Modificato il codice deontologico forense per adeguarlo alla nuova disciplina della mediazione

Redazione 29/09/11
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La funzione di mediatore non potrà essere assunta dall’avvocato in difetto di adeguata competenza nella materia oggetto del procedimento. Il principio è stato stabilito dal Consiglio nazionale forense (CNF) che ha approvato nella seduta amministrativa del 15 luglio scorso le modifiche al codice deontologico forense sollecitate dall’entrata in vigore dell’istituto della mediazione/conciliazione. Il testo degli articoli modificati (artt. 16 e 54) e quello di nuova introduzione (art. 55 bis) è stato diffuso con circ. 24-C del 23 settembre 2011.

Si è trattato di un impegno redazionale volto ad integrare i profili lacunosi delle previsioni normative inerenti l’istituto della mediazione (D.Lgs. 28/2010 e D.M. 180/2010). I citati provvedimenti, come anche evidenziato dal Tar Lazio, sez. I, sent. 3202/2011, omettono infatti di garantire, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio.

Tali lacune e le connesse ricadute sul fronte sociale e disciplinare non potevano passare inosservate alla lente del CNF, data la sua autonoma e significativa funzione di interprete dell’etica professionale e delle sue applicazioni all’agire e alle scelte dell’avvocato.

Così, con la previsione dell’art. 55bis, è stata inserita una nuova regola deontologica che, nella sua definizione principale, prevede un generalizzato dovere di osservanza degli obblighi propri della figura del media conciliatore, mentre, nei successivi canoni complementari, contempla le esemplificazioni delle possibili incompatibilità, conflitti di interessi, responsabilità in caso di proposta di conciliazione non conforme al diritto ed altri comportamenti poco etici.

Condizione imprescindibile ai fini dell’esercizio dell’attività di mediatore è il requisito dell’adeguata competenza. Nella lettura suggerita dalla relazione di accompagnamento tale requisito vuole valorizzare lo status professionale dell’avvocato/mediatore che, nel confezionare la proposta conciliativa ed ancor prima nell’accreditarla, deve offrire e garantire alle parti una completezza degli elementi di valutazione che non ometta l’informazione su alcunché di ciò che nel prosieguo potrebbe essere suscettibile di essere evocato in giudizio. Una “offerta” ed una “garanzia” che possono inquadrarsi nell’ambito della stessa responsabilità sociale dell’avvocato chiamato a svolgere la delicata funzione di compositore e/o facilitatore degli interessi delle parti.

Nel successivo canone è previsto che non potrà ricoprire il ruolo di mediatore l’avvocato:

a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti;

b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali.

Ancora, il successivo canone vieta all’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore di intrattenere rapporti professionali con una delle parti:

a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;

b) se l’oggetto dell’attività non è diverso da quella del procedimento stesso.

Il divieto si estende ai professionisti soci o associati o che esercitino negli stessi locali.

Accanto all’inserimento dell’art. 55bis, sono state inoltre apportate due marginali modifiche al codice, concernenti gli articoli 16 e 54: le modifiche sono destinate rispettivamente a rimarcare il valore dell’indipendenza e del decoro della professione forense e a dare rilievo alla correttezza e lealtà dei rapporti professionali, oltre che con arbitri e consulenti tecnici, anche con mediatori/conciliatori. (Lilla Laperuta)

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