Con la sentenza n. 155 del 2025, depositata il 21 luglio, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non consente di riconoscere il congedo obbligatorio di paternità anche alla madre intenzionale, lavoratrice dipendente, facente parte di una coppia omogenitoriale femminile regolarmente registrata nei registri dello stato civile. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso avanzato di diritto del lavoro -Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni.
Indice
- 1. La questione di legittimità: profili normativi e contesto applicativo del congedo di paternità nelle famiglie LGBTQ+
- 2. Le eccezioni dell’INPS e dell’Avvocatura dello Stato
- 3. Il principio affermato: la genitorialità come responsabilità e cura
- 4. Profili sistematici e implicazioni ordinamentali
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1. La questione di legittimità: profili normativi e contesto applicativo del congedo di paternità nelle famiglie LGBTQ+
La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio antidiscriminatorio instaurato da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ – nei confronti dell’INPS, che aveva negato il congedo obbligatorio previsto per il “padre lavoratore” alla madre intenzionale in una famiglia omogenitoriale. La Corte d’appello di Brescia, investita della controversia, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 27-bis, introdotto dal d.lgs. n. 105/2022, per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 4 della direttiva (UE) 2019/1158 sul congedo parentale e sull’equilibrio tra vita professionale e familiare.
Il riferimento esclusivo al “padre lavoratore” esclude, infatti, la possibilità di estendere il beneficio al secondo genitore riconosciuto dallo stato civile, determinando – secondo il giudice rimettente – una disparità di trattamento lesiva del principio di eguaglianza e dell’interesse del minore.
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2. Le eccezioni dell’INPS e dell’Avvocatura dello Stato
Nel contraddittorio processuale, l’INPS e l’Avvocatura dello Stato hanno eccepito l’inammissibilità della questione, sostenendo che il solo riconoscimento anagrafico non sarebbe sufficiente a fondare diritti previdenziali. A loro avviso, l’accesso al congedo in favore della madre intenzionale dovrebbe presupporre una sentenza costitutiva di adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 l. n. 184/1983. In mancanza, si configurerebbe una indebita estensione di prestazioni tipiche, con violazione del principio di legalità delle prestazioni previdenziali.
La Corte ha rigettato tali argomentazioni, ritenendole inidonee a escludere la rilevanza della questione nel giudizio a quo. È stato sottolineato, in particolare, che il riconoscimento nei registri dello stato civile produce effetti giuridici pienamente validi e non subordinati all’esito di ulteriori procedimenti giurisdizionali. Per un supporto operativo al professionista, abbiamo preparato il Formulario commentato della famiglia e delle persone, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
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3. Il principio affermato: la genitorialità come responsabilità e cura
Nel merito, la Consulta ha chiarito che la funzione del congedo obbligatorio è quella di garantire l’instaurazione tempestiva del legame affettivo tra genitore e minore, favorendo l’equilibrio tra vita privata e professionale e promuovendo la condivisione dei compiti di cura. Tali finalità – osserva la Corte – devono valere a prescindere dal sesso o dalla qualità biologica del genitore, assumendo rilievo decisivo il riconoscimento pubblico della responsabilità genitoriale e l’effettiva assunzione di doveri di cura.
La negazione del congedo alla madre intenzionale, già registrata come genitore, realizza pertanto un trattamento discriminatorio rispetto al padre lavoratore, contrastante con gli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, e con i principi di derivazione euro-unitaria.
4. Profili sistematici e implicazioni ordinamentali
La sentenza n. 155/2025 si inserisce nel solco tracciato da precedenti interventi della Corte costituzionale e dalla Corte EDU, tesi ad affermare una nozione funzionale della genitorialità, svincolata da schemi biologici o eteronormativi. L’interesse del minore – come già affermato nelle sentenze nn. 230/2020, 79/2022 e 131/2022 – rappresenta il criterio primario per valutare la legittimità del trattamento giuridico dei rapporti familiari.
Riconoscendo la centralità della madre intenzionale, la Corte sollecita un adattamento sistemico delle tutele genitoriali e previdenziali, già oggi riconosciute a figure genitoriali diverse da quelle tradizionali. Si tratta di un passaggio che rafforza l’effettività del principio di uguaglianza e promuove una giustizia costituzionale aperta alla pluralità delle forme familiari.
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