Negoziazione assistita da avvocato batte mediaconciliazione (antieconomica e contro riforma forense)

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S’è detto che imporre la mediaconciliazione è un pò come obbligare i coniugi a rivolgeresi ad un esperto di crisi matrimoniali prima di adire il giudice per la separazione e fare innanzi al giudice il doveroso tentativo di conciliazione.

Preciserei: non è come imporre ai detti coniugi di rivolgersi ad un esperto qualuque e nemmeno ad uno qualificato particolarmente, magari perchè iscritto nell’albo degli psicologi. E’, invece, come obbligare i detti coniugi in crisi a rivolgersi ad un esperto inserito in un organismo caratterizzato dall’essere attrezzato per fare mediazioni in larga scala in tutte le materie. La delicatezza dei diritti in ambito matrimoniale rende più immediata la valutazione negativa d’un obbligo del genere. Ma non v’è differenziabilità di giudizio, a mio avviso, in base alle materie cui si decide di applicare la mediaconciliazione obbligatoria: è il principio dell’imposizione del tentativo di mediazione ante causam che non va bene.

In sintesi, con riguardo alle tante materie alle quali s’era estesa la mediaconciliazione obbligatoria: mi sembra più ragionevole, piuttosto che obbligare i litiganti alla mediaconciliazione a pagamento (peraltro intesa, da troppi, in modo pericoloso, come accompagnamento psicologico-maieutico alla conciliazione; con correlata finta professionalità di mediatori “formati” con corsi brevi), stimolare la parte a spendere quei soldi per pagare un avvocato “negoziatore” e semmai, in aggiunta, un suo tecnico. Lo stimolo giusto mi pare la prefigurazione d’un titolo esecutivo all’esito della “negoziazione assistita da avvocato”.

Ma cos’è la “negoziazione assistita da avvocato” ? Per “negoziazione assistita da avvocato” si intende un istituto introdotto in Francia a fine 2010 e che si vorrebbe introdurre in Italia attraverso l’approvazione della proposta di legge n. 4376, depositata il 25 maggio 2011 alla Camera dagli On.li Contento e Paniz e che, ad oggi, nemmeno risulta assegnata all’esame della competente Commissione (sul sito della Camera neppure la si trova se si cerca il progetto di legge nell’apposito campo di ricerca. La si trova andando a vedere le schede personali dei due Onorevoli e scorrendo l’elenco delle loro proposte di legge). Come più ampiamente esposto in altro mio articolo, la proposta di legge n. 4376 è volta ad introdurre nel nostro ordinamento la “Procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato” o “accordo di negoziazione”: in sostanza una procedura di carattere conciliativo che sarebbe perciò alternativa al ricorso al giudice.

Si legge nella relazione alla proposta di legge: “La presente proposta di legge introduce nel nostro ordinamento la “procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato” o “accordo di negoziazione”, che è stata recentemente recepita nel codice civile francese, a seguito dell’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale della legge n. 20010-1609 del 22 dicembre 2010.

Trattasi di una procedura conciliativa alternativa al contenzioso, che riconosce alle parti il potere di autoregolamentazione dei loro rapporti e ai rispettivi avvocati un ruolo centrale nell’assisterle nella negoziazione finalizzata alla ricerca di un accordo, che una volta raggiunto viene poi omologato dal giudice, così da renderlo esecutivo, salvaguardando nel contempo la funzione giurisdizionale.

La procedura prende l’avvio con la redazione e sottoscrizione di una convenzione di procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato, che consiste in un accordo mediante il quale le parti in conflitto, che non hanno ancora adito per la controversia un giudice o un arbitro, convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole il conflitto e la controversia tramite l’assistenza dei propri legali. Viene anche previsto l’impegno a tenere riservate le informazioni non conosciute o non conoscibili che le parti si scambiano durante la procedura, salvo concordare la possibilità di produrre in giudizio la relazione riguardante gli aspetti tecnici della questione stesa con l’ausilio di esperti e consulenti nominati dalle stesse parti.

L’espletamento di questa procedura esonera le parti dalla conciliazione e dalla mediazione, nei casi in cui sono previste dalla legge, come anche previsto dalla legge francese.

La procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato può anche essere effettuata per cercare una soluzione consensuale della separazione o del divorzio, o della modifica delle loro condizioni, o per la regolamentazione dei rapporti tra genitori non coniugati. Tale procedura fa leva sulle funzioni proprie dell’avvocato, rafforza la qualità del sua prestazione professionale, impone allo stesso un’assunzione di responsabilità sia sotto il profilo della competenza professionale che della deontologia, laddove si amplia la sua competenza a certificare non solo l’autenticità della firma della parte che assiste, ma anche ad attestare che il contenuto dell’accordo corrisponde alla volontà espressa dalle parti; assicura, tramite l’omologa del giudice, sul piano sociale una “sicurezza giuridica” degli accordi raggiunti senza diminuire le tutele per il cittadino”.

Concordo con gli Onorevoli proponenti, Paniz e Contento, e, almeno in parte, con quanto si legge in un vecchio articolo di Andrea Bozzi, dal titolo “Mediazione, come renderla efficace e appetibile agli utenti e ai professionisti”, pubblicato sul sito ( www.brunoleoni.it ) dell’Istituto Bruno Leoni, noto think tank liberale. Vi si legge che gli avvocati, in virtù di una seria formazione continua “dovrebbero essere in grado essi stessi di fungere da organismi accreditati alla funzione giustiziale. Il professionista legale, infatti, è la persona di fiducia cui si rivolge il cliente e dovrebbe, a nostro parere, essere in grado di svolgere esso stesso la procedura conciliativa e mediativa. Proprio i privati e i liberi professionisti appaiono le persone maggiormente qualificate all’esercizio di tali metodi, che costituiscono una vera possibilità di fornire un servizio in più alle persone, rendendo più facile adire un conciliatore competente per territorio”.

Concordo totalmente con i dubbi di “legittimità comunitaria” della disciplina introdotta con il D.Lgs. 28/2010 che Aldo Berlinguer avanzava in un articolo sul numero 12/2010 di guidaaldiritto, dal titolo “La nuova disciplina della mediazione civile resta ancora in bilico tra Stato e mercato”. Berlinguer dubita che si possa negare la contrarietà della nuova disciplina della mediazione rispetto al diritto comunitario sostenendo “che in nessun altro modo lo Stato italiano avrebbe potuto promuovere la soluzione extragiudiziale dei conflitti se non con la definizione del meccanismo prescelto, le aree di riserva legale previste e i compensi prefissati, nel minimo e nel massimo, dall’autorità pubblica”.

Tornando all’asserzione del titolo di questo articolo, mi soffermerò: 1) sul perchè sia antieconomica, per lo Stato e per i privati, la mediaconciliazione obbligatoria rispetto alla detta negoziazione assistita da avvocato; 2) sul perchè la mediaconciliazione obbligatoria sia in contrasto con la legge vigente (del 1933) sulla professione di avvocato e con la proposta di riforma forense approvata dalla Camera il 31 ottobre 2012; 3) sul perchè tale contrasto sia insanabile, non ponendogli rimedio neppure il codice deontologico forense.

Occorre, innanzitutto, controbattere agli argomenti “economicisti” che la lobby delle ADR sta mettendo in campo per ottenere di nuovo, con la legge di stabilità, l’obbligatorietà della mediaconciliazione. Senza insistere più di tanto (è anche antipatico lamentarsi troppo) sul ruolo, di sottostimato professionista della tutela dei diritti (l’unico che ha passato un esame di Stato ad hoc), che all’avvocato è riservato all’interno del sistema fondato sugli organismi di mediazione, io evidenzierei i problemi “logici” della vecchia mediazione obbligatoria. Essi stavano (e non scompariranno affatto se l’obbligatorietà sarà reintrodotta col maquillage del ritaglio d’un ruolo di maggior rilievo per gli avvocati) soprattutto nel fatto che essa richiedeva obbligatoriamente una allocazione irragionevole delle scarse risorse disponibili, pubbliche e private. In particolare questa irragionevole allocazione di scarse risorse consisteva:

1) PER QUANTO RIGUARDA LE RISORSE ECONOMICHE PUBBLICHE, nel costo elevatissimo del controllo serio (se non è serio non serve a nulla) che i soggetti pubblici -a partire dal ministero della giustizia- dovevano garantire sugli organismi di mediazione e sulla professionalità dei mediatori. Sul punto scommetto che il ministero della giustizia non riuscirebbe, per carenza di fondi, a organizzare e mantenere nel tempo un serio controllo sui tantissimi organismi di mediazione che si andrebbero ad aggiungere ai quasi mille che sono già sorti (a riprova che trattasi di un business lucrativo, profumatamente pagato dai litiganti) come funghi già nel periodo d’avvio dell’ istituto (in un periodo, cioè, in cui il business era incerto sul “sino a quando”, sul “quomodo” e addirittura sull’ “an”).

2) PER QUANTO RIGUARDA LE RISORSE ECONOMICHE DEI PRIVATI IN LITE, nel fatto che i soldi che la parte in lite doveva cacciare per la mediazione obbligatoria dovevano bastare a pagare un soggetto “in più” (è qui l’invenzione del business) e cioè l’organismo di mediazione; un soggetto “in più”, dicevo, rispetto a quelli logicamente necessari per tentare di evitare ragionevolmente la lite tra soggetti con piena capacità di agire. Mi spiego. Partiamo dalla constatazione che è ovviamente irragionevole obbligare due rissosi a tentare di far pace. Consideriamo poi che è pure irragionevole presupporre che due soggetti siano entrambi insopportabilmente (per la comunità intera che deve sopportare i costi della organizzazione giudiziaria chiamata a risolvere rapidamente le liti) rissosi sol perchè non si accordino, prima di adire un giudice, su una controversia di non grande valore. Se così è si dovrà riconoscere che, pure nell’ottica di una riduzione dei tempi e dei costi pubblici della giustizia, il legislatore non sceglie bene se obbliga i litiganti a spender soldi e tempo per tentare una mediazione attraverso una organizzazione (l’organismo di mediazione) che offre il servizio di mediazione sulla base del seguente assioma indimostrato: la sicura utilità dell’intervento di un mediatore pagato troppo poco, e cioè non secondo i livelli del libero mercato delle professionalità individuali applicate al caso, bensì in base al punto di equilibrio tra la forza contrattuale (elevata) dell’organismo di mediazione e quella (spesso bassa) del professionista che ad esso organismo aderisce, ricevendo da esso la assegnazione di nessuna, una o numerose “pratiche”.

Dico subito che a mio avviso i mediatori guadagnano troppo poco rispetto al guadagno che il loro lavoro porta agli organismi di mediazione nei quali sono inseriti. Ciò comporta un certo tipo di “privatizzazione della giustizia”, un tipo di privatizzazione che non è certo scandaloso perchè riduce l’ambito delle soluzioni giudiziarie delle controversie (cosa anzi auspicabile) ma che è, a mio avviso, scandaloso perchè è stato organizzato in modo tale che sia consentita, in concreto, una ripartizione non equa, tra mediatori e organismi di mediazione, degli introiti dell’organizzazione. Non è che gli organismi di mediazione siano cattivi. Sono talvolta pubblici e dunque buoni per definizione. Altre volte sono privati e perseguono il loro utile economico. Il problema è che sia nel primo che nel secondo caso lucrano d’una rendita di posizione (obbligatorietà del loro intervento) non sempre giustificabile, per un verso, in relazione al valore dei “fattori della produzione” coinvolti nella produzione del servizio (SE SI VUOL GUARDARE LA REALTA’ DELLE FORZE IN CAMPO) e, per altro verso, in relazione alle diverse leggi che regolano le diverse professioni esercitate dai mediatori. Riguardo a tale ultimo aspetto occorre sottolineare che talvolta la rendita di posizione attribuita dalla legge all’organismo di mediazione è in contrasto con le leggi professonali. Ciò accade quando l’operatività dell’organismo di mediazione si realizzi con l’agire di un professionista al quale il suo proprio ordinamento professionale impone l’autonomia e l’indipendenza assolute.

Ad esempio la legge che regola la professione forense (sia quella vigente, del 1933, sia quella che forse tra breve la sostituirà, essendo all’esame del Senato) impone un livello di indipendenza e autonomia dell’avvocato che non si concilia con l’inserimento organico del medesimo nell’organismo di mediazione. E’ evidente, infatti, che è la stessa regolazione legislativa del “sistema organismi di mediazione” che, in contraddizione con la legge professionale forense, pone le basi della possibilità di parasubordinezione nei rapporti concreti tra organismo di mediazione e mediatore-avvocato. Se si vuol poi guardare un pò dall’alto il fenomeno socio-economico, si dovrà riconoscere che, a ben vedere, è proprio la possibilità di una più o meno stringente parasubordinazione del professionista integrato nell’organismo di mediazione che crea (con riguardo a tutti i tipi di professionisti-mediatori e rendendo possibile l’organizzazione imprenditoriale del servizio mediazione) le basi per il maggiore o minore riconoscimento agli organismi di mediazione di un certo valore aggiunto rispetto al servizio che, come singoli professionisti, possono offrire gli iscritti nei vari albi.

LA POSSIBILE PARASUBORDINAZIONE DELL’AVVOCATO MEDIATORE RISPETTO ALL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE STA NEL FATTO CHE (poichè non s’è voluto fare di ogni avvocato italiano un “organismo di mediazione”, come invece si vorrebbe ora fare attraverso la c.d. “negoziazione assistita da avvocato” di cui al detto progetto di legge Paniz – Contento) L’AVVOCATO MEDIATORE OPERA, VENENDO DALL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE (SE NON ANCHE PREVENTIVAMENTE “FORMATO”) DESIGNATO O MENO PER QUESTA O QUELLA MEDIAZIONE, SOSTITUITO O MENO NEL CORSO DELLA MEDIAZIONE, AFFIANCATO O MENO DA ALTRO AUSILIARIO, PAGATO INFINE SECONDO CRITERI CHE NON SONO QUELLI INDICATI DAL MERCATO DELLE PRESTAZIONI PROFESSIONALI INDIVIDUALMENTE PRESTATE MA QUELLI (INDICATI O NO, “DALL’ALTO”, DAL REGOLAMENTO DELL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE ?) DERIVANTI DAL CONCRETO INCONTRO DI VOLONTA’ DEI PROTAGONISTI (MEDIATORE E ORGANISMO) AVENTI SEMPRE PIU’ SBILANCIATA FORZA CONTRATTUALE.

DOMANDIAMOCI: QUALE TERZIETA’ E QUALE AUTONOMIA RISPETTO AL SUO SOSTANZIALE “DATORE DI LAVORO” POTRA’ GARANTIRE UN AVVOCATO PARASUBORDINATO DEL GENERE?

Gli articoli 16 e soprattutto 55-bis del codice deontologico forense sono in grado di assicurare terzietà, indipendenza, imparzialità e neutralità dei mediatori che siano anche avvocati ? E (cambiando prospettiva) degli avvocati che sono anche mediatori ? Secondo me no.

VOGLIO SOTTOLINERARE CHE IL CNF NON HA RISOLTO, CON L’ART. 16 E 55-BIS DEL CODICE DEONTOLOGICO, IL PROBLEMA PRINCIPALE DELLA MEDIACONCILIAZIONE AFFIDATA A UN AVVOCATO: LA POSSIBILE PARASUBORDINAZIONE, APPUNTO.

DOMANDIAMOCI PURE: PERCHE’ PREVEDERE NELL’ART. 55 BIS DEL CODICE DEONTOLOGICO CHE “L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare … le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui non contrastino con quelle del presente codice”? PERCHE’ ONERARE IL SINGOLO AVVOCATO DI DIFFICILI (SOPRATTUTTO IN CONDIZIONI DI SUA DIFFICOLTA’ ECONOMICA) GIUDIZI SULLA CONFORMITA’ DEL REGOLAMENTO DELL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE ALLE INDICAZIONI DEL CODICE DEONTOLOGICO, IL QUALE FA SPESSO RIFERIMENTO A CONCETTI ELASTICI E NON TIPIZZA IN CANONI ESAUSTIVI LE CONDOTTE VIETATE?

NON SAREBBE PREFERIBILE CHE FOSSE IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE A VAGLIARE I REGOLAMENTI DEI VARI ORGANISMI DI MEDIAZIONE (PUBBLICI E PRIVATI) E, SOLO DOPO AVER VERIFICATO TUTTI I PROFILI DEONTOLOGICAMENTE RILEVANTI, EMETTA UN GIUDIZIO CHE CONSENTA O VIETI AGLI AVVOCATI DI “LAVORARE PRESSO” QUESTO O QUELL’ ORGANISMO? NON SAREBBE CERTO DIFFICILE PER IL C.N.F. (E MI PARE RIENTREREBBE A PIENO NELLO SVOLGIMENTO DEI SUOI COMPITI) VAGLIARE TUTTI I REGOLAMENTI DEGLI ORGANISMI DI MEDIAZIONE: NON FARLO PUO’ COMPORTARE IL RISCHIO DI IRREGOLARITA’ DIFFUSE E LA DIFFICOLTA’ DI AZIONI REPRESSIVE DA PARTE

DEI SINGOLI CONSIGLI DEGLI ORDINI (CON SICURE E AMPIE DIVERSITA’ DI COMPORTAMENTO DEI TANTI CONSIGLI DEGLI ORDINI FORENSI DI QUESTA BELLA NOSTRA ITALIA). PER NON PARLARE DELLA CREAZIONE, IN TAL MODO, DI ULTERIORI DIFFICOLTA’ DELL’AZIONE GIURISDIZIONALE DEL C.N.F. QUALE GIUDICE DELLA DISCIPLINA. PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE!!!

E, INOLTRE, CHE SENSO HA PREVEDERE NELL’ART. 55 BIS DEL CODICE DEONTOLOGICO “E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione” SE POI E’ LA STESSA LEGGE SULLA MEDIACONCILIAZIONE CHE DISEGNA I RAPPORTI TRA ORGANISMI DI MEDIAZIONE E MEDIATORI (ANCHE SE AVVOCATI) IN MODO TALE CHE IL MEDIATORE, PUR SE AVVOCATO, PUO’ ESSERE, IN SOSTANZA UN LAVORATORE PARASUBORDINATO DELL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE? AL RIGUARDO UNA ANALISI DELLA GIURISPRUDENZA LAVORISTICA NON LASCIA DUBBI: GLI INDICI DI PARASUBORDINAZIONE (SE NON ADDIRITTURA DI SUBORDINAZIONE) CI POSSONO ESSERE TUTTI.

MI PARE EVIDENTE CHE L’UNICA RISPOSTA SERIA ALLA SOSTANZIALE PARASUBORDINAZIONE DELL’AVVOCATO-MEDIATORE RISPETTO ALL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE DI CUI “FA PARTE” DOVREBBE ESSERE LA CANCELLAZIONE DEL MEDESIMO AVVOCATO DALL’ALBO FORENSE.

Dunque, la quadratura del cerchio (che è possibile per altri professionisti-mediatori) per gli avvocati-mediatori oggi non è possibile: o si cancellano i divieti di lavoro parasubordinato nella legge professionale forense oppure si impedisce agli organismi di mediazione di servirsi degli avvocati in qualità di mediatori poichè, appunto, gli avvocati non possono essere sostanzialmente lavoratori parasubordinati.

L’ARGOMENTO PROVA TROPPO? SI ABBIA, ALLORA, IL CORAGGIO DI AFFRONTARE SERIAMENTE (E CIOE’ NEL RISPETTO DEL DIRITTO ALLA CONCORRENZA, SENZA SCONTI AI POTENTI E VESSAZIONI VERSO I “POVERI CRISTI”) LA QUESTIONE ANNOSA DELLE INCOMPATIBILITA’, DELL’ACCAPARRAMENTO DI CLIENTELA E DEI CONFLITTI DI INTERESSI DEGLI AVVOCATI.

PROPONGO QUESTO: per rivendicare un ruolo da veri protagonisti della soluzione extragiudiziale delle liti, attraverso la negoziazione assistita da avvocato (di cui alla proposta di legge 4376 degli On.li Contento-Paniz) gli avvocati italiani dovrebbero esser chiamati a scioperare dai loro organismi rappresentativi. Non, come è purtroppo accaduto, per chiedere l’immediata approvazione di un disegno di legge di pseudoriforma della professione di avvocato che non aiuta affatto l’avvocatura italiana a tornare protagonista!

Diceva Andreotti: a pensare a male si fa peccato ma spesso ci si azzecca (o qualcosa del genere). Ebbene, non vorrei che all’Avvocatura qualcuno proponesse questo indecente scambio: “voi avvocati fate passare la reintroduzione, con la legge di stabilità, della mediaconciliazione obbligatoria senza troppe proteste e noi vi appoggiamo affinchè entro novembre passi al Senato, senza modifiche, la riforma supercorporativa della professione forense, come approvata dalla Camera il 31 otoobre 2012”. Mi preoccupa non poco (sono un semplice avvocato-part-time, funzionario pubblico al 30% che, se divenisse legge l’art. 18 della proposta di riforma forense approvata dalla Camera il 31 ottobre 2012, sarebbe ricondotto in situazione di incompatibilità, dopo l’apertura al libero accesso degli abilitati realizzatasi il 13 agosto scorso in forza del comma 5-bis dellart. 3 del d.l. 138/2011) il fatto che lo scambio scellerato potrebbe apparire “ragionevolissimo” a lobby sfrontate e attente solo ai propri interessi. Mi consola, però, una opinione diffusa tra gli italiani e cioè l’idea che se pure esistessero nel nostro bel Paese tali generi di lobby, mai esse troverebbero ascolto presso il nostro integerrimo Parlamento. E se invece il nostro Parlamento le ascoltasse? Se questo facesse, approverebbe due leggi inconciliabili: una (la riforma forense) che impone l’autonomia e l’indipendenza assolute dell’avvocato e l’altra che, reintroducendo la mediaconciliazione obbligatoria e consentendo anche agli avvocati di fare i mediatori, ne permetterebbe la concreta parasubordinazione all’interno degli organismi di mediazione. Bisognerebbe tornare ancora innanzi alla Corte costituzionale.

Perelli Maurizio

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