Mandato di arresto europeo emesso nei confronti di persona indagata in italia

Laface Nadia 06/01/11
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La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha annullato con rinvio la decisione con cui la Corte di Appello di Torino aveva disposto la consegna di un cittadino bulgaro in seguito ad emissione di mandato di arresto europeo.

In particolare, nella decisione in esame, la Corte di Cassazione rileva che, risultando probabile che i fatti posti a base del MAE siano stati commessi parzialmente in Italia, ove, comunque, risulta già azionato il relativo procedimento penale, vi sarebbe stata erronea applicazione dell’art. 24 L. 69/2005 da parte della Corte di Appello; a mente di tale norma, infatti, sarebbe stato necessario valutare l’opportunità di disporre il rinvio della consegna al fine di consentire all’autorità giudiziaria italiana di sottoporre il condannato al procedimento penale già pendente.

Inoltre, si aggiunge, posta la parziale coincidenza tra i fatti, viene in causa anche il disposto di cui all’art. 18 della legge suindicata che prevede la possibilità di opporre il rifiuto alla consegna.

In generale, infatti, le ipotesi legislative in cui è possibile opporre il rifiuto alla consegna sono quelle previste dall’art. 18 l. 69/2005; e, nel caso specifico, la Cassazione ritiene necessario valutare la possibile ricorrenza di uno dei seguenti casi elencati nel suindicato articolo: lett.o) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo concerna l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell’Unione europea; lett. p ) se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio.

A conferma della complessità della questione, ricordiamo la copiosa giurisprudenza richiamata in seno alla stessa decisione della Corte di Cassazione; e, relativamente alle questioni di giurisdizione, anche la importante Sentenza n. 40287 del 28/10/2008, a mente della quale, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che se pur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile collegando la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero.

Entrambe le ipotesi contemplate dalla L. n. 69 del 2005, lett. o) e p) , presentano una comune ratio, individuabile nell’obiettivo di evitare, in area comunitaria, duplicazioni di procedimenti e di giudicati nei confronti di cittadini europei.

A ben vedere, però, le due ipotesi qui esaminate muovono da presupposti strutturali e procedimentali diversi e non del tutto omologabili, come ci accingiamo a dimostrare.

Il giudicato penale estero è preso direttamente in considerazione dal disposto della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera o), in relazione al quale assume cogenza il divieto di bis in idem sancito dall’art. 54 della convenzione di Schengen. L’art. 54 della convenzione di Schengen, in particolare, recita: “Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita”.

La L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. o) implica, pertanto, una disamina della effettiva identicità del fatto costituente reato, cosa che richiede una piena e simmetrica specularità tra la fattispecie criminosa oggetto di un eventuale procedimento penale nazionale (italiano) e la fattispecie criminosa oggetto di un mandato di arresto europeo. In particolare, i due fatti, pur se diversamente qualificati per nomen iuris nell’uno e nell’altro ordinamento, dovranno registrare piena equivalenza e uniformità di tipizzazione normativa sotto l’aspetto strutturale degli elementi tipici antigiuridici penalmente sanzionati (condotta materiale, commissiva od omissiva, ed atteggiarsi dell’elemento soggettivo del reato), dell’evento del reato e della relazione di causalità materiale e giuridica tra condotta ed evento.

Per converso, come già opportunamente espresso dalla giurisprudenza precedente in tema di mandato di arresto europeo, nel caso di rifiuto della consegna previsto dalla lettera p) dell’art. 18 L. n. 69 del 2005 (reato commesso in tutto od in parte nello Stato), l’esistenza di una sentenza definitiva di condanna, per la cui esecuzione è stato emesso il mandato d’arresto europeo, non spiega alcuna incidenza – a differenza dell’ipotesi prevista dalla precedente lett. o)- in quanto il legislatore ha privilegiato le esigenze della giurisdizione nazionale ed il principio di territorialità.

In ultimo, si evidenzia come i riferimenti dell’ultima parte della disposizione dettata dall’art. 18, lettera p) (…se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio) sono coerenti con gli illustrati principi applicativi, limitandosi il legislatore- per completezza logica e sistematica – ad estendere il divieto (rifiuto obbligatorio) di consegna a reati improcedibili secondo la legge italiana; attiene, anch’esso, a ben vedere, alle manifestazioni ed applicazioni del criterio di territorialità adottato nell’ordinamento penale italiano (secondo il principio di c.d. ubiquità) ai fini della determinazione del locus commissi delicti (art. 6 c.p., comma 2).

Per completezza di informazioni, si ricorda che, con la decisione quadro 2009/316/GAI, il Consiglio dell’Unione Europea ha istituito il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari ( ECRIS – European Criminal Record Information System) che permetterà lo scambio sistematico di informazioni estratte dalle singole banche dati fra le autorità competenti degli Stati membri.

Sulla base di tale decisione, ciascuno Stato membro dovrà avviare il sistema del Casellario Giudiziario Europeo, allo scopo di garantire un sistema informatizzato di scambio di informazioni sulle condanne attraverso l’istituzione di una banca dati comune.

In particolare, ogni Casellario nazionale riceverà le comunicazioni relative alle decisioni di condanna a carico dei propri cittadini e le inserirà in tale banca dati; ciò consentirà all’autorità giudiziaria procedente, con l’interrogazione del solo Casellario di nazionalità, di ottenere informazioni circa i precedenti penali di un determinato soggetto in ordine a tutti i Paesi collegati; allo stesso modo, per conoscere le sentenze eventualmente emesse dagli altri Stati membri nei confronti di un cittadino italiano, interrogando il Casellario centrale si otterrà in allegato un’informativa circa le condanne emesse in tutti i Paesi europei.

Tale sistema nasce nell’ambito di un processo di collaborazione tra il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri per fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza pur in uno spazio comune di libertà, sicurezza, giustizia.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 16-23 novembre 2010, n. 41370


Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 4 ottobre 2010, la Corte di appello di Torino disponeva la consegna di R.I.P., cittadino bulgaro, all’a.g. della Repubblica di Bulgaria, nei confronti la Procura Regionale di Pazardzhik aveva emesso in data 26 luglio 2010 mandato di arresto europeo (MAE) per la esecuzione della sentenza di condanna alla pena complessiva di anni uno, mesi dieci di reclusione emessa dal Tribunale Regionale di Pazardzhik in data 23 aprile 2009, divenuta irrevocabile il 17 marzo 2010, per vari fatti (commessi tra l’****) di reclutamento di donne da avviare alla prostituzione.

2. Osservava la Corte di appello che il P. aveva in quella stessa udienza camerale espresso consenso alla consegna e che il procedimento pendente in Italia in grado di appello (dopo la condanna ad anni otto e mesi otto di reclusione pronunciata dal G.u.p. di Torino in data 17 febbraio 2010), per fatti “parzialmente identici”, avrebbe potuto proseguire in contumacia dell’imputato.

3. Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino.

3.1. Con un primo motivo, denuncia la mancata applicazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. p), posto che i fatti a base del MAE risultano essere stati parzialmente commessi in Italia, come si ricava dal procedimento penale qui pendente a carico del P. per tratta di persone e sfruttamento della prostituzione, in danno tra l’altro di due delle ragazze che figurano quali persone offese nel procedimento davanti all’a.g. bulgara.

3.2. Erronea applicazione dell’art. 24 della citata legge, in quanto, comunque, la Corte di appello non ha valutato se rinviare la consegna fino all’esito del procedimento penale pendente in Italia a carico del P..

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare fondato.

2. Quanto al primo motivo, va osservato che la Corte di appello non ha affrontato il tema della coincidenza tra i fatti oggetto della richiesta di consegna e quelli per i quali pende a carico del P. procedimento in Italia.

Stando agli atti, appare che il P. è stato condannato dall’a.g. italiana per un’attività, rubricata ai sensi degli artt. 600 e 601 cod. pen., di reclutamento in Bulgaria di ragazze da avviare alla prostituzione in Italia, nei confronti delle quali egli aveva usato violenza e minaccia, trasportandole dalla Bulgaria a Torino via Austria.

Egli è stato inoltre condannato per il conseguente sfruttamento della prostituzione, commesso in territorio italiano, ai sensi della L. n. 75 del 1958, art. 3.

La prima imputazione appare coincidere sostanzialmente con i fatti descritti nel MAE, nel quale, sotto la rubrica “reclutamento e trasporto di persone con la finalità del loro impiego per il compimento di atti depravati”, si fa riferimento ad analoga condotta posta in essere dal P. nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e a carico, almeno in parte, delle stesse persone offese ( D.S.T., D.V.D., *******).

Considerata tale coincidenza, viene in causa la previsione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. o), che fa divieto di consegna della persona ricercata se per lo stesso fatto è in corso in Italia procedimento penale, a meno che il MAE concerna, come nel caso in esame, l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna.

Ne consegue che, ricorrendo tale ultima situazione, non sussisterebbero ostacoli alla consegna.

La Corte di appello non ha esaminato questo aspetto, su cui si impone dunque una nuova valutazione, fermo restando che se si dovesse ritenere che la condotta di reclutamento contestata coincide interamente con quella presa in esame dalla sentenza di condanna emessa dall’a.g. bulgara, non potrebbe farsi luogo alla consegna, in forza della citata disposizione.

3. Con riferimento, poi, al reato di sfruttamento della prostituzione, non oggetto del MAE, e per il quale pende procedimento in Italia, erroneamente la Corte di appello ha osservato che non sussistono ostacoli alla consegna, in quanto “il processo pendente in Italia in grado di appello per fatti parzialmente identici potrà proseguire in … contumacia”. Infatti, una volta effettuata la consegna del P. all’a.g. bulgara per l’esecuzione della pena inflittagli, il suo stato di detenzione all’estero integra un impedimento ostativo alla celebrazione del processo contumaciale in Italia (v. per tutte Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, dep. 24/11/2003, imp. Andreotti, Rv., 226098; Sez. U, n. 21035 del 26/03/2003, dep. 13/05/2003, imp. ******, Rv. 224133).

La Corte di merito avrebbe dovuto invece valutare, in applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 24, comma 1, se rinviare la consegna per consentire la definizione del processo pendente in Italia a carico del P., attraverso una considerazione dei parametri (in particolare, stato del procedimento, gravità dei fatti, entità della pena da scontare) individuati dalla giurisprudenza (v. tra le altre, Sez. 6, n. 22451 del 03/06/2008, dep. 05/06/2008. imp. *******, Rv. 239943; Sez. 6, n. 45647 del 25/11/2009, dep. 26/11/2009, imp. Munteanu, Rv. 245486).

4. Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che dovrà riesaminare all’esito di nuovo giudizio i punti sopra indicati.

5. La Cancelleria provvederà a norma della L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuova deliberazione.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.

Laface Nadia

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