplessità o voci discordi, essendo, tra l’altro in armonia con l’orientamento dell’IMO che ha sempre mostrato di preferire che il contrasto alla pirateria venga affidato a personale delle marine militari dei singoli stati, preferibilmente nell’ambito di coalizioni a guida di organismi internazionali

Ma dal febbraio di quest’anno 2012, a seguito dell’episodio accaduto al largo delle coste indiane che ha visto come protagonisti i due fucilieri di marina del battaglione San Marco in servizio di protezione alla motonave Enrica Lexie, fatti prigionieri da militari dell’esercito indiano ed accusati di omicidio volontario di due pescatori,41 si sono sollevate riserve, critiche, dissensi da parte dell’opinione pubblica, di politici42 (anche attraverso interrogazioni parlamentari, come quella del deputato radicale Turco) e di rappresentanti sindacali che potrebbero preludere ad un ripensamento dell’orientamento alla base della scelta a favore del ricorso prioritario all’utilizzo di personale militare operata dal DL n.107 del 14/7/2011 e ribadito dalla legge di conversione 2/8/2011 n. 130.43

Lo stesso parlamento italiano ha avviato un approfondimento della questione ed infatti fin dal 28 febbraio 2012 la Commissione Difesa del Senato ha dato inizio ad una serie di audizioni degli organismi interessati (Confitarma, Federpesca) delle organizzazioni sindacali dei militari e dei partiti politici.

Riprenderebbero, in tal caso attualità le iniziative e le sollecitazioni, mai sopite, delle società internazionali che offrono la disponibilità di compagnie private militari di sicurezza le quali hanno già fatto sentire la loro voce.

Sta di fatto che, specialmente nel caso in cui il legislatore optasse, per una più larga, anche se prevedibilmente non esclusiva, utilizzazione dei contractors nelle funzioni di difesa dei natanti, del carico e dell’equipaggio dalle azioni di pirateria la figura del contractor andrebbe più specificamente e meglio regolata sotto l’aspetto legislativo..

Va rilevato che manca ,infatti, una esplicita, specifica norma che riconosca la figura professionale del contractor., ne determini con precisione le caratteristiche soggettive, i requisiti professionali indispensabili ed i limiti operativi.

Di queste esigenza appare responsabilmente convinto il Governo in carica ed in particolare il Ministro degli Interni al cui predecessore competeva, secondo quanto stabilito dall’articolo 5 ter della legge 130/2011, la emissione di un decreto ministeriale, (da adottare di concerto con il ministro della difesa e del ministro delle infrastrutture e dei trasporti (entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della ctata legge, termine ampiamente scaduto,44) che determinasse “le modalità attuative dei commi 5, 5 bis e 5 ter della legge, comprese quelle relative al porto ed al trasporto delle armi e del relativo munizionamento, alla quantità delle armi detenute a bordo della nave e della loro tipologia, nonchè ai rapporti tra il personale di cui al comma 4 ed il comandante della nave durante l’espletamento dei compiti di cui al medesimo comma“.

Il Ministro degli Interni in carica sta affrontando in un quadro globale la complessa problematica ed ha assicurato che si potrà giungere alla emanazione di una normativa entro la fine del 2012, dopo un attento esame anche da parte del Consiglio di Stato, passaggio opportuno per una auspicabile prevenzione di una fase di dispute politiche ed- amministrative, delle quali si avvertono fin ora avvisaglie, come emerge da alcuni commenti di autorevoli rappresentanti di organismi interessati.45

Attualmente,in attesa di una regolamentazione normativa organica e completa, quella applicabile ai contractors è deducibile dalla integrazione e dal collegamento tra le norme specificamente emanate per regolare le varie iniziative di contrasto alla pirateria, e precisamente quelle di cui agli articoli 4, 5, 5 bis e 5 ter della legge 2 agosto 2011 n 130, che in sede di conversione del D.L. 27/7/2011 ne ha integrato il contenuto, e quelle, espressamente richiamate dal quarto comma dell’articolo 5 della legge n. 130 del 2011, dell’ormai pluridecennali Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al Regio Decreto 18/6/1931 n. 773 e successive modificazioni e del relativo Regolamento di esecuzione di cui al Regio Decreto 6 maggio 1940 e successive modificazioni

Trattasi, pur nel suo integrarsi, di una normativa in più punti carente e che, per altri aspetti denunzia ormai tutta la sua vetustà ed inidoneità, anche ampliandone al massimo la portata attraverso una interpretazione evolutiva, a regolare con sufficiente aderenza, un fenomeno complesso ed in costante espansione quale quello oggi costituito dalla pirateria.

Presupposto per far ricorso all’opera dei contractors è quello espressamente indicato dall’articolo 4 che ne consente l’impiego solo “ nei casi in cui non sono previsti sevizi di protezione di cui al primo comma” cioè da parte dei NMP.46

Deve comunque trattarsi, come per il personale militare, di un impiego in operazioni da svolgere “ nell’ambito delle attività internazionali di contrasto alla pirateria e della partecipazione di personale militare alle operazioni di cui all’articolo, comma 13 del decreto legge 12/7/2011 n 107 anche in relazione all’azione comune 2008/851 PESC del Consiglio del !0 novembre 2008 ed in attesa della ratifica delle linee guida del “ Maritime Safety Commitee (MSC) delle nazioni unite in seno all’International Maritime Organization (IMO) vale a dire in tutte quelle operazioni poste in essere per meglio fronteggiare la piaga della pirateria.

L’impiego può avvenire solo a bordo di navi mercantili battenti bandiera italiana.

Non viene considerata come criterio per la determinazione dei casi nei quali è possibile l’impiego dei NMP o, in loro sostituzione dei contractors, la proprietà della nave e resta di conseguenza escluso l’impiego sulle navi che pur appartenendo ad armatori o a società armatoriali italiane , battono una bandiera di stato estero ed a maggior ragione navi battenti una” bandiera ombra “ , cioè di stati come la Liberia, Panama o di altri piccoli stati oceanici o dei Caraibi

Tale limitante condizione appare determinata dalla necessità di non rendere formalmente labile ed incerto il collegamento tra la nave che imbarca i contractors e lo Stato italiano, anche ai fini dell’accertamento e dell’addebito di eventuali responsabilità per una loro condotta difforme o non del tutto conforme alle regole ne legittimano l’uso, specialmente per quanto attiene ai rapporti internazionali.

Altra condizione richiesta è quella che deve trattarsi di navi che transitano in acque internazionali a rischio di pirateria.

I natanti devono altresì essere predisposti per la difesa da atti di pirateria, mediante la predisposizione di almeno una delle tipologie comprese nelle best managemente pratices di autoprotezione del naviglio definite dall’IMO.47, nonchè per la custodia delle armi la cui detenzione, acquisto, trasporto e cessione in comodato ai contractors devono essere previsti, ai sensi del comma 5 bis, da apposita autorizzazione del “ Ministro dell’Interno, rilasciata all’armatore ai sensi dell’articolo 28 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931 n 773”48.

L’ articolo 5 richiede che i contractors abbiano la qualifica di guardie giurate che come tali devono essere autorizzate ai sensi degli articoli 133 e 134 del TULPS ed individuate “ preferibilmente “tra quelle che abbiano prestato servizio nelle forze armate, anche come volontari, con esclusione dei militari di leva e che abbiano superato i corsi teorico- pratici di cui all’articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 15 settembre 2009 ,n154, adottato in attuazione del decreto legge 27 luglio 2005 n 144, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005 n 155.

Non appare condivisibile sotto quest’ultimo aspetto , quanto previsto dall’articolo 5, e cioè la facoltatività dell’individuazione delle guardie giurate da adibire a tali delicati compiti non “esclusivamente” ma solo “ preferibilmente” tra coloro che presentano il requisito del superamento dei corsi teorico- pratici di cui all’articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’Interno 15 settembre 2009 n154, in attuazione dell’articolo 18 del decreto legge 27 luglio 2005 n 144, convertito con modificazione dalla legge 31 luglio 2005 n 155 .

E’ pur vero che nessuna specifica professionalità in materia di difesa dalla pirateria marittima viene infatti acquisita con la frequenza ed il superamento dei corsi teorico-pratici sopra citati.49

I corsi attualmente tenuti sono, sì, diretti a fornire al militari che li frequentano nozioni e preparazione per contrastare il terrorismo nazionale ed internazionale prevalentemente attraverso attività di vigilanza e di controllo effettuata nell’ambito nazionale sui mezzi di trasporto e sugli utenti degli stessi diretta a prevenire attentati ai trasporti via terra, via mare ed aerea nonchè a basi militari, stazioni ferroviarie e marittime, ma non contemplano l’approfondimento delle specifiche modalità di prevenzione e di difesa dagli attacchi dei pirati

Tuttavia pur con la rilevata carenza, vengono in ogni caso apprese dai militari che li frequentano utili nozioni e possibili modalità per contrastare il terrorismo nazionale ed internazionale in genere che potrebbero trovare applicazione anche in caso di attacchi pirateschi.

Questo limite ad una specifica professionalità dei contractors da adibire alla protezione delle navi che transitano nelle zone a rischio, secondo quanto assicurato dal Ministro dell’Interno nel corso di una audizione alla Commissione Difesa del Senato, verrà superato, secondo quanto previsto nella emananda normativa attraverso la positiva frequentazione di un secondo stage diretto a far acquisire agli addetti alla sicurezza la preparazione necessaria per operare validamente “nello specifico contesto”

Altro punto che potrebbe generare incoerenti diversità interpretative e che invece per la sua importanza andrebbe inequivocabilmente chiarito è costituito dal limite che sembrerebbe derivare dal fatto che gli articoli 133 e seguenti del TU della Legge di P.S prevedono la destinazione delle guardie particolari giurate alla custodia e vigilanza delle proprietà mobiliari ed immobiliari.

Allo stesso modo Il quarto comma del’articolo 5 del D.L. 107 del 12 luglio 2011 e della successiva legge di conversione 2 agosto 2011, che sul punto nulla ha innovato, sembrano limitare l’intervento dei servizi affidabili alle guardie giurate alla sola “ protezione delle navi mercantili “ non specificando in alcun modo se l’attività delle guardi giurate deve prendere in considerazione la connessa, rilevante, se non preminente, esigenza della difesa del personale d bordo messo in serio pericolo dalle condotte dei pirati.

L’ambito e le condizioni di operatività dei contractors corrispondono in linea di massima a quelli dei Nuclei Militari di Protezione nel senso che devono rientrare nell’ambito delle attività internazionali di contrasto alla pirateria, anche in relazione all’azione comune 2008/851 PESC del Consiglio dell’ONU del 10 novembre 2008 Coerente alla impostazione che sta facendosi strada nella strategia di contrasto alla pirateria, non più limitata, ad una sterile, defaticante e poco efficace difesa meramente passiva, è apprezzabile la autorizzazione, concessa in sede di conversione del decreto legge, all’uso delle armi, sia pure con la previsioni di opportune cautele e condizioni.

Secondo l’articolo 5 bis, infatti, i contractors possono utilizzare nell’espletamento del servizio le armi in dotazione delle navi appositamente predisposte per la loro custodia, armi detenute previa autorizzazione del Ministro dell’interno rilasciata all’armatore ai sensi dell’articolo 28 del TU della legge di PS

Il riferimento operato dall’articolo 5 bis all’articolo 28 del TU legge PS crea legittimi dubbi interpretativi perchè quest’ultima norma espressamente tratta di “armi da guerra ad esse analoghe” laddove le guardie particolari giurate secondo quanto prevedono l’articolo 42 del TULPS e l’articolo 256 del relativo Regolamento possono portare, se autorizzate, armi comuni da sparo.

E’ pur vero che l’addetto alla sicurezza può usare le armi in dotazione della nave ma senza averne acquisito la necessaria pratica potrebbero verificarsi spiacevoli inconvenienti.

Sarebbe opportuno che anche su questo punto l’emanando decreto interministeriale dirimi ogni incertezza

L’uso delle armi da parte dei contractors deve comunque avvenire entro i limiti territoriali delle acque internazionali a rischio di pirateria con tutte le cautele, già esaminate, che devono accompagnare gli interventi da parte dei militari dei NPM, vale a dire la limitazione alla assoluta necessità di impedire l’assalto dei pirati, l’impossessamento del natante la cattura o la prigionia dei membri dell’equipaggio.

Anche l’azione dei contractors deve avvenire in modo da contenere quanto più e possibile gli interventi in una attività di difesa, ancorchè attiva, evitando che si trasformi in una vera propria guerriglia tra i due natanti, facendo preventivo ricorso, per dissuadere gli assalitori, all’uso di tutti i mezzi di difesa passiva dei quali la nave è dotata.

L’uso delle armi deve, perciò, svilupparsi in una progressione che parta da una azione preventivante intimidatoria, con raffiche sequenziali sparate in aria ed in acqua, e solo se si rendesse assolutamente indispensabile con il fuoco diretto sugli assalitori.

Anche per quanto riguarda l’operato dei contractors per impedire e fronteggiare i violenti assalti dei pirati ed in difesa sia della propria incolumità che di quella dei membri dell’equipaggio si pone l’esigenza di una specifica e dettagliata regolamentazione normativa, che tenga conto della particolarità della materia al fine di prevenire e superare incertezze e dubbi interpretativi che si porrebbero senz’altro se si fosse costretti a far ricorso soltanto alle tradizionali cause di non punibilità come quelle previste attualmente previste dal nostro Codice Penale.

Appare opportuno che anche per quanto riguarda l’azione dei contractors trovi applicazione, la causa di giustificazione gia ricordata, applicabile per i NMP, di cui alla legge 29 dicembre 2009 n 197, contenente tra l’altro disposizioni di ordine generale relative alle missioni internazionali delle forze armate e di polizia.

Come più sopra rilevato, questa legge al comma 1 sexies dell’articolo 4 prevede che “non è punibile il militare che nel corso delle missioni di cui all’articolo 2 “in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio o degli ordini legittimamente impartiti,” fa uso ovvero ordina di far uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica per le necessità delle operazioni militari”

La stessa legge al comma 1 septies dell’articolo 4 regola il caso dell’eccesso colposo “Quando nel commettere uno dei fatti previsti dal comma 1 seksies si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamrnte impartiti, ovvero imposti dalla necessità delle operazioni militari, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo” (fattispecie analoga a quella dell’ eccesso colposo” previsto dal nostro codice penale)

Anche se nel caso dei contractors, infatti, è rilevabile la identità della ratio a fondamento delle norme citate,50 stante la corrispondenza della finalità perseguita, la omogeneità dell’azione svolta e la unicità del contesto operativo, tuttavia la diversa qualità dei soggetti operanti, la mancanza di regole di ingaggio e, principalmente di uno specifico rapporto gerarchico tra il singolo contractor ed un soggetto che impartisca, assumendosene la responsabilità, gli ordini circa le iniziative da assumere impongono che vengano apportate indispensabili modifiche alla richiamata normativa che tengano conto delle pur innegabili diversità oggettive e soggettive.

 

Capitolo secondo

Gli ulteriori ostacoli da superare

Bisogna realisticamente constatare che la strategia finora seguita in campo internazionale nel contrasto al crimine della pirateria marittima, nonostante il consistente impegno di mezzi e risorse e il positivo mutamento tattico sopra descritto è ancora lontana dal conseguire l’obbiettivo di stroncare il fenomeno e di ottenere risultati definitivamente determinanti, per una molteplicità di motivi.

Una rilevante, permanente difficoltà, e che ha rappresentato fin dall’inizio un consistente ostacolo al conseguimento di risultati positivi nel contrasto alla pirateria è costituita dalla condotta per nulla collaborativa di alcuni degli stati costieri, strategicamente importanti, di provenienza e di appoggio del fenomeno pirateria, in aperta violazione d quanto previsto dall’articolo 100 della Convezione delle Nazioni Unite di Montego Bay che (ribadendo, anche nella forma, quanto già affermato dall’articolo 14 della Convenzione di Ginevra del 1958) sotto la voce “Obbligo di collaborazione alla repressione della pirateria” richiede che “tutti gli stati esercitano la massima collaborazione per reprimere la pirateria nell’alto mare o in qualunque altra area che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque stato”

Ma anche quando la comunità internazionale si è mobilitata in forze per reprimere la pirateria, la sua azione si è incentrata e sviluppata per oltre quattro anni ,fino al recente mutamento di strategia (considerando quanto avvenuto dall’inizio delle operazioni militari di contrasto dell’Eunanavfor, con l’operazione Atalanta, e con quelle degli altri paesi tra cui gli Usa con le missioni Combined Task Force 150 e 151) e fino al recente mutamento di strategia, prevalentemente, se non proprio esclusivamente, attraverso il ricorso alla snervante, difficile, onerosa e non risolutiva misura di difesa passiva costituita dal pattugliamento, a sua volta condizionato da due limiti che ne hanno in più situazioni limitato l’efficacia e pregiudicato il raggiungimento di concreto successo..

In primo rappresentato dal divieto di agire all’interno delle acque territorialii senza l’autorizzazione dello stato costiero, anche nel caso di inseguimento di natante pirata sorpreso in atto di pirateria in acque internazionali.

Questo limite operativo è stato solo in parte attenuato da alcune risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU che hanno temporaneamente autorizzato solo le navi delle nazioni che avevano preso accordi in tal senso con il governo federale transitorio somalo a protrarre l’inseguimento nelle acque territoriali ( facendo in tal modo salvo il principio, sempre difeso dall’ONU, fermamente e giustamente inamovibile nella tutela del principio della inviolabilità delle acque territoriali e quindi delle sovranità nazionali )51

Il secondo limite, costituito per un verso dalla incertezza circa la competenza ed i poteri da attribuire ai militari ed agli altri operatori delle navi che intervengono a bloccare i natanti dei pirati e dall’altro circa la destinazione da dare ai pirati fatti prigionieri ed ai loro natanti catturati in alto mare, problemi .subito rivelatisi di non facile soluzione

Si sconta su questi punti la mancanza di una esplicita e precisa normativa internazionale vincolante per tutti gli stati, che regoli dettagliatamente questi aspetti niente affatto secondari dell’azione di intervento per la repressione della pirateria, per dare ad essa quella necessaria concretezza che ne valorizzi e ne renda stabilmente efficace i risultati

Lo stesso principio della “universalità della giurisdizione”, stabilito dall’articolo 105 della Convenzione delle N U di Montego Bay. secondo il quale “nell’alto mare o in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque stato, ogni stato può sequestrare una nave …pirata o una nave …catturata con atti di pirateria e tenuta sotto il controllo dei pirati, può arrestare le persone a bordo e requisirne i beni.Gli organi giurisdizionali dello stato che ha disposto il sequestro hanno il diritto di decidere la pena da infliggere nonche’ le misure da adottare nei confronti delle navi o beni , nel rispetto dei terzi in buona fede” non si è rivelato in concreto risolutivo, nonostante l’ampiezza della formulazione che non ne condizionava di per se l’operatività.

Allo stesso modo le varie iniziative finora poste in essere per custodire e processare i pirati catturati si sono rivelate inadeguate, per la parzialità della loro adozione solo da alcuni stati, per la limitatezza del loro ambito territoriale di applicazione e per la carenza della necessaria autorevolezza rispetto a quella che potrebbe derivare da un accordo internazionale di generale applicazione, gestito e controllato da un organismo internazionale super partes quali le Nazioni Unite o altro organo da esse derivato o ad esse operativamente collegato .

Così è accaduto per l’accordo tra il Kenia e l’Unione Europea del 12 marzo 2009 e quello dell’ottobre dello stesso anno tra le Seychelles ed i Ministri degli Esteri dell’Unione Europea52, accordi dei quali va tuttavia apprezzato in ogni caso il rilievo in essi attribuito ai principi del rispetto dei diritti umani e delle garanzie legali del diritto penale sostanziale e processuale fondamentali, ma che non appaiono soluzione adeguata in quanto “molti pirati dopo l’arresto sono stati spesso rilasciati per mancanza di solide prove legali o l’assenza di volontà politica di incriminarli”, come rilevato nella stessa risoluzione 2011/2962 (RSP) del Parlamento Europeo.

La necessità di pervenire al più presto ad una concreta e positiva soluzione del duplice problema della precisa determinazione della titolarità e degli ambiti operativi del potere- dovere di attuare i necessari interventi repressivi e di quello di “un ulteriore potenziamento della capacità giudiziaria nel perseguire i colpevoli ed i loro mandanti” attraverso la istituzione di un tribunale internazionale non è solo la fondata aspettativa degli analisti e degli studiosi di questo gravissimo fenomeno criminale, ma è stata autorevolmente rilevata e ribadita dal Parlamento Europeo che (esaminando il gravissimo problema della pirateria somala), con la già citata risoluzione 2011/2962RSP, ha invitato “il Consiglio e la Commissione ad adoprarsi per la istituzione di un tribunale internazionale per la pirateria che rappresenterebbe una soluzione giudiziaria stabile alla questione dei processi a carico dei pirati”.

L’affidamento del contenzioso penale per il reato di pirateria e per i reati connessi ad un unico organo giudiziario sovranazionale (magari articolato in più sezioni ed operante in più sedi) sarebbe in grado di garantire anche la non trascurabile esigenza di assicurare la uniformità della giurisprudenza e del trattamento dei pirati catturati.

Per far fronte a queste esigenze si rivela necessaria la costituzione di un apposito organismo giudiziario internazionale diverso da quelli attualmente previsti, in quanto la competenza in materia non può farsi rientrare, (per quanto si voglia accedere ad interpretazioni estensive che non siano del tutto creative) in quella degli degli organi giudiziari internazionali attualmente operanti.

Infatti al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare (ITLOS), organo indipendente delle Nazioni Unite, è riservato a il compito di “ dirimere i contenziosi tra le 149 nazioni aderenti riguardo ai requisiti di sicurezza delle navi, i diritti di pesca nelle acque internazionali, la divisione delle acque territoriali nazionali ed i divieti di pesca delle specie marine protette dalle convenzioni internazionali “53

Nessuna competenza penale in materia di pirateria venne attribuita all’ITLOS, pur essendo stato questo Tribunale istituito proprio in occasione della III Convenzione Internazionale sulla Legge del Mare tenutasi a Montego Bay il 10 dicembre 1982, nella quale venne formulata la definizione di “ pirateria” ( articolo 101)

Parimenti la Corte Internazionale di Giustizia o Corte Mondiale, non si occupa della materia penale essendo destinata a risolvere controversie tra stati circa l’applicazione e l’interpretazione del diritto internazionale.

La Corte Penale Internazionale, (ICC – International Criminal Court) che pur è un organo complementare rispetto alla giurisdizione penale nazionale dei singoli stati, destinato a giudicare i crimini più gravi che costituiscono motivo di allarme per l’intera comunità internazionale nel suo insieme (crimina iuris gentium) e che ha come soggetti del rapporto processuale non stati ma singoli individui. ha però una competenza criminale, rilevantissima sul piano sociale e politico, ma circoscritta, nella quale non possono farsi rientrare nè il reato di terrorismo marittimo nè quello di pirateria.

La pirateria, infatti, pur essendo, come si è visto un crimine gravissimo di vasto allarme per la comunità internazionale per la diffusione assunta (tanto da essere giustamente definito sotto questo aspetto un crimine internazionale), per la rilevanza dei danni diretti e riflessi che arreca alla economia mondiale, per il percolo in cui costantemente pone lo stesso principio della libertà dei mari e del loro uso, (tanto da essere stato da sempre ritenuto un gravissimo crimine contro il diritto delle genti). non è compresa tra i reati di competenza della ICC., identificati come quelli che colpiscono la comunità internazionale nel suo complesso.

Ed invero l’articolo 5 del primo paragrafo dello Statuto di Roma del 17/7/98, (che ne sancì la costituzione) indica espressamente che la Corte è competente, allo stato, a giudicare soggetti imputati di:

  • crimini di genocidio,

  • crimini contro l’umanità,

  • crimini di guerra e

  • crimini di aggressione, precisando, però, che quest’ultimo reato sarà giudicabile dalla Corte solo dopo” l’adozione, in conformità degli articoli 121 e 123, della disposizione che definirà tale crimine e stabilirà le condizioni alle quali la Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale su tale crimine “

 

Ma anche sopperendo ai limiti ed ai condizionamenti rilevati. resta il fatto che l’azione fin qui posta in essere per combattere la pirateria è stata sotto molti aspetti frammentaria e carente, laddove come è invece indispensabilmente necessario che avvenga per affrontare ogni tipo di fenomeno criminale occorre una strategia globale, uniformemente concordata tra tutti i soggetti chiamati ad operare per il suo contrasto, che agisca su più fronti ne consideri tutti gli aspetti, e venga attuata partendo dalla precisa individuazione e dalla analisi delle origini e delle cause che hanno determinato il fenomeno, rimuovendo le condizioni favorevoli al suo sviluppo, acquisendo una conoscenza, quanto più precisa e costantemente aggiornata, dei tempi e delle modalità operative, individuando i più adatti ed efficaci mezzi di contrasto, mettendo in essere e mantenendo costantemente attiva nelle forme più idonee una efficace azione di prevenzione e repressione che giunga fino ad una equa punizione dei colpevoli.

Solo parte di questi “momenti” operativi sono stati adeguatamente realizzati.

Ad esempio, per circoscrivere l’analisi al caso della pirateria del golfo di Aden ed al largo delle coste somale, senza determinante successo sono stati i numerosi e dispendiosi54 tentativi di intervenire sul fattore sociale limitati, però all’invio di pur consistenti aiuti umanitari, che, lungi dall’incoraggiare la popolazione somala a dissociarsi dall’aiutare i pirati ha costituito un ulteriore fattore di incremento della pirateria, attratta ed allettata dalla prospettiva di impossessarsi dei cospicui ed appetitosi aiuti.

Allo stesso modo nessun successo hanno fatto registrare gli incerti tentativi posti in essere dalla comunità internazionale, di assicurare una sufficiente stabilità politica della regione che permettesse ad un governo autorevole, efficiente e non collegato alla criminalità di esercitare un valido controllo nella zona, rompendo lo scellerato rapporto di complicità esistente con i pirati e privando questi ultimi di sicure opportunità di rifugio dopo la commissione dell’attività predatoria e di sostanziale impunità55

Eppure non sono mancate esplicite sollecitazioni in tal senso da autorevoli organismi internazionali, quale ad esempio il Parlamento Europeo che nella articolata e motivata Risoluzione 2011/2962 RSP, considera fondatamente “che la lotta alla pirateria in Somalia non può essere vinta soltanto con mezzi militari, …ma dipende soprattutto dal rafforzamento istituzionale” dal momento che “ il perdurare dell’instabilità politica è nel contempo una concausa ed un fattore costitutivo del fenomeno e che alcuni settori della popolazione continuano a considerare la pirateria stessa una fonte di reddito proficua e praticabile”

Certamente positivo è il bilancio delle numerose iniziative poste in essere per acquisire precise ed aggiornate informazioni circa i luoghi, i tempi e le modalita’ operative delle azioni poste in essere dai pirati.

In proposito si richiama l’ efficiente attività svolta dal Piracy Reporting Center e dall’IMO alla quale va aggiunta quella posta in essere dall’International Maritime Bureau (IMB)56 che” ha piu’ volte fornito segnali di allarme per le navi in transito al largo della costa somala invitandole a mantenersi ad almeno 200 miglia dalla costa” 57

Parimenti positivo può essere il giudizio relativo alla efficacia delle numerose ed articolate azioni militari portate avanti con lodevole impegno ed altissimi costi dalla comunità internazionale, in precedenza descritte, pur con legittime riserve nella valutazione del rapporto tra mezzi, risorse ed energie impegnate e risultati conseguiti.

Agli interventi militari ed in particolare alle più recenti operazioni di “difesa attiva” va collegato un indubbio effetto di prevenzione anche se appare necessario rimuovere le condizionanti incertezze, innanzi rilevate circa la destinazione da dare ai pirati fatti prigionieri ed ai natanti ad essi sequestrati, in modo da evitare il paradosso di rivederli nuovamente in attività.

Tuttavia un recentissimo episodio, avvenuto il 6 settembre 2012, conferma che nell’area del Corno d’Africa l’attività dei pirati è sempre in corso, con azioni ancor più audaci e determinate.

Infatti un elicottero italiano, come riportato da più fonti giornalistiche,58 impegnato in un pattugliamento nell’ambito dell’Operazione Atalanta dell’Unione Europea si era avvicinato ad una imbarcazione sospetta, dalla quale sono partiti colpi di arma da fuoco che hanno colpito il parabrezza del velivolo, che andando in frantumi ha causato solo lievi ferite ad un membro dell’equipaggio.

La stessa fonte riferisce che nell’estate c’e’ stato un calo degli attacchi dei pirati, anche per effetto dei monsoni, e che comunque nel 2012 si sono finora registrati 28 assalti, contro i 151 dello scorso anno, i 127 del 2010 ed i 117 del 2009 e che attualmente sono 7 le imbarcazioni nelle mani dei pirati, con 177 persone tenute in ostaggio, dati questi che confermano la più incisiva efficacia della strategia di contrasto attualmente adottata.

 

 

CAPITOLO TERZO

 

LA PIRATERIA SECONDO L’ELABORAZIONE

DELLA DOTTRINA E DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

 

 

Per la individuazione del regime repressivo del fenomeno della pirateria nella nostra legislazione, occorre far riferimento a quanto previsto sia dal codice della navigazione sia dal codice penale’ in quanto come è stato correttamente affermato59, la disciplina penale del codice della navigazione ” si pone in posizione di complementarità rispetto al diritto penale comune .in quanto ipotizza figure di reati esclusivi della navigazione, o che pur essendo previste dal codice penale esigono una particolare configurazione o una pena diversa” – generalmente più grave- “o la previsione di una particolare circostanza,( reati impropri della navigazione)

La complementarità trova il suo logico fondamento da un lato nella necessità di utilizzare figure ed istituti propri del diritto penale il cui inserimento nel codice della navigazione – peraltro cronologicamente anteriore- avrebbe costituito un ripetitivo ed inutile appesantimento dall’altro nella specificità della materia che non avrebbe trovato una sistematica ed armonica collocazione nel diritto penale comune.

Come avrebbero potuto trovare posto e coesistere in un unico codice due norme quali l’articolo 115 del codice penale e l’articolo 1139 del codice della navigazione, così diverse e contraddittorie anche se entrambe ispirate da motivazioni assai fondate e parimenti condivisibili?

Ed infatti l’articolo 115 del codice penale stabilisce la non punibilità dell’accordo allo scopo di commettere un reato .qualora questo non sia stato commesso,60 in omaggio oltre che ad una valida scelta di politica criminale diretta ad incentivare la desistenza, ( secondo l’antica regola già applicata nel diritto romano ed espressa nell’antico brocardo “cogitazionis poenam nemo patitur”) anche in armonia a tutte le norme ed ai principi che regolano la punibilità per il delitto tentato ( articolo 56 C.P.) che richiedono, comunque, il superamento della fase di mera ideazione e l’inizio di una attività diretta alla esecuzione

Diversamente l’articolo 1139 del codice della navigazione punisce comunque il mero accordo tra tre o più componenti dell’equipaggio per impossessarsi della nave, anche se il delitto non è commesso e non stata ancora posta in essere alcuna attività esecutiva o preparatoria, per far fronte alla la indubbia necessità di attuare una più efficace prevenzione e per la rilevante pericolosità che presenta in sè un accordo criminoso avvenuto tra soggetti operanti in una cerchia ristretta e stabile quale è l’equipaggio di una nave .

In effetti solo nel codice della navigazione troviamo una esplicita norma – l’articolo 1135 – la cui rubrica è proprio ” pirateria” che punisce, con la pena della reclusione da dieci a venti anni il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera che commette atti di depradazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera ” stabilendo una pena minore per gli altri componenti dell’equipaggio.

Il termine ” pirateria” lo si ritrova nel successivo articolo 1136 che prevede l’originale, problematica – anche se interessante — fattispecie della nave sospetta di pirateria, intendendo come tale quella abusivamente fornita di armi che naviga senza essere munita delle carte di bordo

La dottrina specialistica definisce questa ipotesi di reato ” pirateria presunta “.

La norma infatti stabilisce che la clandestinità e l’abusivo possesso di armi sono elementi che ne fanno legittimamente presupporre la finalità piratesca e quindi giustificano la configurazione di un autonomo reato che va ad aggiungersi e concorrere con quelli dell’illegittima detenzione di armi ed al mancato possesso dei documenti di bordo .

Anche questa norma trova la sua più appropriata sedes materiae nel codice della navigazione – dove più accettabilmente può trovare sua valida giustificazione in una esigenza specifica di prevenzione di atti di pirateria -in quanto molto difficilmente sarebbe stata invece armonizzabile con i principi generali del diritto penale, perchè non è richiesta per la configurabilità del reato di cui all’articolo 1136 C d N nessuna condotta ulteriore rispetto a quella integratrice dei soli due reati di illegittima detenzione di armi e navigazione senza essere munita delle carte di bordo.

Non è infatti neppure richiesto che la nave compia manovre di avvicinamento ad altro natante interpretabili come indizio di una condotta sia pur lontanamente idonea e vagamente non equivoca a configurare un tentativo di pirateria, nè che la navigazione avvenga in un contesto indiziante.

Parimenti non è neppure richiesto che il comandante della nave o membri dell’equipaggio siano stati protagonisti, anche se solo a livello di tentativo, di condotte riconducibili anche solo parzialmente a quelle previste nella fattispecie della pirateria ex articolo 1135 C.d N o presentino altre specifiche qualificazioni soggettive indizianti.

La stessa formulazione della norma, se pur chiara ed inequivoca nella indicazione della finalità perseguita dal legislatore di prevenire e punire anche situazione e condotte predisponenti atti di pirateria non appare tuttavia formalmente condivisibile perche la rubrica dell”articolo 1136, (“Nave sospetta di pirateria”) non fa riferimento all’effettivo contenuto della norma che più correttamente collega il sospetto a comportamenti illegittimi del comandante o dell’ufficiale,e come tali gravemente indizianti.

Vien da pensare che il legislatore attraverso quella formulazione, con l’uso nella rubrica del termine ” nave” abbia inteso ribadire il concetto che la pirateria è configurabile solo nella ipotesi del coinvolgimento di due natanti nelle attività punite dall’articolo 1135.

Non si può comunque omettere di tener presente e ribadire che la previsione della irrogazione della pena sulla base di un semplice sospetto o di una presunzione è fuori dal sistema penale e del conseguente sistema processuale, dove non troverebbe posto un reato la cui rubrica facesse espresso riferimento ad un mero sospetto

Identica o analoga figura di reato e lo stesso termine “pirateria” non si rinvengono nel codice penale ordinario, al quale pur occorre far riferimento per giungere alla individuazione ed alla punizione di tutti i singoli reati commessi in occasione delle azioni di pirateria.

E’ evidente il collegamento della figura giuridica del reato di pirateria come delineato nel codice italiano della navigazione alle analoghe fattispecie, già previste rispettivamente prima dall’articolo 15 della Convenzione di Ginevra e successivamente dall’articolo 101 nelle Convenzioni di Montego Bay , alle quali, peraltro l’Italia ha esplicitamente aderito, ratificandole, nonchè dal Protocollo e dalla Convenzione di Roma del 1988:

La citata norme del codice della navigazione, come esplicitamente riportato nella rubrica del capo VI del titolo II del libro I della parte III del codice (Dei delitti contro la proprietà della nave dell’aeromobile e del carico) intende tutelare infatti in primo luogo lo specifico bene giuridico protetto rappresentato dalla intangibilità della integrità del patrimonio dell’armatore, leso dall’azione di pirateria.

In questo senso ampio va interpretato il termine “proprietà” usato dal codice della navigazione.

Non possono invece farsi rientrare nel concetto di pirateria così come elaborato dalle convezioni internazionali e dal codice della navigazione italiana, le fattispecie previste dagli articoli 1137 e 1138 di detto codice.

Le stesse, infatti, pur prevedendo condotte violente di depredazione e di impossessamento commesse rispettivamente dal comandante o dall’ufficiale di una nave (articolo 1137) e da componenti dell’equipaggio di una nave ( articolo 1138 ) mancano di un elemento proprio del reato di pirateria e cioè del requisito della contrapposizione tra due navi e non vengono quindi messi in pericolo o compromessi gli ulteriori e forse ancor più rilevanti beni giuridici che la norma sulla pirateria intende tutelare, vale a dire la libertà dei mari e la sicurezza della navigazione.

Pur in questa limitata pericolosità, che attenta al solo elemento della “proprietà” rispetto al reato di pirateria, la qualità soggettiva degli autori delle due tipologia di reato ed il contesto nel quale essi vengono commessi tuttavia assumono rilevanza nel senso che l’articolo 1137 si spinge alla equiparazione quoad peenam alla pena stabilita dall’articolo 1135 per il reato di pirateria e come sanzione per il reato di cui all’articolo 1138 sono previste pene più gravi rispetto a quelle. stabilite dal codice penale per i reati di rapina ed estorsione.

 

 

La pirateria: delitto plurioffensivo.

 

Ma l’attività di pirateria nella sua azione lede e pone in pericolo anche una altra pluralità di beni ed interessi pubblici e privati oltre quello patrimoniale, preso prevalentemente in considerazione nelle convenzioni e protocolli internazionali e nel codice della navigazione.

In primo luogo, infatti, lede il diritto fondamentale facente capo a tutti i membri della collettività rappresentato dalla libertà e sicurezza della navigazione.

Contemporaneamente lede specifici diritti facenti capo al proprietario della nave ed ai singoli membri dell’equipaggio che vengono compressi dal solo fatto che la nave viene bloccata dall’azione dei pirati.

Quando poi i pirati salgono a bordo e l’equipaggio viene fatto prigioniero i concorrenti reati configurabili a loro carico sono, come la casistica dimostra i più vari in quanto vanno, a seconda delle circostanze e delle modalità della condotta criminosa dagli stessi posta in essere, dalle minacce alla violenza privata ed alle lesioni personali, dalla rapina al sequestro di persona a scopo di estorsione.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha giustamente ravvisato comunque il concorso del reato di impossessamento di una nave con quello di sequestro di persone 61, relativamente alla fattispecie più semplice, reati ai quali va aggiungersi il concorso degli ulteriori reati nella articolata casistica che la cronaca purtroppo registra

Tanto il reato di “pirateria” quanto il reato di “nave sospetta di pirateria” sono punibili senza limitazioni relative al luogo in cui sono posti in essere, vale a dire sia se l’azione piratesca è avvenuta nelle acque territoriali nazionali, sia in alto mare, sia in acque territoriali straniere, sempre che siano stati commessi in danno di nave italiana o di equipaggio.

Come rileva Jean Pierre Pierini62 “al riguardo si suole parlare di “ applicabilità della legge penale nello spazio” e tale applicazione è, per il codice penale, estesa limitatamente ai casi stabiliti (espressamente) dalla legge medesima o dal diritto internazionale a tutti i cittadini o stranieri che si trovano all’estero”

Il fondamento normativo di tale estesa possibilità di esercitare la giurisdizione italiana in merito al reato di pirateria ed ai reati connessi è stato tradizionalmente individuato nell’articolo 7 n. 5 del codice penale che prevede la punibilità “secondo la legge italiana del cittadino o dello straniero che commette in territorio estero……ogni altro reato speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana”

La dottrina tuttavia si divide circa la interpretazione del fondamento ultimo che motiva la legittimità dell’esercizio della giurisdizione italiana per il reato commesso all’estero

Secondo alcuni il fondamento va individuato nell’articolo 105 della Convenzione di Montego Bay, interpretazione questa che non trova ostacolo nella “facoltatività” (“può” dice la norma) dell’attività di sequestro di una nave pirata, di arresto delle persone e di requisizione dei beni a bordo della nave pirata e di quella catturata con atti di pirateria, in quanto, come osserva il Pierini “ operata la cattura, l’applicazione della legge penale dello stato-catturatore non è più facoltativa ma obbligatoria”

Secondo altri la norma che rende possibile l’applicazione alle azioni di pirateria commesse al di fuori delle nostre acque territoriali della legge italiana va individuata nell’articolo 1080 del codice della navigazione.

Nessuna diversità interpretativa si registra, invece, circa la individuazione del fondamento ultimo della punibilità dei reati di pirateria e di quelli ad essi collegati commessi nel golfo di Aden ed al largo della Somalia in danno dello Stato, di navi, membri degli equipaggi o beni italiani, stante la chiarezza della normativa applicabile..

Ed infatti il sesto comma dell’articolo 5 del D L n.107 del 12/7/2011, convertito senza modifiche su questo punto dalla legge 2/8/2011 n.130, stabilisce che” si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5, commi da 2 a 6 del decreto legge n 209 63, convertito con modificazioni dalla legge n 12 del 200964, e successive modificazioni, riferite alla aree e alle navi in cui si svolgono i servizi di cui ai commi 1 e 4“

Orbene il quarto comma dell’articolo 565 stabilisce espressamente che i reati previsti dagli articoli 1135 (pirateria) e 1136 (nave sospetta di pirateria) dl codice della navigazione e quelli ad essi collegati ai sensi dell’articolo 12 c:p:p sono puniti ai sensi dell’articolo 7 del codice penale e la competenza è attribuita al Tribunale di Roma.66

 

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1 Dr. Riccardo Vuosi, Ricercatore di Diritto Pale presso la Seconda Università di Napoli.

2 Del tipo di quella da svolgersi nei tre centri di Mombasa, Dar es Salam, e Sanaa previsti dall’accordo firmato,sotto gli auspici dell’IMO, da ben nove stati della regione (Gibuti, Etiopia, Kenya, Madacascar, Maldive, Yemen, Saychelles, Somalia e Tanzania).

3 Vedasi anche Luca Salamone nell’articolo “Disciplina giurica transnazionale della pirateria navale” in Ratio Iuris.it su Internet

4 Appare senz’altro opportuno che l’azione di pattugliamento venga affidata a navi militari nell’ambito di un organico programma.

Non sembrano da preferire le proposte del tipo di quella avanzata dalla Compagnia di a inglese di assicurazione Jardine Lloyd Thompson, che ha messo a punto un piano per costituire una flotta privata per sorvegliare il golfo di Aden, composta da 18 motovedette con equipaggio composto da ex militari britannici.

A parte i costi che verrebbero ad incidere sui già gravosi oneri che la pirateria impone agli armatori , sta di fatto che non pochi e complessi problemi sorgerebbero in caso contrasti tra navi ed equipaggio corsari e unità della flotta privata, a cominciare dai limiti dei poteri costrittivi e coercitivi dei componenti della flotta privata, per finire alle questioni di competenza e giurisdizione.

5 Lo ricordava nel suo articolo “ Guerra alla pirateria: salto di qualità nel 2009 ? pubblicato il 21 /02/2009 nella rivista Affari Internazionali Valerie Miranda

6 Vanno in particolare ricordate le risoluzioni 1814, 1816, 1838 e 1846

7 Insieme a Germania, Francia, Olanda, Spagna, GranBretagna e Stati uniti

8 Cisì net testo della delibera di istituzione della Azione Comune “

9 EU Coordination Cell

10 In particolare la risoluzione 1838 adottata dal Consiglio di Sicurezza il 7 ottobre 2008

11 Le Azioni Coumuni riguardano specifiche situazioni dove l’azione operativa della UE è considerata necessaria per far fronti a situazioni che richiedono interventi anche di tipo militare ( articolo 14 del trattato di Maastrich, istitutivo della Comunità e le successive modifiche ed integrazioni del trattato di Amsterdam, Nizza e Lisbona ) per assicurarne la finalità primaria dell’esistenza di una” Europa sicura in un mondo migliore”

L’acronimo PESC sta ad indicare l’espressione “ Politica Estera e Sicurezza Comune” cioe la politica che l’Unione Europea attua in materia di sicurezza sulla base delle previsioni del Trattato di Maastrich, istitutivo della Comunità. che agli articoli da11 a 28

12 COMBINED TASK FORCE

13 La sola missione CTF 150 ha visto la partecipazione della Repubblica di Corea, del Canada, della Danimarca, della Francia, della Germania, del Regno Unito, della Australia, dell’Italia, dei Paesi Bassi, della Nuova Zelanda, del Portogallo, di Singapore, della Spagna, della Thailandia e della Turchia.

14 Destinata originariamente, secondo le finalità proprie delle operazioni che ne avevano determinato l’armamento, a contrastare i traffici di armi destinate al terrorismo internazionale ed alla proliferazione delle armi di distruzione di massa

15 Shared Awareness and Deconfiction Exercise

16 Share Awareness and Deconfiction meeting shade

17 Articolo 5 primo comma del D L n. 107 del 12 luglio 2011

18 Come accaduto per il Djibuti Code of Conduct del 2009 con il quale ben 17 degli stati costeri del Corno d’Africa si sono impegnati a porre in essere attività che costituiscono efficaci misure di contrasto alla pirateria

19 Il codice, aperto alla firma di 21 stati della regione prevede la possibilità di istituire operazioni congiunte, un sistema di focal point e centri di informazione regionali e l’impegno ad adottare norme interne per la repressione della pirateria.

20 Intrnational Parcel Tanker Association

21 Nel riferire la notizia nell’articolo “Somalia, il nemico alle porte” pubblicato il 16 maggio 2012 su E il mensile on line, Luca Galassi riporta la dichiarazione fatta da Catherine Ashton (Alto rappresentante per la politica estera della Unione Europea ) secondo cui “ La lotta contro la pirateria e le sue ragioni profonde è una priorità dell’azione che la UE conduce nel Corno d’Africa”

Nello stesso articolo Galassi osserva “che dietro le parole di circostanza del ministro degli esteri europeo vi è la richiesta del primo ministro somalo Abdiweli Mohamed Ali che ha inviato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Mom una lettera nella quale si chiedeva l’ampliamento della prerogative e degli obbiettivi e della missione navale “

22 I ben noti barchini ( schiff ) utilizzati dai pirati per l’abbordaggio dei mercantili

23 Il termine tortuga viene attualmente usato per indicare un covo di pirati,e si collega in ciò alla storia dell’isola della Tortuga, sita nel Mare dei Caraibi, che divenne luogo di rifugio e covo ideale di bucanieri,di filibustieri, corsari e pirati

24 “Nessun scarpone” ,è stato letteralmente detto, ha toccato il suolo somalo

25 La nave e l’equipaggio, nonostante i numerosi tentativi fatti dalle autorità italiane con il diretto impegno del Governo, anhe attraverso contatti con il Govero somalo, sono stai lasciati liberi solo alla fine di dicembre 2011

26 Il rimorchiatore Buceneer nel 2009 e il già ricordato esasperante caso della petroliera Savina Caylyn

27 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.181 del 5 agosto 2011

 

28 Così Damiano Ricciutelli in “La recente normativa sulle misure di contrasto alla pirateria marittima “ in The italian maritime journal Luglio- settembre 2011 Anno X n. 3Università degli Studi di Bologna

29 Così Ricciutelli, citato in precedenza.

30 che aveva svolto una indagine conoscitiva sul possibile contributo delle Forze Armate i cui risultati sono confluiti in una apposita Risoluzione della 4^ Commissione permanente approvata nella seduta del 22 giugno 2011, come si evince dall’articolo “PIrateria Via libera a militari o contractors sulle navi italiane: E’ davvero una alternativa?”dello Studio legale Garbarini Vergani, pubblicato su Internet

31 come mette opporunamente in rilievo il Caffio nell’articolo “ Nuovi strumenti di protezione contro la pirateria a favore delle navi private” in Rivista Marittima Ottobre 2011

32 Il fatto che la norma espressamente limita la protezione alle sole navi battenti bandiera italiana, senza collegare la tutela al concetto della proprietà del natante, porta ad escudere la possibilità di imbarcare personale militare italiano su navi, pur di proprità di armatori italiani ma battenti bandiere di altri stati e quindi delle cosiddette bandiere ombra, cioè di stati, come Liberia Panama ed altri,che offrono agli armatori condizioni particolarmente vantaggiose

33 E’comunque prevista la “eventualità” che dei NAP faccia parte anche personale delle altre Forze Armate, senza peraltro che vengono specificate quali siano le condizioni alle quali è collegabile il verificarsi della generica “eventualità” prevista dall’articolo 5

Attualmente i team operativi sono 10 , ciascuno composto da sei militari della Marina, specialisti del Reggimento San Marco

34 quella che viene definita Hait Risk Area (HRA)

35 dopo aver premessa la cosiderazione che gli atti di pirateria nelle acque internazionali al largo del Corno d’Africa rappresentano una rilevante minaccia alla libertà di navigazione del naviglio commerciale italiano nelle rotte in entrata ed uscita dallo stretto di Bad e I Mandeb attraverso il quale transita una parte consistente del flusso di rifornimento energetico destinato all’Italia, nonchè un’ampia porzione dell’Oceano Indiano estesa sia verso est che verso sud del medesimi stretto” e che vanno anche “ cosiderate le aree d’interesse dell’operazione militare della Unione Europea denominata Atalanta e dell’operazione della NATO denominata Ocean Schield e “ tenuto conto dei rapporti periodici dell’International Maritime Organization (IMO)”

 

36 Di entrambi i reati si tratterà in prosieguo

37 Così anche Ferdinando Pelliccia nell’articolo “Pirateria marittima: militari o contractors a difesa delle navi commerciali italiane? pubblicato su Internet

38 intitolata “ Disposizioni urgenti per la partecipazione del personale militare all’operazione multinazionale denominata Enduring Freedom. Modifiche al codice penale militare di guerra.

39il termine va tradotto letteralmente in “contraenti” ,cioè persone con le quali si stipula un contratto, in rifermento appunto al contratto che l’armatore stipula in genere con compagnie private che rapprentano i team di guardie giurate che praticano l’attività di protezione

40 come il Belgio e la Francia, laddove Spagna, Germania e Gran Bretagnia consentono il solo utilizzo di gurdie giurate delle società di contractor.

41 Come ampiamente riportato dalla fonti di informazione ufficiali e dalla stampa ne è nato un caso giudiziario e diplomatico che vede contrapposte le autorità giudiziarie e politiche indiane ( in particolare quelle dello stato federale del Kerala ) e quelle italiane che rivendicano entrambe il diritto a giudicare l’episodio in riferimento a due diverse ricostruzione ed alla diversa localizzazione dei fatti avvenuti che determinano discordi conclusioni in merito alla giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Indiana o dell’Italia.

42 Particolarmente critica è stata una nota del Segretario del Partito per la Tutela dei Diritti di MIlitari e Forze di Polizia, Luca Marco Comellini, che ha parlato di ambigiutà della nave mercantile in transito pacifico, però armata con militari a bordo

43 Nell’articolo dal titolo “Pirateria marittima :militari o contractors a difesa delle navi commerciali italiane, pubblicato su Internet, Ferdinando Pelliccia dà ampio spazio alle voci dei sostenitori della opportunità di affidare la difesa delle navi alle società di contractors riportando anche l’opinione di Carlo Biffani, che se appare in condivisibile laddove viene evidenzaiata la diversità della formazione e preparazione dei militari rispetto a quella rihiesta per lo svolgimento della funzione di protezione di una nave commerciale, non sfugge però al rilievo che il Biffani quale Direttore Generale del ”Security Consulting Group Srl” e Presidente pro tempore della Assosecurnav, è certamente quindi un “esperto di sicurezza” ma vede il problema in una ottica inconsciamente influenzata dal suo ruolo.

44 Nonostante i solleciti a provvedere provenienti dai soggetti- associazioni di categoria, armatori ed operatori del settore- interessati e da rapprentanti politici, come il deputato Compagnon presentatore di una specifica interrogazione a risposta orale

45 Vedasi, ad esempio quanto fatto presente dal Presidente dell’Assosecurnav, Carlo Biffani.

46 La presenza di questa questa condizione ci ha indotto in precedenza ad affermare che la disposizione come la previsione di una ipotesi residuale

47 All’evidente scopo di evitare che assalti da parte dei pirati siano incentivati dalla mancanza di misure di autoprotezione passiva.

48 La indicazione normativa non appare del tutto corretta ed ha fatto sorgere fondati dubbi interpretativi in quanto l’articolo 28 del TULPS è relativo specificamente alle armi da guerra

49 Del resto l’articolo 18 prevede l’affidamento a guardie giurate dipendenti o ad istituti di vigilanza privata di servizio di sicurezza sussidiario nell’ambito di porti, stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi e delle stazioni ferroviarie metropolitane, finalizzato specificamente alla prevenzione di atti di terrorismo. La stessa rubrica dell’articolo 18 è espressamente quella di “ Misure urgenti per contrasto al terrorismo internazionale”

50 La ratio va individuata nella finalità di garantire la necessaria autonomia tecnica e serenità nelle decisioni da assumere circa le modalità di attuazione delle azioni difensive rese necessarie per contrastare le possibili azioni poste concretamente in essere dai pirati assalitori

51 Analoga autorizzazione non è stata inserita nella mozione per le zone dell’Africa Occidentale pur infestate dalla pirateria, per l’opposizione di Cina, Libia e Vietnam.

52 Gli accordi sono entrambi riportati e commentati nel capitolo VII “L’aspetto giuridico nazionale (diritto marittimo e penale) di Jean Pierre Pierini I pirati di ieri e di oggi in Supplemento della rivista marittima

53 Da Wikipedia, l’Enciclopedia libera. In Internet

54 La sola Unione Europea ha stanziato, tramite il Fondo Europeo di Sviluppo (FES), per il periodo 2008-2013 ben 215,4 milioni di euro, accompagnato da un ulteriore stanziamento, per il periodo 2011-2013 di 175 milioni di euro al titolo del FES,dempre destinato alla Somalia.

55 Nei casi citati in cui l’autorità governativa somala ha collaborato con le forze internazionali impegnate nella lotto alla pirateria i risultati positivi si sono infatti raggiunti.

56 L’IMB è una divisione specializzata dell’Intrenational Chamber of Commerce.E’ una organizzazione non governativa, senza scopo di lucro,istituita nel 1981 che si occupa a livello mondiale della raccoltadi informazioni utili a prevenire e contrastare la pirateria.

57 Così Carmen Telesca nell’articolo “Le recenti misure internazionali di contrasto alla pirateria” in GIURETA Vol VII 2009

58 Vedasi, tra le altre, il quotidiano Il Mattino del 7 settembre 2012.

59 “Lefevre -Pescatore-Tullio ,Manuale di diritto della navigazione, Giuffrè editore Decima edizione pagina 751

60 Ne spiagano le ragioni:

Fiandac Musco Diritto penale Zanichelli editore Parte generale quarta edizione pagina 459

Bettiol -Mantovani Diritto Penale Parte generale Cedam 1986 pagina 659

Antolisei Manuale di diritto penale Parte generale sedicesima edizione Giuffrè 2003 pagina 390

61 Cassazione penale / febbraio 2000 in Dir tras.2000

62 Nel suo studio dal titolo “L’aspetto giuridico nazionale (Diritto Marittimo e Penale) costituente il Capitolo VII del testo“Pirati di ieri e di oggi”pubblicato nel Supplemento Alla Rivista Marittimo dicembre 2009

63 Vale a dire il decreto legge 30 dicembre 2008 contenente tra le altre disposizioni la proroga della partewcipazione italiana a missioni internazionali

64 Cioè la legge 24 febbraio 2009 n 12

65 Come modificato dall’articolo 1 del D.L.15 giugno 2009 n, 61, convertito nella legge 22 luglio 2009 n.100

66 Tutte le ipotesi sopra easminate trovano una chiara sintetica, ma completa, esposizione nel quadro sinottico in calce all’articolo del Pierini i cui estremi sono riportati nella precedente nota numero 100

Vuosi Riccardo

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