Mediazione come condizione di procedibilità per l’esperibilità dell’azione giudiziale

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Nelle motivazioni della sentenza n. 272 del 24.10.2012 la Corte Costituzionale non ha espresso alcun giudizio negativo sulla costituzionalità, in “astratto”, di un sistema processuale che preveda il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità per l’esperibilità dell’azione giudiziale”.

Il 6 dicembre 2012 sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 24.10.2012 con la quale la Consulta ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28” (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e, conseguentemente, la illegittimità di una serie di disposizioni contenute nel medesimo corpus normativo.

La predetta disposizione normativa prevedeva: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale …”.

Dunque, viene dichiarata la incostituzionalità della “obbligatorietà” dell’esperimento del procedimento di mediaconciliazione.

La Consulta, al fine di risolvere le questioni sollevate da numerosi giudici della giurisdizione ordinaria ed amministrativa, ha esaminato il contesto normativo in cui il d. lgs n. 28/2010 si colloca; ha analizzato la Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo, considerata la “fonte ispiratrice” della legge delega e citata nel d. lgs 28/2010, nonché le disposizioni della legge delega stessa, operando un confronto tra esse e la disciplina risultante dal decreto legislativo in questione.

La Direttiva CE è volta a promuovere l’utilizzazione dello strumento della risoluzione conciliativa delle controversie; al sesto Considerando si legge, infatti, che “la mediazione può fornire una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida Gli accordi risultanti alla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente…”.

La Direttiva, pur avendo come ambito di applicazione le controversie “transfrontaliere”, all’ottavo “considerando” precisa che “nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni” e all’art. 3 si legge: “Tale procedimento può essere avviato dalla parti, suggerito o ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”.

Infine, al quattordicesimo Considerando prevede che: “la presente direttiva fa salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purchè tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario”, come coerentemente affermato successivamente anche nell’art. 5, comma 2, della Direttiva medesima.

Dall’esame delle su citate disposizioni la Consulta ha ritenuto – con ragionamento pienamente condivisibile a parere di chi scrive – che la disciplina della Direttiva “si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri purchè sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie”.

Alla luce della posizione della disciplina Comunitaria, è evidente che la obbligatorietà della mediazione, sancita dal decreto legislativo n. 28 del 2010, non poteva trovare fondamento direttamente nella disciplina comunitaria – la quale, come visto, demanda a ciascun Stato membro la scelta del tipo di mediazione da adottare – ma doveva trovare necessariamente fondamento nei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 60, legge 18 giugno 2009, n. 69).

All’art. 60, comma 3, della legge delega si legge, tra i criteri direttivi:

prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia (lette. a);

prevedere che l’avvocato ha il dovere di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione” (lett. n).

Dunque, nell’ultimo criterio sopra riportato la legge delega ha previsto una “facoltà” e non un “obbligo”, avendo parlato della “possibilità” di ricorrere all’istituto della conciliazione, e non della “necessità”.

Pertanto, neanche nella legge delega è possibile trovare un “ancoraggio” alla previsione della obbligatorietà dell’esperimento della procedura di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L’articolo 5, comma 1, del d. lgs n. 28 del 2010 ha dunque violato il disposto degli articoli 76 e 77 della Costituzione.

L’esercizio della funzione legislativa non puo’ essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. (art. 76 Cost.) e “Il Governo non puo’, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria” (art. 77 Cost.).

La Corte Costituzionale ha, quindi, dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, d. lgs n. 28/10 per violazione degli articoli. 76 e 77 della Costituzione, avendo ravvisato nel procedimento di formazione del decreto in esame, un vizio di eccesso di delega.

La Consulta ha altresì provveduto alla declaratoria di illegittimità costituzionale di tutti gli articoli (o parte di essi) del d. lgs n. 28 del 2010 che hanno, quale presupposto, la “obbligatorietà” dell’esperimento della procedura di mediazione.

Come era ragionevole aspettarsi, le motivazioni della sentenza non contengono alcun giudizio sulla costituzionalità, in “astratto”, di un sistema processuale che preveda il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità per l’esperibilità dell’azione giudiziale.

Non solo.

In considerazione del contenuto della Direttiva comunitaria innanzi richiamata che – come visto – “fa salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio”, non può escludersi che in futuro la obbligatorietà del procedimento di mediazione possa entrare a far parte del nostro ordinamento giuridico, non frapponendosi a ciò alcun ostacolo.

Quanto al comportamento tenuto dal Governo nella elaborazione della disciplina oggi (in parte) dichiarata incostituzionale, si può ragionevolmente presumere che lo stesso abbia ritenuto che il criterio direttivo secondo cui la mediazione non dovesse “precludere l’accesso alla giustiziafosse stato rispettato anche prevedendo la obbligatorietà del procedimento di mediazione, in quanto nel decreto legislativo n. 28/2010 non vi è una disposizione che vieta alle parti, in caso di esito negativo del procedimento di mediazione, di adire l’autorità giurisdizionale.

Tuttavia, poiché la delega legislativa rappresenta un’ipotesi eccezionale rispetto alla normale ripartizione dei poteri tra gli Organi costituzionali, sarebbe stato tecnicamente più corretto da parte del Governo procedere con un’interpretazione “prudenziale” della espressione letterale in commento; ovvero, con un’interpretazione nel senso di prevedere per il cittadino la “possibilità” di ricorrere, nell’ambito dei soli diritti disponibili, all’istituto della mediazione, e non “l’obbligo”.

Santulli Maria Rosaria

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