Non è legittimo agire in autotutela per evitare di pagare la ricorrente (TAR Sent. N.02683/2012)

Lazzini Sonia 09/12/12
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L’Amministrazione ha agito in autotutela, procedendo all’annullamento d’ufficio di atti amministrativi ritenuti illegittimi;

il provvedimento di autoannullamento non risulta, però, adottato in conformità all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’interesse pubblico nel medesimo esplicitato è sicuramente inidoneo a rappresentare la sussistenza di un preciso, attuale e concreto interesse pubblico nei termini prescritti dalla legge

l’annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo impone la precisa individuazione delle ragioni di pubblico interesse che giustificano l’adozione del provvedimento di secondo grado.

Per quanto attiene precipuamente alle gare pubbliche, la potestà di annullamento in autotutela degli atti è espressamente ricondotta al principio costituzionale di buon andamento che impegna l’Amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l’obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 18 marzo 2011, n. 1500).

Sussiste, pertanto, la inequivoca necessità di ragioni di interesse pubblico sottese all’adozione del provvedimento di autoannullamento – le quali non possono comunque prescindere dalla considerazione del tempo eventualmente trascorso e delle posizioni giuridiche consolidatesi per effetto del provvedimento da annullare – con l’ulteriore precisazione che tali ragioni devono trovare espresso riscontro nel provvedimento di secondo grado attraverso una motivazione tanto più approfondita e stringente quanto più gli interessi privati sacrificati risultino consolidati per il decorso del tempo: l’esercizio del potere di autotutela è sì espressione di rilevante discrezionalità ma comunque non esime l’Amministrazione dal dare conto della sussistenza, tra l’altro, dell’interesse pubblico – presupposto di detto potere, al pari dell’illegittimità originaria del provvedimento – in termini esaustivi e chiaramente comprensibili (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 25 ottobre 2010, n. 32960; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 14 settembre 2010, n. 3456).

E’ pur vero che esistono casi in cui l’interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela è “in re ipsa”, ma detti casi presuppongono provvedimenti atti ad esplicare effetti giuridici protratti nel tempo e, dunque, perseguono il precipuo scopo di evitare il protrarsi nel tempo di ulteriori effetti “contra legem” o, anche, richiedono la soddisfazione di un interesse pubblico “non ponderabile” perché conseguente ad una pronuncia giudiziale già emessa (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 17 settembre 2010, n. 6980; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 15 novembre 2010, n. 2692; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 7 ottobre 2010, n. 18004).

Passaggio tratto dalla sentenza numero 2683 del 20 marzo 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

In sintesi, appare evidente che:

– l’esercizio del potere di annullare un provvedimento in autotutela necessita della presenza di un interesse pubblico che non si identica con il mero ripristino della legalità violata, bensì richiede ragioni diverse, desunte dall’adeguata ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, con obbligo di tener conto delle posizioni consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento tenuto dall’Amministrazione (cfr. C.d.S., Sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2178);

– l’annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, idonea ad esternare anche le valutazioni effettuate in relazione alle posizioni dei destinatari dell’atto (cfr. C.d.S., Sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2178; C.d.S., Sez. IV, 21 dicembre 2009, n. 8529).

Tutto ciò detto, è da rilevare che il provvedimento impugnato non risulta adottato nel rispetto dell’art. 21 nonies della legge n. 241/90, in quanto inidoneo a dare conto dell’effettiva sussistenza di “ragioni di interesse pubblico” nei termini prescritti dalla legge.

In detto provvedimento – in relazione al profilo in trattazione – si legge, infatti, quanto segue: “Considerato che è evidente l’interesse pubblico ad evitare un illegittimo esborso di danaro;”.

Orbene, tale espressione è chiaramente inadeguata a rappresentare l’interesse pubblico che deve essere sotteso all’esercizio discrezionale del potere di autotutela, atteso che:

– come già in precedenza rilevato, nel caso di specie si tratta di una gara ormai esaurita non solo dal punto di vista della procedura ad evidenza pubblica ma anche sotto il profilo dell’esecuzione di quanto richiesto (rectius: la progettazione definitiva ed esecutiva del Collegamento tra l’area Pontina e l’A2), almeno in relazione alla posizione della ricorrente. In linea con le risultanze della documentazione prodotta agli atti, è da osservare, infatti, che la progettazione de qua è stata affidata dalla Regione Lazio alla società ARCEA già numerosi anni addietro, tanto che in data 31 gennaio 2007 la ricorrente si è sentita costretta a proporre domanda di arbitrato per l’accertamento dell’inadempimento contrattuale, la risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento del danno, poi sfociata nella pronuncia del lodo arbitrale n. 117 del 2009. L’asserzione della Regione Lazio secondo la quale la ricorrente accamperebbe, poi, “ulteriori pretese a svolgere le attività di progettazione” risultano adeguatamente smentite dalla ricorrente, la quale ha fornito prova che il tenore della diffida da ultimo inviata “è ben diverso”, ossia attiene all’eventuale adozione di “qualsiasi atto in contrasto con quanto deliberato dal CIPE con delibera 88/2010 e, in particolare, dal pubblicare il bando di gara per l’affidamento della concessione di costruzione e gestione della tratta autostradale Roma (Tor de Cenci) – Latina nord, del collegamento Cisterna – Valmontone e delle relative opere connesse, fino a quando non saranno definitivi i contenziosi pendenti”;

– ciò detto, appare evidente che l’“interesse pubblico ad evitare un illegittimo esborso di danaro” non è riconducibile alla gara in sé, bandita, tra l’altro, nel ben lontano 1997 e, dunque, non è certo in re ipsa. In particolare, non risulta affatto direttamente connesso all’affidamento della progettazione, il quale ha, tra l’altro, interessato – in ultimo – un diverso soggetto (l’ARCEA);

– posto che l’“interesse pubblico ad evitare un illegittimo esborso di danaro” non si ricollega in via immediata e diretta all’oggetto della gara e, precipuamente, all’esecuzione della progettazione di per sé considerata, diviene, dunque, necessario ricollegarlo ad ulteriori circostanze e/o presupposti;

– al riguardo, il provvedimento impugnato è chiaramente carente. Quanto già detto in ordine all’impossibilità di ricondurre l’esborso di danaro direttamente alla gara – considerata nel suo ordinario svolgimento, anche sotto il profilo dell’esecuzione della progettazione – avrebbe, infatti, richiesto una precisa e chiara esplicitazione delle ragioni di interesse pubblico per le quali è sorta nel 2011 – ossia, ben 14 anni dopo la pubblicazione del bando – ed in presenza di posizioni giuridiche ormai consolidatesi anche attraverso e a conclusione di un procedimento arbitrale la necessità per l’Amministrazione di “annullare tutti gli atti della gara” ed, in particolare, l’aggiudicazione ma tale esplicitazione non ricorre;

– in particolare, il provvedimento non dà affatto conto – in termini chiari e precisi – del perché l’annullamento di tutti gli atti della gara eviterebbe un illegittimo esborso di danaro e, quindi, non consente – in sintesi – di comprendere le ragioni di interesse pubblico su cui la decisione adottata dall’Amministrazione dovrebbe poggiare ai sensi di legge;

– la completa conoscenza della vicenda in trattazione ma anche il riferimento nel provvedimento impugnato all’“urgenza di provvedere, attesa la imminente trattazione del giudizio di ottemperanza” instaurato “per l’esecuzione del lodo arbitrale pronunciato in data 23 luglio 2009”, inducono – in via meramente interpretativa – a ritenere che il potere di autotutela sia stato esercitato da parte della Regione Lazio al fine di evitare il pagamento della somma richiesta dalla ricorrente, vantata in virtù della condanna contemplata nel lodo;

– ciò detto, emerge la necessità di valutare se un tale fine costituisca o meno una ragione di interesse pubblico valida per l’autoannullamento di provvedimenti già adottati;

– al riguardo, il Collegio perviene ad una soluzione negativa per due ordini di motivi e precisamente: – non è – comunque – dato comprendere dalla formulazione del provvedimento le ragioni per le quali l’autoannullamento degli atti di gara e dell’aggiudicazione valgano a evitare l’esborso di danaro imposto dal lodo; – la produzione di un tale effetto non è, tra l’altro, desumibile ex se, specie ove si tenga conto che l’art. 824 bis c.p.c. espressamente prevede che “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”.

Per completezza, appare poi doveroso aggiungere che – in ragione di quanto in ultimo rilevato – sorgono, tra l’altro, perplessità in ordine alla stessa possibilità di qualificare l’esborso a cui risulta tenuta la Regione – imposto in un lodo arbitrale – come “illegittimo” e, comunque, la Regione non spiega perché l’autoannullamento degli atti di gara dalla stessa disposto varrebbe a rendere tale l’esborso in questione.

In definitiva:

– nel caso di specie, l’Amministrazione ha agito in autotutela, procedendo all’annullamento d’ufficio di atti amministrativi ritenuti illegittimi;

– il provvedimento di autoannullamento non risulta, però, adottato in conformità all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’interesse pubblico nel medesimo esplicitato è sicuramente inidoneo a rappresentare la sussistenza di un preciso, attuale e concreto interesse pubblico nei termini prescritti dalla legge.

Sentenza collegata

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