Nell’ambito di un contratto di fornitura del servizio riscaldamento la clausola secondo cui, in caso di ritardato pagamento, i condomini – committenti si obbligano a corrispondere interessi di mora al tasso del 9.25% non è valida perché il condominio è un consumatore

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Qui la sentenza: Corte di Giustizia – I sez. – sentenza del 2-04-2020 (causa C -329/19)

riferimenti normativi: art. 1117 c.c.; Dlgs. 06/09/2005 n. 206

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. VI, Sentenza n. 10679 del 22/05/2015

La vicenda

La vicenda nasceva dal contenzioso tra un condominio e una ditta incaricata della gestione dell’impianto di riscaldamento.

Il problema nasceva dal fatto che i condomini non avevano pagato la predetta impresa che per questo era costretta a recuperare giudizialmente le somme non pagate.  In ogni caso nel contratto stipulato dalle parti era presente una clausola ai sensi della quale, in caso di ritardato pagamento, il debitore (cioè il condominio) avrebbe dovuto corrispondere interessi di mora al tasso del 9,25% e ciò dal momento della scadenza del termine di pagamento al saldo.

Prima della causa, in sede di mediazione, le parti raggiungevano un accordo di conciliazione. Successivamente anche se i condomini avevano pagato il debito nasceva un nuovo contenzioso sulla misura degli interessi. La società creditrice, infatti, pretendeva che gli stessi fossero conteggiati al tasso di mora previsto dal contratto iniziale, mentre il condominio aveva conteggiato gli interessi al tasso legale e riteneva la clausola contrattuale sopra menzionata inapplicabile, in quanto superata dall’accordo transattivo raggiunto.

La ditta si rivolgeva al Tribunale richiedendo il pagamento degli interessi di mora (al tasso del 9,25%) sul debito derivante dal contratto. Il condominio, sostenendo di essere un consumatore, riteneva, ai sensi della Direttiva 93/13, che la clausola relativa agli interessi di mora fosse di carattere abusivo e, quindi, nulla.

Il Tribunale riteneva tale clausola abusiva e perciò annullabile d’ufficio. Tuttavia, lo stesso giudice s’interrogava in merito alla possibilità di considerare o meno un condominio di diritto italiano come rientrante nella categoria dei consumatori, ai sensi della Direttiva 93/13. Il Tribunale di Milano decideva di sospendere il procedimento e di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea per stabilire l’applicabilità o meno delle norme a tutela dei consumatori anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale un condominio.

La questione

Nell’ambito di un contratto di fornitura del servizio riscaldamento la clausola secondo cui, in caso di ritardato pagamento, i condomini – committenti si obbligano a corrispondere interessi di mora al tasso del 9.25% è valida? Il condominio è un consumatore?

La soluzione

La Corte di Giustizia Europea ha dato ragione ai condomini.

Secondo la Corte, affinché una persona possa rientrare nella nozione di consumatore, devono essere soddisfatte due condizioni cumulative, vale a dire che si tratti di una persona fisica e che quest’ultima svolga la sua attività a fini non professionali. Ciò premesso viene ricordato come la normativa condominiale non sia armonizzata a livello dell’Unione europea e gli Stati membri restino liberi di disciplinare il regime giuridico del condominio nei rispettivi ordinamenti nazionali, con possibilità di qualificarlo o meno come persona giuridica.

Il problema è che nell’ordinamento giuridico italiano, un condominio è un soggetto giuridico che non è né una persona fisica né una persona giuridica.

La Cassazione in Italia però ha sviluppato un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare maggiormente il consumatore, estendendo l’ambito di applicazione della tutela prevista dalla disciplina per i consumatori a un soggetto giuridico, quale il condominio, che nel diritto italiano non è una persona fisica.

Secondo la Corte di Giustizia Europea tale orientamento giurisprudenziale mira con tutta evidenza a tutelare i consumatori; di conseguenza le norme a tutela dei consumatori possono essere applicate ai contratti conclusi con professionisti da un soggetto giuridico quale il condominio.

Le riflessioni conclusive

Alla luce dell’importante decisione della Corte di Giustizia Europea sopra illustrata il condominio deve considerarsi come consumatore e godere, come tale, della tutela che la legge prevede in favore di tale categoria nella stipula dei contratti con prestazioni corrispettive.

Questo significa che, nell’ambito di un contratto di fornitura del servizio riscaldamento, la clausola secondo cui, in caso di ritardato pagamento, i condomini – committenti si obbligano a corrispondere interessi di mora al tasso del 9.25% non è valida perché decisamente vessatoria.

Tale conclusione è coerente con la nostra giurisprudenza secondo cui deve essere affermata l’applicabilità della disciplina dei c.d. contratti del consumatore (di cui agli artt. 1469-bis c.c. e segg., poi trasfusa nel Codice del Consumo, artt. 33-37, D.Lgs. 206/2005) a quelli conclusi con il professionista dall’amministratore del condominio e volti alla manutenzione, alla conservazione ed al godimento di parti e servizi comuni dell’edificio condominiale, atteso che l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale dagli stessi eventualmente svolta.

Le prime decisioni dell’applicabilità delle disposizioni sui consumatori anche ai contratti stipulati dal condominio si ritrovano in decisioni di merito e di legittimità emesse sotto la vigenza del testo originario dell’art. 1469-bis c.c. (Trib. Bologna 3 ottobre 2000; Trib. Pescara 28 febbraio 2003, relative alle penali richieste dalla ditta di manutenzione dell’ascensore per l’anticipato recesso da parte del condominio); ma la medesima soluzione è stata confermata (Cass. civ., sez. II, 15/01/2005, n. 452) anche dopo l’emanazione delle successive norme emesse a tutela dei consumatori e in particolare dal D.lgs. n. 24/2002 sulle garanzie nella vendita, poi confluite in modo organico nel Codice del Consumo.

Così, a proposito della fornitura di vetri per la facciata del caseggiato, è stato affermato che il condominio – in quanto assimilato al “consumatore” nei rapporti conclusi dall’amministratore con i fornitori per l’acquisto dì beni o servizi – può decidere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 130, comma 2, del d.lgs. n. 206/05 solo in via gradata, ovvero quando:

1) riparazione o sostituzione del bene siano impossibili o eccessivamente onerosi;

2) il venditore non abbia provveduto alla riparazione o sostituzione entro un congruo termine;

3) riparazione o sostituzione abbiano prodotto notevoli inconvenienti al consumatore (Trib. Milano 8 settembre 2008).

Allo stesso modo la vessatorietà della clausola che prevede la proroga tacita decennale del contratto di manutenzione dell’ascensore in caso di mancata disdetta comunicata sei mesi prima della scadenza, sottoscritta dall’amministratore del condominio, non è esclusa dalla doppia sottoscrizione, laddove manchi la prova che la stessa clausola negoziale sia stata oggetto di apposita trattativa individuale, applicandosi ai contratti conclusi dal condominio la normativa a tutela del consumatore (Trib. Napoli, 15 gennaio 2018, n. 427).

In ogni caso il condominio – in quanto agisce per scopi estranei all’attività commerciale – è un consumatore, essendo del tutto irrilevante che il contratto sia concluso dall’amministratore; conseguentemente, nelle controversie che ne possano derivare trova applicazione la competenza funzionale ed inderogabile del foro del consumatore, cioè del luogo in cui è sito il condominio (Trib. Milano 21 luglio 2016).

Del resto, recentemente è stato nuovamente ribadito quanto affermato nelle precedenti sentenze, (Cass. civ., Sez. VI, 28/05/2019, n. 14475), ossia che il consumatore risulta essere la parte debole del rapporto contrattuale.

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