L’onere della prova

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L’onere della prova è un principio logico – argomentativo in base al quale chi vuole dimostrare l’esistenza di un fatto ha l’obbligo di fornire le prove per l’esistenza del fatto stesso.

In diritto processuale risale al diritto romano ed è presente in ogni ordinamento moderno.

Spetta a chi promuove un giudizio fornire le prove dei fatti posti a fondamento della propria pretesa, non a chi resiste a negarli.

Se i fatti non sono provati, il giudice civile deve respingere la domanda, senza la possibilità di ricorrere, mentre nel giudizio penale, per lo stesso principio è compito di chi accusa portare le prove delle proprie affermazioni, non di chi si difende.

Il metodo che esprime travalica le diverse aree del diritto processuale, civile e penale, nel quale è nato, essendosi sviluppato come argomento anche in ambito logico – filosofico.

Indice

  1. Le origini dell’onere della prova
  2. L’onere della prova nel diritto civile e nel diritto penale

1. Le origini dell’onere della prova

Sorto nella forma della locuzione latina giuridica affirmanti incumbit probatio , “la prova spetta a chi afferma”, vale a dire  onus probandi incumbit actori ,”l’onere della prova è a carico di chi fa valere in giudizio un diritto”, oppure onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat , “l’onere della prova è a carico di chi afferma qualche cosa, non di chi lo nega”, fa parte dei brocardi che esprimono un principio fondamentale del diritto romano.

Enunciazioni di questo principio si possono riscontrare nei Digesta (22, 3, 21) nei quali si leggono le parole del giurista Paolo Probatio ei incumbit qui dicit, non qui negat “spetta a chi dice, non a chi nega”.

Anche nel Corpus iuris civilis (4, 19, 23) si legge una disposizione valida sia per Diocleziano sia per Massimiano, che esprime proprio questo principio:

Actor quod adseverat probare se non posse profitendo reum necessitate monstrandi contrarium non adstringit, cum per rerum naturam factum negantis probatio, “l’accusatore, dichiarando di non poter provare quello che afferma, non può obbligare il colpevole a mostrare il contrario, perché, per la natura delle cose, non c’è nessun obbligo di prova per colui che nega il fatto”.

2. L’onere della prova nel diritto civile e nel diritto penale

Nel caso nel quale il giudice non ritenga di avere elementi sufficienti per decidere in relazione a due versioni diverse fornite dalle parti in conflitto, non potendosi rifiutare di decidere, deve fare applicazione della regola dell’onere della prova, secondo il quale deve accogliere la versione del fatto prospettata dalla parte sulla quale non grava l’onere della prova anche quando la stessa versione risulti non sufficientemente dimostrata.

Questa regola è passata nel diritto contemporaneo francese, dove l’articolo 9 del codice di procedura civile enuncia:

Spetta ad ogni parte di provare conformemente alla legge i fatti necessari al successo della propria pretesa.

Questa regola è prevista dall’articolo 2697 del codice civile, secondo il quale chi chiede il giudizio su un diritto del quale “dice” o “afferma” i fatti costitutivi, deve assumere l’impegno implicito di provare quello che afferma, con la conseguente responsabilità dell’eventuale difetto o insuccesso di quella prova.

La regola ha carattere residuale e va applicata esclusivamente ai giudizi nei quali un fatto contestato rilevante per la decisione resti sfornito di prove.

Costituiscono eccezioni al principio le presunzioni, che agiscono in ambiti particolari, caratterizzati da una responsabilità diversa dalle regole ordinarie: la praesumptio iuris et de iure è invincibile, la praesumptio iuris tantum inverte l’onere della prova.

In ogni caso il giudice può autonomamente integrare le motivazioni in diritto eventualmente insufficienti.

L’assunzione nel diritto vigente del principio del libero convincimento come fulcro del momento valutativo delle prove da parte del giudice rende molto complessa l’ammissibilità nel sistema delle prove penali di presunzioni sfavorevoli all’imputato, sia assolute sia relative, siano esse di creazione legislativa o giurisprudenziale.

Nell’ambito penale, sin dal codice toscano di Pietro Leopoldo è stabilita la presunzione di non colpevolezza, con l’onere della prova della responsabilità che grava sull’accusa, perché alle prove ogni accusato deve essere assoluto, subito che non ci sono prove contro di lui, senza obbligarlo a provare che non abbia commesso il delitto che gli è stato imputato.

Questo principio, che non è valido in ambito civilistico, dove non sempre l’onere della prova è a carico del ricorrente, è nelle dottrine e nella prassi dell’Ottocento un dogma che consacra la supremazia conoscitiva del giudice penale rispetto all’accertamento che si raggiunge in sede civile. Dalla tensione dell’accertamento penale verso il vero scaturisce il dovere di iniziativa officiosa del giudice nella acquisizione della prova, al punto che l’obiettivo della verità materiale riflette una concezione monistica che non dà spazio ad una divisione della conoscenza tra le parti.

Persino l’onere della prova viene inteso come ostacolo all’accertamento del fatto.

Questa regola è oggi rinforzata dal rango costituzionale che ha il principio della presunzione d’innocenza fino a prova contraria.

Si tratta di un metodo di ricerca della verità materiale e non di una negazione della stessa possibilità di svolgimento del processo.

Il principio dell’onere della prova non è smentito dal fatto che il cittadino, a carico del quale siano presenti sufficienti indizi di reità, debba sostenere un processo.

L’essere rinviati a giudizio non inverte l’onere della prova, perché dovrà essere sempre il pubblico ministero a dimostrare la commissione del reato.

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