Non sono comuni le diramazioni idriche collocate nell’appartamento dei singoli condomini

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La questione relativa alla proprietà dell’impianto idrico in condominio spesso ha segnato pronunciamenti di segno diametralmente opposto, e la problematica sottesa, quella relativa all’individuazione del soggetto tenuto al risarcimento del danno da infiltrazioni, ancora oggi divide la giurisprudenza.
In linea generale si è affermato come l’impianto idrico si considera comune, ai sensi dell’art. 1117 Cc, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condòmini.
Semplificando, sono stati ritenuti di proprietà comune le tubazioni che si dipanano in verticale e che fungono da collegamento per i diversi appartamenti del palazzo posti ad altezze di piano differenti.
La questione, tuttavia, non risulta affatto pacifica, tanto è vero che contrasti giurisprudenziali si sono già verificati in passato, noto, ad esempio, è il “caso braga”, quell’elemento di raccordo che allaccia la condotta principale alle tubazioni dei singoli appartamenti.

Sulla scorta di tale presupposto era stato ritenuto che la stessa fosse da considerarsi di proprietà del singolo condomino, con la conseguenza che i danni provocati dalla sua rottura avrebbero dovuto essere risarciti esclusivamente dallo stesso (Cfr.: Cass. 1027/2018).

Il fatto

Tuttavia, più di recente, è stato sostenuto che, in caso di rottura della braga e, quindi, con rottura localizzata tra lo scarico dell’appartamento e la condotta verticale del condominio, tenuto al risarcimento del danno fosse l’intero condominio, siccome proprietario della stessa (Cfr. Trib. Pescara, 1.06.2016; Cass. 778/2012).
Orbene, la tematica è stata di recente nuovamente affrontata dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 27248, pubblicata in data 26 ottobre 2018, con riferimento questa volta alla chiave di arresto dell’acqua.
I comproprietari di un appartamento in condominio evocavano in giudizio la proprietaria dell’appartamento soprastante, al fine di sentirla condannare al risarcimento del danno provocato dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dall’abitazione della stessa.
Questa, nel costituirsi in giudizio, negava la propria responsabilità chiamando in giudizio l’intero condominio, il quale, a sua volta, declinava qualsivoglia imputabilità dell’evento dannoso.
La domanda veniva accolta dal Tribunale di Sulmona, con condanna della proprietaria dell’appartamento sovrastante a risarcire il danno, tuttavia, sul gravame dalla stessa proposto, la Corte d’Appello di L’Aquila riformava la sentenza di primo grado, individuando nel condominio il proprietario della chiave d’arresto e, quindi, il responsabile dell’evento dannoso.
La stessa, infatti, in virtù della destinazione dell’impianto idrico e, in particolare, della chiave di arresto dell’acqua, ritenendo ininfluente che la stessa si trovasse all’interno dell’appartamento della condomina convenuta, ha ritenuto che tale “saracinesca” fosse da considerarsi di proprietà condominiale, con tutte le conseguenze in ordine all’obbligazione risarcitoria.
Il condominio, non condividendo l’interpretazione fornita dalla Corte di merito, ricorre in cassazione eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2051 Cc.
Il Giudice di legittimità effettuata una ricognizione delle risultanze probatorie, osserva come la causa delle infiltrazioni è stata individuata nella rottura della chiave di stacco dell’acqua ubicata nella cucina dell’appartamento sovrastante.
Ciò posto ritiene che la conclusione adottata dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto il condominio responsabile dei danni, non risulta corretta.

La decisione

La Corte di Cassazione, dà atto che, secondo un orientamento presente nella medesima Corte, <<la presunzione di comunione delle parti comuni, elencate dal n. 3 dell’art. 1117 c.c., fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, non sempre implica che, nell’ambito della porzione di fabbricato esclusiva del singolo condomino, non ricada alcuna parte comune” in quanto “il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condominio è dato solo dalla loro destinazione, così che il condotto di acque è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini” (Cass. 2151/1964)>>.
Afferma, tuttavia, che siffatto criterio, che fa leva esclusivamente sulla destinazione del condotto delle acque prescindendo dalla sua effettiva ubicazione, non appare convincente, in quanto <<l’art. 2051 c.c. prevede “una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l’effettiva disponibilità della stessa” (Cass. 19045/2010).>>.
Sulla scorta di ciò, reputa di dover dare seguito al diverso orientamento di legittimità per cui <<”la presunzione di condominio dell’impianto idrico di un immobile in condominio non può estendersi a quella parte dell’impianto stesso ricompresa nell’ambito dell’appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi, e di conseguenza nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se questo sia allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri condomini” (Cass. 2043/1963).>>, valorizzando, pertanto, il dato relativo alla ubicazione dell’impianto idrico, nel caso concreto, posto all’interno dell’appartamento della originaria convenuta.
In conclusione, quindi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnato con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello dell’Aquila.

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Avv. Accoti Paolo

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