Nota alla sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 19.07.2013

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La Corte Costituzionale con la sentenza n. 223 del 19 luglio 2013 ha dichiarato la incostituzionalità “dell’art. 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile”.

La questione di legittimità, sollevata in via incidentale nel corso di un arbitrato rituale, involgeva l’impugnazione di una delibera assembleare di una società a responsabilità limitata da parte di un socio avanti al Tribunale ordinario di Bologna, che con la sentenza del 13.12.2011 aveva dichiarato la propria incompetenza ad averne cognizione, poiché per espressa riserva di una clausola statutaria compromissoria la competenza era devoluta alla decisione di un arbitro unico.

Il socio, quindi, con successivo ricorso depositato alla Cancelleria del Tribunale ordinario di Bologna, in data 10.02.2012, aveva chiesto e ottenuto la designazione dell’arbitro unico. Tuttavia nel corso del procedimento arbitrale, la società aveva eccepito l’avvenuta decadenza del socio ad impugnare la delibera assembleare, assumendo che interiectu temporis era spirato il termine dei novanta giorni stabilito dall’art. 2479– ter del codice civile.

Quanto detto vale già ad appalesare i termini della vicenda, ossia dire che l’eccezione preliminare di decadenza sollevata dalla società poteva tanto reggersi quanto poteva negarsi alla domanda spiegata dal socio, nell’occasione del primo giudizio instaurato avanti al Tribunale di Bologna, la conservazione degli effetti sostanziali e processuali.

Tale negazione, tuttavia, era sancita proprio dal censurato secondo comma dell’art. 819- ter c.p.c, che stabiliva l’inapplicabilità espressa dell’art. 50 c.p.c. nei rapporti tra arbitro e processo.

E’ notorio che l’art. 50 c.p.c. rappresenti lo snodo tecnico-processuale per traslare una domanda avanti al giudice dichiarato competente1 senza, per questo, compromettere gli effetti sostanziali e processuali della stessa, nel cui novero rientrano, per l’appunto, quelli interruttivi della decadenza dell’azione.

L’arbitro, perciò, investiva il Giudice delle leggi della legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, comma secondo, c.p.c., nella parte in cui escludeva il rimando operativo all’art.50 c.p.c., in quanto “in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché irragionevolmente ed in plateale disarmonia con la disciplina codicistica che regola i rapporti tra giudici ordinari e tra questi ultimi e quelli speciali, violando il diritto di difesa delle parti e i principi del giusto processo, determina, in caso di pronuncia di diniego della competenza del giudice ordinario adito a favore dell’arbitro, l’impossibilità, nel giudizio arbitrale successivamente instaurato, di far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice ordinario”.

I Giudici, nel proiettarsi nella declaratoria di illegittimità parziale interpretativa in esame, affrontano senza mezze misure un recente indirizzo nomofilattico della Corte di Cassazione2 teso a leggere nel secondo comma dell’art. 819-ter c.p.c. un portato normativo unilateralmente applicabile solo ai casi in cui siano gli arbitri ad escludere la loro competenza e non pure quando sia il giudice ordinario a dichiarare la competenza a favore di quella degli arbitri.

Sul punto scrive la Corte Costituzionale che “una simile interpretazione della norma censurata – che non costituisce diritto vivente – si basa, però, su argomentazioni fragili, fondandosi esclusivamente sulla constatazione che il secondo comma dell’art.819ter menziona i rapporti fra arbitrato e processo e non quelli tra processo e arbitrato. E’ evidente la debolezza dell’argomento: l’espressione utilizzata dalla norma è tale da comprendere, in generale, qualsiasi rapporto che può intercorrere, rispetto ad una stessa causa, tra arbitri e giudici. Del resto, i giudici di legittimità non hanno chiarito quale sarebbe la ratio della diversità di trattamento […]”, per poi chiosare che l’art. 819-ter, comma secondo, c.p.c. inibisce l’applicazione dell’art.50 c.p.c. in ambedue le ipotesi, cioè tanto quando sia l’arbitro a dichiararsi incompetente a favore del giudice statale, che viceversa.

E’ da notare che la Corte effettua uno sforzo incidentale comparativo diretto a porre in un pari piano funzionale il giudizio arbitrale e quello statale, consapevole che la connotazione di equivalenza dei due procedimenti sia il presupposto necessario perché possa considerarsi violato l’art. 24 Cost. ad opera del comma secondo dell’art.819- ter c.p.c.

I Giudici evidenziano che “anche se l’arbitrato rituale resta un fenomeno che comporta una rinuncia alla giurisdizione pubblica, esso mutua da quest’ultima alcuni meccanismi al fine di pervenire ad un risultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale”.

Ravvisano la conferma della funzione analoga e sostitutiva della giustizia arbitrale rispetto a quella statale anche dall’esame delle riforme introdotte col D.Lgs. n.40/2006, ed in particolare dall’ammissibilità dell’intervento volontario di terzi nel processo arbitrale (art. 816- quinquies c.p.c.), dalla possibilità degli arbitri di sollevare la questione di legittimità costituzionale (art. 819-bis c.p.c.) e dalla circostanza che al lodo arbitrare, fin dalla sottoscrizione, vengono ricollegati gli effetti della sentenza dall’autorità giudiziaria (art. 824-bis c.p.c.).

La Corte rafforza, anche sotto l’aspetto sostanziale, l’equiparazione del giudizio arbitrale a quello statale attraverso il richiamo della disciplina in materia di prescrizione e trascrizione espressamente applicabile alla domanda di arbitrato.

A corollario del predetto percorso comparativo, la Corte Costituzionale ha ravvisato nel paradigma costituzionale dell’art. 24, violato dal secondo comma dell’art. 819-ter c.p.c., la piena libertà delle parti di ricorrere anche agli arbitri per tutelare le proprie ragioni e pertanto eventuali errori compiuti nell’individuazione del giudice competente non possono sacrificare il diritto di ottenere la statuizione dal giudice effettivamente competente.

In ultimo, merita di essere segnalato che il Tribunale di Catania aveva parimenti sollevato la questione di legittimità costituzionale sul punto e che, a seguito della riunione dei due giudizi, rimaneva assorbita.

1 A seguito della quale, peraltro, devono ritenersi utilizzabili gli atti istruttori (nella specie, consulenza tecnica relativa all’indennità di occupazione legittima) disposti ed espletati dal giudice che ha dichiarato la propria incompetenza, considerato che tale declaratoria non spiega di per sè effetti invalidanti sugli atti medesimi e che la riassunzione determina la prosecuzione del processo originariamente instaurato – Cass. Civ., Sez.I, 10 maggio 2013, n. 11234.

2 Cass. Civ., n.22002/2012.

Maurizio Bertolone

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