I maltrattamenti assistiti

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Quando ricorrono i maltrattamenti assistiti.

Riferimento normativo: Cod. pen., art. 572, ult. co.

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Corte di Cassazione- sez. VI pen. – Sent. n. u003cstrongu003e47121u003c/strongu003e del 5-10-23

Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Bologna confermava una sentenza con cui il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale locale, a seguito di rito abbreviato, aveva condannato l’imputato per il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p., comma 2) e lesioni (art. 582, art. 585 in relazione all’art. 576 c.p., n. 5).
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva errata applicazione dell’aggravante di cui all’art. 572 c.p., comma 2, e correlato vizio di motivazione.
In particolare, secondo la prospettazione difensiva, premesso che i maltrattamenti ai danni della madre erano stati realizzati in presenza del figlio minore appena nato in due soli episodi, la Corte di Appello si sarebbe limitata ad affermare, senza motivazione, essere un dato scientifico acquisito quello per cui non occorre, nell’infante, la piena consapevolezza per percepire la portata negativa di avvenimenti violenti e dolorosi mentre, invece, per contro, la Corte di Cassazione, in una recente sentenza (Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020), ha ammesso la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista a condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della famiglia, ma a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull’equilibrio psicofisico dello stesso.
Nel caso di specie, proseguiva il difensore nel suo ragionamento giuridico, andava escluso che un bambino appena nato potesse comprendere, elaborare o anche soltanto percepire l’ambiente circostante, fermo restando che, in ogni caso, anche aderendo alla posizione maggioritaria della giurisprudenza, sarebbe stato necessario un accertamento ulteriore – in concreto non realizzato – quanto alla capacità delle condotte in oggetto di incidere sull’equilibrio psicofisico dello spettatore passivo.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione: i maltrattamenti assistiti

La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato non meritevole di accoglimento.
Nel dettaglio, dopo avere ritenuto il principio di diritto, menzionato nel ricorso, non pertinente al caso di specie posto che tale precedente (Sez. 6 n. 18833 del 23/02/2018) sollecitava l’indagine del giudice di merito sull’abitualità dei comportamenti e sull’offesa al bene personalistico tutelato (offesa che – precisava – deve atteggiarsi in chiave di idoneità ed anzi di effettiva causazione dell’offesa): con riferimento, evidentemente, alle condotte tenute dall’autore dei maltrattamenti nei confronti di terzi (e non nei confronti del minorenne che assiste), gli Ermellini consideravano un altro precedente, sempre favorevole alla tesi difensiva, secondo cui va esclusa la configurabilità dell’aggravante dei c.d. maltrattamenti assistiti, laddove la tenera età dell’infante non consenta a quest’ultimo di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (così, Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022), a prescindere, quindi, dal numero di comportamenti a cui il minore avesse assistito.
Pur tuttavia, il Supremo Consesso reputava non condivisibile siffatto approdo ermeneutico.
In particolare, per sostenere questa diversa valutazione giuridica, i giudici di piazza Cavour osservavano innanzitutto che, quanto al dato letterale, è sufficiente rilevare che, anche per dare attuazione all’art. 46, lett. d), della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul del 2011), la novella introdotta con la L. 19 luglio 2019, n. 69, ha positivizzato il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità e, quindi, il legislatore ha calato l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” nel corpo dell’art. 572 c.p., introducendo un ultimo comma, a mente del quale “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato”, ed innestando, anzi, nel corpo della fattispecie, un’ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena “se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore” (art. 572 c.p., comma 2), mentre nulla ha aggiunto in ordine all’età del minorenne.
Ad ogni modo, sempre per la Corte di legittimità, su un piano appena più approfondito, che è quello teorico e di sistema, richiedere la verifica sull’idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest’ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo, nel senso di destrutturare la forma dell’offesa prescelta dal legislatore.
In altri termini, l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” è tipizzata in chiave di pericolo astratto, in quanto assume l’elevata probabilità di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) alla presenza del minorenne, e ciò basta, per la Cassazione, ad integrare l’offesa e, dunque, la tipicità del reato, senza che, d’altronde, appaia necessario o anche soltanto opportuno proporre letture “correttive“, volte a delimitare l’età del minorenne dato che, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, ai fini della c.d. offensività “in astratto” del reato (che la Consulta rivendica al suo proprio sindacato), è sufficiente “che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit” (da ultima, sent. n. 139 del 2023, che richiama, a sua volta, sentt. n. 211 del 2022, n. 141 del 2019, n. 109 del 2016 e n. 225 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 278 del 2019), tenuto conto altresì del fatto che ove tale condizione risulti soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa (c.d. offensività “in concreto“) resta affidato al giudice ordinario, nell’esercizio del suo potere interpretativo, allo scopo di evitare che l’area di operatività dell’incriminazione si espanda a condotte prive di un’apprezzabile potenzialità lesiva” (ancora sent. n. 139 del 2023, che richiama sent. Corte Cost.n. 225 del 2008).
Ebbene – giungendosi in tal modo al terzo profilo accennato, che è quello empirico -, nell’ipotesi di “maltrattamenti assistiti”, sempre per la Suprema Corte, non vi è ragione di dubitare dell’offensività “in astratto” della fattispecie poiché non vi è motivo di dubitare del pericolo di danno indotto dalla visione di comportamenti violenti anche in bambini in età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe, quindi, essere vieppiù compromesso, proprio per l’impossibilità/difficoltà, per il neonato e l’infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti (nè appare dotata di adeguato supporto l’affermazione, presente in una delle due sentenze di legittimità citate, che la “consapevolezza” si sviluppi soltanto a partire dalla seconda metà del primo anno di vita).
Del resto, sempre per gli Ermellini, dal momento che gli effetti della compromissione del sano sviluppo psico-fisico del bambino possono emergere a distanza di anche molto tempo dal fatto, neppure si comprenderebbe come esperire quel giudizio sul pericolo in concreto sollecitato dal ricorrente, e cioè accertare l’idoneità offensiva della specifica condotta: vieppiù in casi come quello di specie, in cui il minorenne era di “tenerissima età“.
Ad ogni modo, un altro discorso da fare, per la Corte, riguarda in che modo siano identificabili i contenuti minimi, sul piano dell’offensività e quindi della tipicità, dei “maltrattamenti assistiti”.
Orbene, fermo restando che le pronunce emesse dalla Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018 e n. 27901 del 22/09/2020, mediante il riferimento all’idoneità della condotta – “far assistere” il minorenne alle condotte realizzate nei confronti di altre persone -, hanno inteso sollecitare il suddetto riscontro sulla “offensività, in concreto”, da parte dei giudici di merito, sotto questo specifico profilo, hanno, cioè, dato conto della necessità, prima di tutto logica e poi anche giuridica, che il minorenne, quale ne sia l’età, abbia presenziato ad un numero di episodi che, per la loro gravità (non dovendo, peraltro, necessariamente consistere nell’uso di violenza fisica) e per la loro ricorrenza nel tempo (abitualità), possano comprometterne il sano sviluppo psico-fisico, locuzione a proposito della quale la distinzione tradizionale tra “corpo” e “mente” risulta superata dalle acquisizioni scientifiche mentre hanno, per contro, escluso che il delitto sia configurabile quando, ad esempio, il minore assista ad un solo atto di maltrattamento verso terzi, la Corte di Cassazione giunge alla conclusione secondo la quale il principio di diritto espresso in tali pronunce può essere, più precisamente, specificato nei termini seguenti: sussiste violenza assistita a prescindere dall’età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione dei suo normale sviluppo psico-fisico.
Ebbene, alla luce di siffatto criterio ermeneutico, gli Ermellini ritenevano come il motivo addotto fosse infondato visto che i giudici di merito, a loro avviso, avevano, non soltanto correttamente applicato la legge penale, ma anche ottemperato all’obbligo di rendere una motivazione completa e coerente.
 

3. Conclusioni


Nella decisione in esame, gli Ermellini affrontano il tema afferente i c.d. maltrattamenti assistiti.
Difatti, fermo restando che, con la legge, 19 luglio 2019, n. 69, è stata normata l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” essendo stato introdotto, nel corpo dell’art. 572 c.p., un ultimo comma, a mente del quale “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato”, nonché innestato, inoltre, sempre nel corpo di questa fattispecie, un’ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena “se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore” (art. 572 c.p., comma 2), la Suprema Corte, nella pronuncia qui in commento, affronta una specifica tematica afferente tale caso in riferimento alla rilevanza,  o meno, da doversi conferire all’età del minorenne.
Difatti, a fronte di un precedente orientamento ermeneutico secondo il quale va esclusa la configurabilità dell’aggravante dei c.d. maltrattamenti assistiti laddove la tenera età dell’infante non consenta a quest’ultimo di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (così, Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022), a prescindere, quindi, dal numero di comportamenti a cui il minore avesse assistito, nel provvedimento in oggetto, viene affermato un diverso indirizzo interpretativo secondo cui, invece, sussiste violenza assistita a prescindere dall’età del minorenne purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione dei suo normale sviluppo psico-fisico.
Orbene, pur potendosi ritenere astrattamente condivisibile questo secondo filone ermeneutico, in quanto, tra i due, quello maggiormente volto a tutelare il minore, si pone il problema di comprendere come si possa provare questo nesso eziologico tra gli episodi di maltrattamenti in cui il minore riveste il ruolo di “spettatore inerte” e la possibilità che vi sia il rischio della compromissione dei suo normale sviluppo psico-fisico.
Del resto, la Cassazione nulla esplicitamente dice su come questo rischio debba essere inteso, ossia se questo debba essere meramente ipotetico o, viceversa, effettivo e concreto.
A fronte di siffatte criticità sarebbe quindi opportuno, ad avviso di chi scrive, che su tale questione intervenissero le Sezioni unite.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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